Home Imprese&Lavoro Un palazzo fiorentino tra storia e arte: la sede della Banca d’Italia

Un palazzo fiorentino tra storia e arte: la sede della Banca d’Italia

197
2

Non voglio scomodare categorie di ben altra rilevanza, tuttavia, questa recensione mi trova in una sorta di conflitto dinteresse avendo partecipato, ormai più di un quarto di secolo fa, all’idea di un lavoro sul Palazzo della Banca d’Italia in Firenze, poi proposta da Aldo Sgarano con il libro:

La Banca Nazionale del Regno a Firenze: Storia e Arte, Angelo Pontercorboli Editore, 2024, €24. Su Amazon.

Cosicché, invece che dedicarmi al contenuto storico-artistico del suo bel volume, frutto della progressiva e sempre più raffinata messa a punto di ricerche architettoniche e storiche sul Palazzo che accoglie la sede fiorentina della Banca d’Italia, dirò cosa si prova quando ci si accorge, per quanto assorbiti dalla concentrazione richiesta dall’impegno professionale, di lavorare in un luogo ricco di suggestioni. In genere, la quotidianità porta di per sé all’assuefazione, inducendo ingannevolmente l’occhio a considerare definitivamente acquisita la conoscenza del circostante ambiente di lavoro. Non è così.

Quando ci si avvicina per la prima volta a luoghi prestigiosi, si è fatalmente attratti dagli aspetti scenografici che essi esibiscono e che rendono intimamente orgogliosi di trascorrere gran parte delle ore della giornata in quei locali. Ricordo che suscitavano in me grande ammirazione la cura e la conservazione che la Banca riservava agli ambienti, le cui condizioni di funzionalità imponevano una manutenzione senza soluzione di continuità, in un’atmosfera di perenne adattamento, nel rispetto della storia di ogni cosa che ci circondava.

Se il lavoro è soprattutto burocratico l’incentivo a scavare tra pratiche archiviate da tempo non eccita più di tanto, annoia l’idea di andare a cercare un precedente, magari da copiare per un senso di sicurezza o di facile soluzione di un problema. E’ già stato fatto e io lo replico. La scienza del precedente. Che non rinnova, che appiattisce, che avvilisce.

Come si fa a non cedere alla ripetitività delle mansioni e al senso di inutilità di tutte quelle carte, anche se ottimamente conservate e ordinate in archivio, se non si trovano spunti per alimentare l’interesse del “colletto bianco”, che diversamente vivrebbe un misero destino.

Per fare di te un Indiana Jones ci vuole altro. Eppure, a un certo punto scatta qualcosa, la curiosità, il sentirsi coinvolto in un clima di appartenenza al’impegno lavorativo svolto da generazioni precedenti alla tua. Poi, per pura casualità, trovi tracce antiche come un pacco di foto, o ascolti il racconto fatto da qualche collega più anziano che a sua volta l’ha sentito fare ad altri in anni precedenti, che evoca eventi del tutto fuori dalla routine, casomai descritti sottoforma di battuta scherzosa o di storiella paradossale da goliardia impiegatizia.

Pur non essendo uno storico o un economista, tantomeno un esperto d’arte, ti trovi al centro di qualcosa che ti ruota intorno. Allora, perché non provare a rivisitare da persona comune il luogo dove trascorri tante ore della giornata, da “impiegato innamorato della tua Istituzione”.

Quello che dico scattò all’epoca dell’idea primigenia di un lavoro sul Palazzo da parte di alcuni colleghi, me compreso, tra cui l’Autore del libro in argomento, che si domandarono se valesse la pena andare alla riscoperta del mondo precedente, al fine di esplorare analogie e differenze con la realtà che vivevamo.

Così è stato, fino all’opera conclusiva di cui sto parlando. E l’emozione fu grande quando trovammo il libro dei soci della Banca Nazionale nel Regno d’Italia, dove erano annotati i nomi dei maggiorenti che acquistavano azioni della Banca intestandole agli eredi nascituri (allora si poteva) oppure alle figlie per costruirne la dote o semplicemente intendendo investire nelle prime banche di emissione. Mostri istituzionali secondo le nostre visioni odierne, incroci pubblico-privato, ircocervi.

