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In ricordo di Adriano Gradi: La tragedia della foresta amazzonica, polmone della Terra

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Oggi ricorre un anno dalla scomparsa del Professor Adriano Gradi,  già Dirigente Superiore del Corpo Forestale dello Stato e quindi Ordinario di tecnologia ed utilizzazioni forestali presso varie Università. Economia e Finanza Verde, che si onora d’averlo avuto tra i suoi collaboratori, desidera ricordarlo ripubblicando il suo primo articolo con la testimonianza diretta del dissennato sfruttamento della Foresta Amazzonica.


Dagli anni 60 il principio della fine dell’immensa foresta pluviale

Nel lontano ottobre del 1972 facevo parte della delegazione italiana che partecipava al 7° Congresso internazionale per la conservazione, lo sviluppo e la razionale utilizzazione delle foreste.
Nella città di Buenos Aires sede congressuale c’erano centinaia di persone fra tecnici, scienziati, politici provenienti da molte nazioni del mondo.
Si discuteva sull’importanza della valorizzazione delle foreste, sulla necessità della loro protezione, dell’ampliamento e del rispetto.

Il congresso durava vari giorni con interessanti relazioni scientifiche sulle aggressioni dell’uomo agli ecosistemi verdi, sull’opportunità di una maggiore diffusione della cultura dell’ambiente, sull’impegno politico degli Stati per la forestazione, sui necessari impegni economici.

Colonizzazione, civilizzazione, sfruttamento

Ma ecco che proprio in concomitanza ed in contraddizione con lo spirito di questo convegno di ecologia numerose riviste, giornalisti e pubblicazioni riportano con caratteri salienti la “grande opera” che si sta realizzando nel vicino Brasile e che “consentirà la colonizzazione, la civilizzazione e lo sfruttamento di immensi territori”.

E’ la strada transamazzonica, opera gigantesca che pone fine alle leggende misteriose di impenetrabili foreste attraverso gli Stati di Acre, Amazzonia, Parà ed, in parte, Goias e Mato Grosso, compresi i territori di Amagà – Rondonia e Roraima, inserendosi nella foresta amazzonica, massimo polmone verde della Terra, con un’importantissima e insostituibile funzione per l’equilibrio chimico dell’atmosfera.

Collegando l’Atlantico con il Pacifico con numerose diramazioni ai lati, questa “Rodovia”, si diceva, avrebbe consentito la realizzazione di un grande programma di riforma fondiaria e, soprattutto, di ricerche e sfruttamento minerario con altrettanti allettanti interessi.
Oltre duemila famiglie avrebbero trovato lavoro in aziende e villaggi ubicate ai margini della “Rodovia”.

Fertilissimi terreni avrebbero consentito ottimi prodotti agricoli alla cui programmazione sarebbe stato preposto l’Istituto nazionale di colonizzazione e riforma agraria.

La Transamazzonica 

La Transamazzonica ha una fascia di rispetto larga 70 metri onde eliminare il pericolo che la foresta, con la sua forza vitale, chiuda la ferita inferta dall’uomo.
In costruzione aziendali al lato dell’arteria, si diceva, sarebbe stata stabilizzata la corrente migratoria di lavoratori provenienti dai territori aridi del Nord-Est.
Si sarebbe coltivata canna da zucchero, caffè ed altri prodotti agrari (milho, arroz, ecc.): ad ogni colono verrebbero assegnati 100 ha di terreno e sarebbe assistito da attivi e preparati giovani agronomi.

Il Presidente del Brasile di allora, Medici, dichiara che l’Amazzonia avrà lo sviluppo economico e sociale a livello delle altre regioni brasiliane. Il Presidente stesso, tra l’altro, ha già inaugurato a suon di fanfare il primo tratto di 1254 km della Rodovia lunga oltre 3000 km.
In una fotografia si vede il Presidente accanto alla bandiera del Brasile e ad un gigantesco albero di Auracaria tagliato a circa tre metri da terra e sul quale è stata applicata una targa che inneggia alla vittoria dell’Uomo contro “il gigantesco mondo verde”.

