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Benvenuti nella guerra economica!

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Da Von Clausewitz a Von Neumann.

La famosa sentenza del generale prussiano, Carl von Clausewitz, “La pace è la continuazione della guerra con altri mezzi”, emessa al termine delle guerre napoleoniche, squarcia il velo che cela una scomoda verità. Che le nazioni vivono in uno stato di guerra permanente combattuta per fini egemonici. Il mondo contemporaneo è molto diverso da quello nel quale viveva lo stratega prussiano, anche se ci sono molte analogie, se considerate in un’ottica di lungo periodo.

Nell’epoca di Von Clausevitz si dispiegava la presa del potere da parte della borghesia che sconvolgeva lo status quo attraverso la più grande trasformazione dei mezzi di produzione con l’introduzione delle macchine utensili, del lavoro salariato e della democrazia rappresentativa. Oggi è in atto una messa a soqquadro altrettanto potente, attuata dalla informazione. Lo stadio di sviluppo di questa trasformazione corrisponde a quello che, mutatis mutandis, avveniva all’epoca di Von Clausewitz con la prima rivoluzione industriale in pieno dispiegamento e i prodromi della seconda.

Oggi siamo nell’epoca di Von Neumann, il grande matematico: l’economia binaria dell’informazione e dei servizi immateriali è il mezzo attraverso il quale il conflitto prosegue in tempo di pace. Stiamo entrando nella seconda rivoluzione tecnologica, quella dell’intelligenza artificiale, di cui poco di assodato si può ancora dire. Sono la guerra economica e la guerra tecnologica a ridefinire il paradigma dell’egemonia tra le nazioni e le comunità, che possono evolvere in future forme post-statuali. Ma come ci dice il libro che presentiamo, sono ancora gli Stati, affiancati dalle imprese moderne, a dominare lo scacchiere mondiale.

I nuovi scenari post-guerra fredda

La nuova leadership cinese vede la conquista dell’egemonia mondiale in termini di intelligenza artificiale, con alcune scadenze già poste per attuarla. Speriamo che si sbaglino! Gli Stati Uniti hanno capito la portata della sfida e si apprestano a fronteggiarla, anche se non sanno ancora come farlo. L’Europa è rimasta indietro e si avvia alla marginalizzazione. L’Italia è già ai margini. C’è di che preoccuparsi.

Giuseppe Gagliano, Presidente del Center for Strategic Studies Carlo De Cristoforis e studioso di temi geopolitici e geostrategici, ha recentemente pubblicato un saggio, Guerra economica. Stato e impresa nei nuovi scenari internazionali, (goWare: ebook 4,99 €, cartaceo 9,99 €, 2018) in cui compie un’analisi delle moderne dinamiche della guerra economica la quale è tornata prepotentemente nell’agenda politica mondiale dopo l’uscita dalla guerra fredda.

Questa uscita, intesa come inizio di un’epoca di concordia e di affermazione della forma democratica, non ha prodotto l’esito atteso nemmeno in Occidente, fra Stati Uniti e Unione Europea, per non parlare del resto del mondo. Dopo la guerra fredda c’è stata la globalizzazione con le sue conseguenze: il disordine internazionale, dove tutti combattono contro tutti.

Una minaccia asimmetrica

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Il mondo sta cambiando, mutano gli eventi e i modi di intendere la politica. E anche gli strumenti: al punto di affermare che la politica (e l’economia) è la guerra fatta con l’uso delle informazioni.

La minaccia non è più solo quella del punto geografico dell’attacco di una potenza contro un’altra. Oggi la minaccia è asimmetrica, cambia in continuazione, viaggia in rete, è immediata e, soprattutto, è rivolta contro l’intero sistema. Non mira a colpire bersagli militari o politici, ma interessi commerciali, industriali, scientifici, tecnologici e finanziari. Questo porta l’intelligence a strutturarsi su compiti nuovi: proteggere non solo l’intero sistema, compresi gli anelli piu’ deboli delle filiere produttive. Tutto ciò esige un cambio di mentalità, di modi di operare e di aggiornarsi, specie a livello di cultura aziendale. Esige, soprattutto, una stretta interazione dell’intelligence con il settore privato, con tutte le implicazioni che ne possono derivare.

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Il ruolo centrale dell’intelligence economica

I rapporti di forza si articolano attorno alla possibilità di costruire un potenziale tecnologico, industriale e commerciale capace di portare moneta e occupazione sul proprio territorio, trasformando la concorrenza da “gentile” e “limitata” in vera “guerra economica”.

La sfida diminuisce gli spazi a disposizione della guerra militare, ma lo scopo ultimo, quello dell’ accumulo di potenza e ricchezza, rimane immutato.

Le strategie nazionali di intelligence economica, adottate recentemente da numerosi governi, riservano proprio agli operatori privati un ruolo centrale nel mantenimento della sicurezza, grazie alla dotazione di infrastrutture informatiche e della conquista e gestione del bene primario dell’era digitale: i dati.

Dalla tutela delle attività economiche private alla protezione degli interessi economici nazionali, il passo è breve.