Quantum mutatus ab illo! Quanta acqua è da allora passata sotto i ponti delle banche centrali. Da quel lontano Ottocento dell’Unità d’Italia. Sì, perché il Palazzo di cui si parla fu iniziato al tempo di Firenze capitale, ma l’accelerazione della storia italica con la presa di Roma impedì che ne fosse la sede centrale nazionale.

E quanto ci colpì scoprire che dall’odierno rimodernato accesso al garage uscivano un tempo i carri trainati dai cavalli, che trasportavano le banconote appena stampate. E poi, la lettera originale della istituzione del corso forzoso della lira del 1866, sganciata dall’oro, che brilla per la chiarezza con la quale vi si spiega il rapporto tra moneta e credito, ma che ci fa anche piombare in un mondo di amanuensi che scrivono le circolari con raffinata calligrafia, senza farsi scrupolo di correzioni, cancellando con un tratto di penna una parola sbagliata o cambiata nel corso della dettatura o della copiatura.

La Circolare della Banca Nazionale nel Regno d’Italia del Direttore Generale Carlo Bombrini. Tratto da Aldo Sgarano, Il Palazzo della Banca d’Italia in Firenze.

E sul piano architettonico-decorativo grande emozione destò la scoperta che alcuni soffitti erano stati dipinti da Girolamo Magnani, che in quegli anni era anche impegnato a comporre le scenografie delle opere di Giuseppe Verdi. Fino a ritrovarsi a sfogliare, in anni più prossimi, le fotografie delle Feste della Befana per i figli dei dipendenti, che oggi susciterebbero sorrisi di sufficienza o critiche di paternalismo.

Screenshot

Insomma, storia maggiore e storie minori, che Aldo Sgarano ricostruisce percorrendo in lungo e in largo il Palazzo: dal grandioso scalone monumentale, al salone di rappresentanza con imobili d’epoca, riscendendo negli archivi per riesaminare con più cura, per tenere poi gli occhi incollati ai soffitti dipinti a buonfresco con scene allegoriche riprese dalla iconografia classica.

Leggete dunque il libro e cercate l’occasione per una visita al Palazzo, un luogo dove si respira un pezzo di storia italica, frutto di un lavoro poco conosciuto, mai in vista, silente, ma importante, portato avanti da tante persone nel corso degli ultimi due secoli a protezione del bene pubblico della moneta.

A mio avviso, un grande merito dell’Autore è l’averci riproposto quell’antico clima in maniera essenziale, nel modo più semplice e vicino a noi. Grazie, Aldo.

Previous articleIl diritto alla inclusione scolastica delle persone con disabilità
Next articleIl vertice BRICS a Kazan ha dato il via ad un sistema di pagamento anti-dollaro: la BRICSPay

2 COMMENTS

  1. Una recensione che tradisce quel senso di appartenenza che matura e permane nel tempo.
    Corsini legge fra le righe del libro anche il vissuto di tanti e pone altresì in luce l’importanza della cura dei luoghi che, in qualche modo, rappresenta la continuità istituzionale svolta.
    Si usa dire che l’abito non fa il monaco ma, specialmente nei ruoli di rappresentanza, il decoro e il culto della bellezza rispecchiano l’importanza delle funzioni.
    Il velo nostalgico della recensione tende a rievocare, forse pure inconsciamente in Corsini, il suo significato d’appartenenza.
    Ma questa sarebbe un’altra storia.

  2. Un meraviglioso viaggio tra gli stucchi e gli arazzi nella Sede di Bankitalia di Firenze e nella storia monetaria del paese con la pubblicazione della Circolare del 1866 della Banca Nazionale del Regno con cui si danno disposizioni sulla moneta e sul credito a seguito dell’introduzione del corso forzoso della lira. Una lezione ante litteram di educazione finanziaria che poco tempo fa abbiamo commentato con piacere e interesse.
    https://www.economiaefinanzaverde.it/2023/01/14/attualita-del-corso-forzoso-della-moneta-la-lezione-del-1866/

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here