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Quando cade un albero

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La recente caduta di alberi in alcune città italiane e le problematiche connesse ai conflitti che spesso sorgono fra alberi e infrastrutture viarie, mi offre lo spunto per riprendere qualche concetto più volte da me espresso, anche andando incontro a opinioni diverse, pienamente accettabili e fonte di sana discussione se portate sul piano tecnico, meno quando travalicano la lecita critica e arrivano addirittura all’illazione.

Provando a fare paragoni attuali, politicamente delicati e oggetto di scontro forte fra le parti, mi pare che l’eco mediatica che si solleva quando cade un albero sia, fatta salva l’empatia verso le vittime, quanto  meno esagerata e ciò determina una percezione distorta del problema, che esiste, ma non è un’emergenza, mentre lo è quella di mettere a punto piani pluriennali di gestione e rinnovamento per affrontare in modo proattivo e preventivo il problema.

Facciamo dunque un esempio riguardo alla percezione del rischio e alle similitudini con la situazione sociale. Nel nostro paese gli omicidi sono passati da 1442 nel 1992 a 343 nel 2017 (dati Viminale), di cui 46 attribuibili alla criminalità organizzata e 128 in ambito familiare-affettivo (‘11,8% in meno dell’anno precedente) con una diminuzione, quindi, del 76,2% in 25 anni. Alla forte diminuzione degli omicidi è corrisposto un aumento di quelli compiuti in ambito familiare (molti femminicidi), commessi per la maggior parte da italiani. Eppure, percepiamo e/o ci viene fatta percepire una condizione del tutto diversa.

Il tasso di omicidi è, seppur con differenze regionali e provinciali molto marcate e non necessariamente legate alla traiettoria “nord-centro-sud”, pari allo 0,8 per centomila abitanti (negli Usa 4,88, un’incidenza maggiore che in Europa, Canada e Australia messe insieme, mentre in Europa lo stato con il tasso più elevato è la Lituania con il 5.98) e noi siamo al più  basso livello sia europeo ( trentesimo posto) sia mondiale (intorno al 170esimo posto).

Secondo il sociologo Ilvo Diamanti, l’Italia si caratterizza per il rapporto tra i mezzi di informazione (specialmente la televisione) e i fatti di criminalità comune. Diamanti sottolinea come i media italiani puntino alla “serializzazione” e alla “drammatizzazione” dei casi criminali, mentre in altri paesi l’informazione è “puntuale” e “contestuale”. Ciò avviene soprattutto quando si tratta di casi che coinvolgono persone comuni, o che si sviluppano nell’ambito amicale e familiare, specificando l’intento voyeuristico da comunità ristretta.

Dunque, è possibile che vi sia uno scollamento tra i dati reali e le percezioni degli italiani? Sicuramente sì. Si tratta della cosiddetta “EMOTIONAL INNUMERACY” ossia la tendenza a esagerare i dati di un fenomeno legato a una minaccia. 

Questa errata percezione la si ha, come accennato, anche per i danni a cose e/o a persone causati da alberi. Gli alberi sono sempre caduti. Siamo noi che abbiamo posto dei target nell’area da loro occupata o li mettiamo nelle condizioni di non essere più stabili e siamo noi che diamo un’eco spropositata alla loro caduta, anche quando non fa danni.

È noto che la presenza degli alberi comporta un rischio e ciò implica che vengano messe in atto tutte le azioni per ridurlo e prevenirlo. Questo senza che l’attenzione ai rischi diventi paranoia. Le domande che dobbiamo porci sono quindi: quanti alberi, di quale specie, in quale specifica situazione, a seguito di quale evento, cadono in media ogni anno? È sulla base delle risposte a queste domande che poi dovrà essere elaborato un piano di gestione degli alberi che sia basato non solo sulle tecniche più avanzate e sulla gestione di persone qualificate, ma anche sul “buon senso” e su un approccio pratico.

È dunque fondamentale comprendere come si genera la percezione del rischio da parte del cittadino e dell’Amministrazione pubblica. Questo argomento è divenuto sempre più importante per tecnici e decisori politici ed è il giudizio soggettivo che le persone hanno in relazione alle caratteristiche e alla gravità di un rischio provocato dagli alberi in città. Non torno sulla differenza fra pericolo e rischio e rimando ad alcuni post/riflessioni da me scritti in passato. Vorrei solo dire che diverse teorie sono state proposte per spiegare perché persone diverse hanno diverse percezioni del rischio. La valutazione del rischio legato alla presenza degli alberi e la sua mitigazione è un processo fortemente influenzato dall’esperienza professionale, dalla percezione del rischio stesso e dalla sua gestione, quindi da tutte e tre le teorie.

Mentre i professionisti documentano tutti i fattori di rischio che vedono nel tentativo di fornire ai propri clienti una valutazione completa di un albero e del suo contorno, il proprietario del bene o il gestore chiedono che vengano adottate misure di mitigazione del rischio stesso. Le conoscenze scientifiche sul rischio sono fondamentali poiché qualificano il grado di certezza, o sarebbe meglio dire di incertezza sulla situazione in corso e sulle prospettive. La gestione del rischio, se ben organizzata e condotta, permette all’Amministrazione di:

Aumentare la probabilità di raggiungere i suoi obiettivi.
Identificare e controllare il rischio.
Rispettare i requisiti legali e normativi pertinenti.
Migliorare le aspettative degli stakeholder e la loro fiducia.
Utilizzare i fondi a disposizione massimizzandone l’efficacia.
Mantenere e/o aumentare i servizi ecosistemici forniti dagli alberi e il beneficio anche economico conseguente (si pensi solo alla minor spesa per il condizionamento degli edifici).

Dovremmo soprattutto rendere piu’ consapevole l’opinione pubblica del valore dei cosiddetti servizi ecosistemici, cioè di quei servizi forniti dagli alberi che giustificano l’investimento di risorse come il lavoro, l’energia e l’acqua e che rappresentano i contributi diretti e indiretti al benessere umano, sostenendo la nostra sopravvivenza e la qualità della vita. Senza questi servizi l’uomo non esisterebbe e la civiltà umana non funzionerebbe, ma è difficile dar loro un prezzo e quindi gli ecoservizi restano in gran parte invisibili e sottovalutati dai mercati e dalla politica, anche se ricerche recenti hanno dimostrato che contribuiscono al benessere umano per circa due volte il Pil mondiale (71,8 trilioni di dollari), otto volte tanto l’economia statunitense. Una buona parte di questo valore è dato dalla vegetazione del pianeta e da quella presente nelle aree urbane.

Se quindi esiste un consenso generale fra gli addetti ai lavori, che il verde urbano sia essenziale affinché le città possano essere realmente sostenibili quanto in realtà ne sappiamo veramente di questi benefici? Quanto è forte l’evidenza scientifica che supporta i diversi vantaggi del verde urbano? Molte delle ipotesi utilizzate riguardo al processo decisionale che coinvolge il verde urbano non sono indicate in modo chiaro e questo collide con la sempre più pressante domanda di decisioni basate sull’evidenza.

Riusciremo mai a ragionare in modo corretto e a pianificare le azioni da intraprendere su basi tecniche e scientifiche condivise per migliorare le condizioni anche economiche delle nostre ?

La gestione delle alberature parte da qui.

L’autore e’ Ordinario di Arboricoltura e Presidente della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze.

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