Per intelligence economica si intende proprio quell’insieme di attività di raccolta e trasformazione delle informazioni, di sorveglianza della concorrenza, di protezione degli asset strategici, di capitalizzazione dei know how.

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L’infosfera è il luogo dove avviene il confronto decisivo.

Ma quali sono gli attori della guerra economica?

• Gli Stati, innanzitutto, che restano i regolatori più influenti dello scacchiere economico, anche se devono tener conto di numerosi stakeholder sovranazionali (Unioni e organizzazioni internazionali, ONG, istanze sociali e culturali, imprese, media). Tuttavia, essi conservano un ruolo d’arbitro, con gli altri attori che non fanno che sollecitare, in ogni contrapposizione.

• Le imprese che, di fronte al nuovo scenario geoeconomico ipercompetitivo, non possono non perseguire il controllo dell’informazione strategica, come strumento di concorrenza e di sicurezza.

• La società civile che esprime crescente sensibilità per attività quali alimentazione e benessere, progresso tecnico e salute pubblica, ambiente, sicurezza dei trasporti, tecnologia e libertà individuale. Crescono la massificazione dell’uso di internet, il ruolo della giustizia nel monitoraggio dell’operato delle imprese, le tecniche di difesa  dagli attacchi al patrimonio informativo delle imprese. Il focus sui rischi associati all’ambiente, sullo sviluppo sostenibile, sull’investimento socialmente responsabile e sulla responsabilità sociale d’impresa amplificano la legittimità del maggior bisogno informativo.

L’infosfera: non costituisce una categoria di persone fisiche o giuridiche, quanto una dinamica generata dall’insieme degli interventi, dei messaggi diffusi tramite i media e la rete. Si tratta di uno strumento particolarmente insidioso perché opera come cassa di risonanza in cui si ricombinano di continuo idee, emozioni e pulsioni emesse da un numero illimitato di persone, senza un vero soggetto dominante e che tuttavia, esercita un’influenza determinante, positiva o nefasta, sugli individui e sulle organizzazioni. Lanciata nell’infosfera, una dichiarazione ha il potere di scatenare feroci polemiche, dure reazioni politiche, crisi mediatiche, danni reputazionali. Può divenire, quindi, un’arma di destabilizzazione particolarmente efficace. Non dimentichiamo che l’immagine e la reputazione rappresentano per un’impresa un capitale strategico di assoluta valenza, come pure per una nazione.

Il ruolo dell’intelligence economica e il deficit strategico italiano

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Gagliano ritiene che, quanto attuato da certa stampa tedesca e dai social media nei confronti del nostro paese, non solo rientra nel contesto della infosfera, ma più in generale costituisce una vera e propria guerra dell’ informazione con finalità volte a screditare politicamente il paese, per danneggiarlo a livello economico.

La nostra insufficiente reazione o l’incapacità ad anticipare questo genere di attacchi dipendono anche dal ritardo nel contesto della intelligence economica. Sia la Francia che gli Usa hanno da tempo compreso tutto ciò.

Infatti, per Christian Harbulot (nella foto), l’intelligence economica è la ricerca e l’interpretazione sistematica dell’informazione accessibile a tutti, con l’obiettivo di conoscere le intenzioni e le capacità degli attori. Essa ingloba tutte le capacità di sorveglianza dell’ambiente concorrenziale (protezione, veglia, influenza) e si distingue dall’intelligence tradizionale per la natura del suo campo di applicazione (informazione aperta), per la natura dei suoi attori (in un contesto di cultura collettiva dell’informazione), per le sue specificità (ogni economia nazionale genera un modello specifico di intelligence economica), secondo uno schema di intelligence economica a tre livelli: imprese, governi nazionali, contesto internazionale.

È stato certamente merito suo, se in Francia si è sviluppata una riflessione ampia sulla intelligence economica, discutendo della natura degli scontri economici aventi l’obiettivo dello sfruttamento offensivo dell’informazione. Attraverso un’analisi comparativa delle culture, Harbulot ha spiegato perché certi popoli si sono mobilitati affrontando gli aspetti conflittuali dell’economia di mercato e altri no, facendo propria la tesi secondo cui il capitale informativo è al tempo stesso fattore produttivo, ma anche potente arma offensiva o dissuasiva.

Oltre ai protagonisti della scuola di guerra economica francese, analisti americani come John Arquilla e David Rundfeldt hanno teorizzato l’“information dominance”. Definita come il controllo di tutto quanto è informazione, questa dottrina avrebbe la vocazione di plasmare il mondo attraverso l’armonizzazione delle pratiche e delle norme internazionali sul modello americano, col fine di mettere sotto controllo gli organi decisionali degli altri paesi. Affinché il nostro possa essere in grado di conseguire una competitività durevole e non occasionale nella intelligence economica deve superare una gestione puramente pragmatica come quella in atto da parte delle nostre Agenzie di intelligence (Aisi e Aise).

La strada da percorrere, come sottolineato dal Generale Carlo Jean, è proprio quella posta in essere dalla Scuola di guerra economica francese, cioè di costruire una visione strategica della guerra in corso.

Ecco un altro motivo per coprire rapidamente i nostri gap digitali, che ci allontanano dai nostri concorrenti.

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