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The Green New Deal

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Un nuovo principio costituzionale

Il diritto all’ambiente è ormai da anni al centro del dibattito internazionale ed è tutelato in modo esplicito all’interno di numerose direttive comunitarie. La Costituzione italiana ben presto potrebbe accogliere il principio della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile ormai necessario in conseguenza delle sfide ambientali e sociali che oggi dobbiamo affrontare e che i padri costituenti non potevano prevedere.

L’Italia in tal modo potrebbe unirsi ad altri Paesi, tra i quali Francia e Svizzera, che già da tempo hanno provveduto ad inserire la sostenibilità nelle proprie carte fondamentali.

Il Governo “Conte-Bis” porta con sé l’auspicio di inserire in Costituzione il principio dello sviluppo sostenibile come pilastro di strategia politica. Con l’obiettivo di valutare l’impatto degli investimenti pubblici in termini economici, sociali e ambientali il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) potrebbe diventare CISS, ovvero Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile.

L’introduzione del principio di sviluppo sostenibile nella Costituzione rafforzerebbe tutta la produzione normativa sia esistente (si pensi all’introduzione delle società benefit) sia successiva che dovrebbe rifarsi al dettato costituzionale e obbligherebbe il legislatore a non poter più prescindere dalla sostenibilità.

Il valore della sostenibilità 

Una proposta di legge che prevede il riconoscimento nella nostra Costituzione del valore della sostenibilità e del diritto delle nuove generazioni a ricevere una società sostenibile era già stata presentata il 23 marzo 2018. In tale proposta con la modifica dell’articolo 2 della Costituzione verrebbe allargata la portata della norma, che arriverebbe a richiedere l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale “anche nei confronti delle generazioni future”.

Con il secondo intervento, invece, la proposta di legge guarda a un altro dei principi fondamentali della Repubblica, quello indicato all’articolo 9, sulla ricerca scientifica e la tutela del paesaggio e del patrimonio artistico: si aggiungerebbero un terzo e un quarto comma, l’uno sancendo il riconoscimento e la garanzia della “tutela dell’ambiente come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» e l’altro la promozione «delle condizioni per uno sviluppo sostenibile”.

Infine, con il terzo intervento si andrebbe a modificare l’articolo 41, quello dedicato alla libera iniziativa economica privata, che disporrebbe, nella versione proposta, che l’iniziativa economica abbia come limite, oltre a quelli già previsti (dignità umana, sicurezza, utilità sociale), anche l’ambiente e che sia finalizzata non solo a fini sociali, ma anche allo sviluppo sostenibile.

Tra i punti del nuovo programma, il presidente Conte da ampio spazio a misure volte al raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030 dell’ONU al fine di indirizzare il Paese verso una solida prospettiva di crescita e di sviluppo sostenibile. Come si legge dal programma di governo, verranno definite linee guida di intervento per rilanciare piani di investimento e aumentare i margini di flessibilità allo scopo di rafforzare la coesione sociale.

Tale fase di rilancio e rinnovamento deve essere intesa come strumento per ridurre le disuguaglianze e vincere la sfida della sostenibilità ambientale.

Oggi la sfida è quella di una innovazione che sia connessa con la transizione in chiave ambientale del nostro sistema industriale, creando lavoro di qualità e attuando una economia circolare.

Il neoliberismo ha fallito

Probabilmente è necessario oggigiorno seguire la tesi dell’economista premio Nobel Joseph Stigltiz, secondo cui il neoliberismo può essere dichiarato un sistema economico fallito visto che “la crescita economica è inferiore che nel quarto di secolo dopo la Seconda Guerra Mondiale e per la maggior parte è andata a vantaggio di pochi, di chi ha la maggior concentrazione di ricchezza”.

L’ alternativa, sempre secondo Stigltiz, potrebbe essere un “capitalismo progressista” in cui lo Stato investe dove il mercato non arriva, governa il mercato per impedire che singoli individui possano arricchirsi sfruttando gli altri ed estraendo ricchezza dalla rendita piuttosto che cercare di crearla.

Lo Stato deve investire nella ricerca di base, nella tecnologia, nell’educazione e nella salute.

L’economista Stigltiz mette tra le priorità di un’agenda economica quella di “ristabilire un bilanciamento tra i mercati, lo Stato e la società civile.

I mercati attuali hanno creato gravi problemi, come la bassa crescita dell’economia, la crescita delle diseguaglianze, l’instabilità finanziaria e il degrado dell’ambiente; problemi cui i mercati non vogliono o non riescono da soli a rimediare.

I governi hanno il dovere di limitare e dar forma ai mercati attraverso una regolamentazione per l’ambiente, per la salute, per l’occupazione.

Un nuovo New Deal

Un’altra priorità è quella “riconoscere che la ricchezza delle nazioni è il risultato della ricerca scientifica e dell’organizzazione sociale che permette a grandi gruppi di persone di lavorare insieme per il bene comune.

Il mercato può ancora avere un ruolo cruciale nel facilitare la cooperazione sociale, ma soltanto se governato da un sistema di regole e di controlli democratici. Se non è così, gli individui possono arricchirsi sfruttando gli altri ed estraendo ricchezza dalla rendita piuttosto che cercare di crearla. (…) Il capitalismo progressista punta a fare precisamente l’opposto”.

