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Dobbiamo fare spazio alla natura nelle città

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Sappiamo che lo sviluppo degli ultimi decenni ha determinato un’eccessiva pressione ambientale, ma ha anche portato straordinari miglioramenti nell’aspettativa di vita in tutto il mondo e, anche grazie alle tecnologie digitali, abbiamo ora a disposizione un’arma in più per poter dare una risposta efficace alle sfide che ci attendono in questo secolo.

Abbiamo adesso la possibilità di cambiare, di passare a una “crescita verde” (e di conseguenza sostenibile) proposta come un modo promettente per affrontare la necessità di trovare un equilibrio che includa la sostenibilità ecologica ed economica, l’equa distribuzione e l’uso efficiente ed efficace delle risorse.

Rendere le città “verdi e salubri” va ben oltre la semplice riduzione delle emissioni di CO2 e degli inquinanti attraverso misure di efficientamento e risparmio energetico o attraverso il trasporto urbano sostenibile, fattori fondamentali come strategie di mitigazione delle future “perturbazioni ambientali”, ma non sufficienti se non accompagnate da un aumento della copertura arborea delle nostre città. 

Bisogna pianificare in modo che il verde non sia più al servizio della città, ma che la “nuova” città sia pensata al servizio del verde, con un cambiamento totale di paradigma. Ciò implica che, invece di considerare gli alberi e gli spazi verdi come un costo, questi dovrebbero essere trattati come beni comuni (e quindi investimenti) che danno valore dal punto di vista sociale, economico e ambientale e forniscono una moltitudine di benefici per le popolazioni urbane e non solo. 

Portare la natura nelle città non è un’idea nuova. Questo concetto è entrato e uscito dalle discussioni sulla pianificazione urbana per oltre un secolo, da quando il riformatore sociale vittoriano Ebenezer Howard pubblicò nel 1898 quello che divenne il manifesto “Garden Cities of Tomorrow”. Spinto dall’ambiente squallido, inquinato e pericoloso affrontato dagli abitanti delle città vittoriane e la loro crescente alienazione dal mondo naturale, l’idea di Howard era semplice: creare luoghi che riunissero il meglio delle aree urbane e rurali – case circondate dalla natura, ma vicine al lavoro e ai negozi.

La sua idea ha avuto solo sporadiche applicazioni e, seppure le sue teorie sono forse ancora più utopistiche adesso, è indubbio che dobbiamo ancora affrontare sfide non così diverse da quelle che Howard stava cercando di superare. Ma ora la posta in gioco, in termini di sopravvivenza dell’umanità sul pianeta, è notevolmente aumentata.

Da un lato, un insieme convincente di prove suggerisce che le città rimangono luoghi pericolosi per la vita delle persone. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che, in tutto il mondo, 7 milioni di persone muoiano ogni anno a causa degli effetti dell’inquinamento atmosferico, con nove su dieci di noi che respirano aria che supera i limiti di sicurezza.

Le isole di calore urbano, dove la temperatura può essere superiore di diversi gradi rispetto alle aree rurali, uccidono più persone ogni anno rispetto a tutti gli altri disastri legati al clima. Non solo, le immense distese di asfalto rendono le aree urbane impermeabili determinando inondazioni che minacciano vite umane, danneggiano le proprietà e contribuiscono in modo fondamentale all’inquinamento. 

Allo stesso tempo, e come diretta conseguenza dell’attività umana, la natura viene spazzata via a una velocità spaventosa e senza precedenti. Il consenso scientifico è che la perdita di habitat, le sostanze chimiche prodotte dall’uomo e il cambiamento climatico stanno insieme innescando un evento di estinzione di massa grave come qualsiasi altra cosa dopo la morte dei dinosauri. 

Quella che è necessaria è un’inversione di rotta. Una vera “rivoluzione verde”. 

È indubbio che il “fenomeno Greta Thunberg” abbia avuto il merito di scuotere le coscienze di molti e di farci almeno riflettere sulla sostenibilità delle nostre azioni. E anche di farci capire che il modello di sviluppo urbano degli anni ’60-’70 ha prodotto delle “giungle di cemento e asfalto”, cioè città o aree urbane certamente più moderne, piene di grandi edifici, ma che sono soprattutto diventate dei luoghi duramente competitivi, inospitali o pericolosi.

In pratica dei deserti ecologici e sociali, dei “parassiti” che traggono la vita dai loro dintorni, consumando il 75% delle risorse del pianeta. Sono abominazioni che fungono da macchine giganti che centralizzano la ricchezza e le risorse verso pochi soggetti con un meccanismo perverso che limita le possibilità di migliorare la situazione sociale, economica e il benessere psico-fisico alla maggioranza delle persone

Tuttavia, la civiltà moderna, con le città al suo apice, non è qualcosa che la maggior parte delle persone sarebbe disposta a eliminare, quindi spetta a noi ripensare il modo in cui esse dovranno essere concepite, realizzate e gestite nel futuro in modo da garantire un giusto accesso alle risorse, un’equità sociale e un diffuso benessere. 

In questo senso le evidenze scientifiche a favore dell’aumento della copertura verde delle città sono sempre più numerose e ci dicono che una città pianificata e progettata in funzione della gestione degli eccessi climatici può fermare le inondazioni urbane immagazzinando l’acqua; può ridurre notevolmente l’inquinamento atmosferico filtrando le particelle nocive e ridurre notevolmente l’effetto “isola di calore urbana”.

Se ciò non bastasse, devono essere sottolineati i benefici psicologici e sociali come la riduzione dello stress e la promozione della comunità, nonché la spinta economica dell’aumento dei prezzi degli immobili e dei tassi di locazione.

Dobbiamo perciò andare oltre la natura come decorazione. Dobbiamo comprendere che i sistemi viventi hanno un ruolo fondamentale da svolgere nella nostra salute e agire di conseguenza. Il momento migliore per piantare alberi era venti anni fa, il secondo momento migliore è adesso.

#laterrasalvatadaglialberi

 

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1 COMMENT

  1. Bellissimo articolo, grazie Professore. “Bisogna pianificare in modo che il verde non sia più al servizio della città, ma che la “nuova” città sia pensata al servizio del verde”. Sistemi viventi e non decorativi, sono il nostro bene comune. Grazie

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