Quell’albero, così mutilato, sembra il simbolo della distruzione e non della civilizzazione, dal cieco avanzare del falso progresso di cui l’uomo diviene sempre più schiavo e che condiziona inesorabilmente la sua esistenza.

Queste non certo edificanti notizie portarono sconcerto e forti preoccupazioni non solo ai partecipanti al 7° congresso internazionale forestale, ma al Mondo intero.

Il fallimento della riforma agraria 

Ci si domandava, allora, se gli ambiziosi programmi come la riforma agraria, tenuto conto del tipo di strutturazione, delle difficoltà ambientali e di altri fattori tecnici e naturali da non sottovalutare, avrebbero avuto possibilità di effettivo successo.

Ma solo le estrazioni minerale avrebbero dato ottimi risultati e la presunta “civilizzazione di questi vasti territori” poteva forse essere solo la giustificazione di interventi il cui scopo sarebbe stato di ben altra natura. Tuttavia si sperava che la colonizzazione avvenisse nel pieno rispetto dei valori ambientali del Brasile e che si ascoltassero gli appelli ecologici di statisti di tutto il Mondo.

Ma a cinquant’anni di distanza constatiamo che è successo di tutto: disordinatamente ed indiscriminatamente è continuata la devastazione della foresta per dare spazio all’agricoltura.

Incendi apocalittici di natura poco chiara aumentano le distruzioni, tutta una serie di scavi di minerali preziosi, piste per giungere alle aree di estrazione comprese piste di atterraggio di aerei sono stati e sono all’ordine del giorno.

I raccolti agrari non hanno reso quello che ci si aspettava, molti tratti di autostrada sono fortemente danneggiati dalle ricorrenti piogge torrenziali. Per le difficoltà e le incognite amazzoniche è stato costruito, a 2000 miglia da Rio de Janeiro, il centro sperimentale Humboldt, dal nome dell’esploratore tedesco Alexander Humboldt, per risolvere numerosi problemi di carattere tecnologico (agricoli, urbanistici, industriali).

Su dichiarazioni anche dell’attuale Presidente Jair Bolsonaro, il Brasile afferma il proprio diritto di anteporre l’economia alle preoccupazioni ecologiche pur avendo gravi problemi di inquinamento idrico e dell’aria. A parte la rischiosità di sostituzione di un clima tropicale con un complesso ecosistema naturale con ecosistemi semplificati per potenziare la propria economia, bisogna altresì mettere in conto il tragico sacrificio di vite umane della locale popolazione Indios che vivevano nella foresta. Sono stati scacciati o decimati per le malattie che i bianchi hanno introdotto nei luoghi abitati dagli autoctoni legati ad ancestrali forme di vita.

Tentativi andati a vuoto e nuove impotenze 

E’ appena il caso di ricordare nel 1980 cento deputati del Parlamento italiano inviarono al Presidente brasiliano Figuieredo un appello umanitario per fermare il genocidio degli Indios Yanomani, ancora fermi all’età del legno, proponendo un grande parco nella foresta, perché potessero continuare a vivere secondo la propria cultura originaria. Non credo che l’iniziativa sia andata a buon fine.

Nonostante campagne giornalistiche e televisive iniziative di associazioni etc. succedutesi da allora contro la distruzione della foresta pluviale, il mondo si è dimostrato impotente di fronte a queste gigantesche colonizzazioni, mentre Jair Bolsonaro agli appelli ecologici risponde che l’Amazzonia è del Brasile e quindi può utilizzarla come vuole! La Chiesa ha chiuso da poco un apposito Sinodo umanitario sull’Amazzonia. Ma è difficile manifestare ottimismo per il futuro di uno dei massimi Beni dell’Umanità.

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