Oltre che negli Stati Uniti sulla base di quel programma di New Deal portato avanti dal Presidente americano Franklin Rooseveltnegli anni Trenta del Novecento, anche in Europa è stata avanzata la richiesta per il Green New Deal. Il Green New Deal for Europe si propone un piano di riconversione ecologica e industriale “per trasformare l’economia, rimettere al lavoro un continente e salvare un pianeta”.

Il piano, si legge nella nota di lancio del gruppo italiano della campagna, “richiede alla Banca di Investimento Europea di impiegare ogni anno il 5% del Pil dell’Unione Europea a favore della transizione ecologica, spingendo le risorse europee inutilizzate verso i servizi pubblici, facendo in modo che questa non pesi sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici”.

Si tratta di affrontare seriamente la sfida dell’emergenza climatica e investire il 5% del PIL per guidare i sistemi produttivi verso la transizione di un’economia verde garantendo piena occupazione.

Spezzare un circolo vizioso

Secondo i promotori della campagna, l’Europa sta naufragando tra le due più grosse crisi che abbia mai affrontato: quella socio-economica e quella ecologico-climatica.

Decenni di tagli alla spesa pubblica hanno svuotato i servizi sociali essenziali, deprezzato le infrastrutture di base e impoverito i cittadini europei. L’austerità per di più impedisce ai singoli governi di contrastare il collasso climatico-ecologico.

Il Green New Deal per l’Europa romperebbe questo circolo vizioso ridefinendo nuovi imperativi politici, utilizzando nuove metriche economiche, re-indirizzando le attuali risorse europee attraverso le comunità di tutto il continente.

È giunta l’ora di agire insieme per un’Italia ed un’Europa più equa e più verde.

L’Italia potrebbe già fare da apripista per l’attuazione di un piano del genere; infatti tra le parole chiavi del discorso di Conte per la fiducia al nuovo Governo rientra il Green New Deal, con l’obiettivo di un radicale cambio di paradigma culturale che porti a inserire la protezione dell’ambiente e della biodiversità tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale.

I piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto ai cambiamenti climatici.

Sarà inoltre necessario adottare misure che incentivano prassi socialmente responsabili da parte delle imprese; adottare misure che incentivino la diffusione di nuovi modi di fare impresa, ad esempio assumendo la qualifica giuridica di società benefit, consentendo così alle imprese di assumersi un ruolo sociale di responsabilità, in particolare  prevedendo nei propri statuti l’impegno a perseguire non solo profitti per gli azionisti, ma anche benefici comune per la collettività. Il Governo si è impegnato a introdurre un apposito fondo che valga a orientare iniziative imprenditoriali in questa direzione.

Benefici per il consumatore

A parere di chi scrive, servono convincenti iniziative politiche per incentivare l’orientamento delle imprese ad essere più virtuose e sostenibili sul piano sociale e ambientale, grazie alla propensione del consumatore ad acquistare i sui beni e servizi; si potrebbe prevedere ad esempio:

– che i consumatori di beni e servizi acquistati da imprese sostenibili con bilancio certificato (ad esempio attraverso la nuova tecnologia della blockchain che possa garantire la tracciabilità in merito agli obiettivi di beneficio comune) e con rendicontazione di valutazione degli impatti sociali e ambientali certificata da un valutatore di impatto, abbiano la possibilità di portare in detrazione, ad esempio, una parte dell’iva che vanno a pagare per tali beni e servizi, in sede di dichiarazione come credito di imposta.

– oppure aumentare l’iva, ad esempio di un punto percentuale, per i prodotti e servizi che solitamente sono riconosciuti come inquinanti sia per i materiali usati sia per le emissioni di CO2 nella produzione. Inoltre si può destinare questo aumento dell’iva a finanziare le imprese che attuano programmi di riconversione (e che diventano società benefit) e che siano certificate e valutino gli impatti riportando i risultati alla comunità tramite rendicontazione

– e/o ridurre le aliquote iva su beni e servizi di imprese sostenibili sempre certificate e che valutino gli impatti riportando i risultati alla comunità tramite rendicontazione, per evitare il fenomeno di greenwashing.

Benefici per il risparmiatore 

Inoltre dal lato del risparmiatore/investitore (persona fisica o giuridica) e per incentivare investimenti sui risparmi in enti/fondi etici e sostenibili, si può prevedere ad esempio:

– nel caso di libretti di risparmio o similari la possibilità per il risparmiatore di destinare una parte o tutto dei rendimenti (sotto forma di interessi attivi o dividendi) ad un ente del terzo settore con finalità sociali e solidali. Il beneficio per il risparmiatore/donatore potrebbe essere una tassazione agevolata o l’esenzione per la quota destinata all’ente del terzo settore, e/o detrarre una quota di tale donazione dall’imposta sul reddito (irpef/ires);

– per i dipendenti che hanno partecipazione agli utili o premi di produttività avere la possibilità di poterli investire in Fondi comuni di investimento etici  e solidali con il vantaggio fiscale di avere le somme investite e i relativi rendimenti esentate dall’imposizione fiscale, fissando dei limiti di legge come vincoli temporali.

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