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E’ davvero passata la nottata per le banche italiane?

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Tempo di lettura: 4’. Leggibilità ***.

Le sintesi sono sempre difficili. Si rischiano approssimazioni e accuse di supponenza. Quindi nelle parole che seguono non vi è alcun intento di spiegare la condizione del sistema bancario italiano.

Ci limitiamo ad alcune domande, mettendo in fila taluni recenti accadimenti: stabilirà il lettore se vi sia un filo che li unisce per dirci del futuro bancario del nostro Paese e soprattutto di quello dei nostri risparmi.

Perché sempre sconfitti a Bruxelles e a Francoforte?

A) Mancata autorizzazione Bce alla Banca Popolare di Sondrio di assorbire la piccola Cassa di risparmio di Cento, se non previa capitalizzazione della incorporante pari alle risorse occorrenti per l’operazione.
È un segnale che non verranno consentiti consolidamenti senza adeguata immissione di nuovi mezzi finanziari? Che succederà ad altre e ben maggiori operazioni della specie, già disegnate per avviare il percorso di rafforzamento di un sistema giudicato ancora troppo disperso?

B) Esclusione dal computo del capitale della Banca popolare di Bari, la più grande del Sud, ormai prossima al default, di quattrocento milioni di dta, perché la DG Competition della Commissione europea li ritiene impropri aiuti di stato. Questa ultima (?) e pesante crisi bancaria è in tutto e per tutto simile alle precedenti in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Abruzzo, dove sono spariti i sistemi bancari regionali.  È cioè una crisi annunciata da tempo, nonostante i tentativi di rinviare il problema. Fine della illusione di creare sulle sue ceneri una banca per il Sud? Fine di uno dei tanti potentati familiari-manageriali, che hanno imperversato nelle banche italiane, senza trovare adeguato contrasto?

C) Mancata approvazione della cessione alla Sga di proprietà statale di npl da parte di Mps, un tempo terza banca italiana. È l’ennesimo episodio di una crisi bancaria che dura da oltre un decennio, senza che se ne intraveda soluzione. Si prende ancora tempo, proclamando salvifici piani industriali e proroghe della presenza dello Stato nel capitale. Intanto l’Europa continua a manifestare diffidenza. Se, come qualche interessata autorità asserisce, è estremamente difficile prevenire le crisi bancarie, dobbiamo forse ammettere che è anche impossibile curarle?

Commento

Se aggiungiamo alle precedenti vicende, la arcinota pratica Tercas del 2013, che la DG Competition della Commissione respinse per supposti aiuti di stato, condizionando i successivi interventi del Fondo di tutela dei depositi nelle crisi bancarie italiane, sembra più che legittimo il dubbio che le modalità di disbrigo delle nostre pratiche nel contesto europeo non siano state particolarmente efficaci.

Ben poca soddisfazione possiamo trarre dalla tardiva sentenza a nostro favore della Corte europea, che, a posteriori, ha quasi il sapore di beffa.

Non vi sia offesa in queste parole, ma le nostre istituzioni danno sufficienti garanzie di sapersi muovere nelle procedure dell’Unione Bancaria e della BCE?

La domanda comincia a nascere da più punti (qui un articolo da Il Sole) e andrebbe smentita incassando qualche approvazione delle nostre istanze.

Altre questioni aperte

D) Incertezze sui tempi della soluzione della crisi Carige, un tempo decima banca italiana. Dilemmi sono aperti su una possibile ulteriore logorante guerra di trincea, quali

– verrà impugnata da qualche socio la delibera assembleare che vede l’ingresso nel capitale del Fondo di tutela dei depositi (a titolo privato) e di Cassa Centrale Banca, quest’ultima alle prese con i dubbi di non poche BCC del gruppo sulla dispendiosa operazione, fuori da ogni pregressa esperienza,

– sono attendibili le voci di quotazione in borsa della nuova Carige, per attirare nuovi capitali, necessari per l’impegnativo e rischioso piano di rilancio? Il piccolo azionista dovrebbe comprare titoli della specie?

F) Il piano industriale, definito (e respinto) dai sindacati perché lacrime e sangue, di Unicredit (450 sportelli da chiudere, 8.000 esuberi) riguarda la prima banca italiana per dimensioni. Dopo le recenti cessioni di controllo di attività tipiche di qualsiasi banca universale (segnatamente buona parte della rete estera e le partecipazioni in società del risparmio gestito e in Mediobanca), quale ne sarà il futuro, una volta ridotta a ordinaria banca commerciale? Ricomincerà a fare credito all’economia o si porrà come preda sul mercato europeo, portando in dote una cospicua fetta di risparmio liquido e a buon mercato degli italiani?

G) Sono probabili altre crisi nelle banche di piccole dimensioni, soprattutto Banche Popolari. Accomunano spesso queste banche modelli di governo desueti, presidenti padri-padroni in carica da qualche decennio, con posizioni di rendita e di conflitto di interesse, come richiede ogni pervicace azione di mantenimento del potere. Più in generale, quale sarà il futuro del local banking, un tempo osannata leva di sviluppo della pmi italiana? È destinato a scomparire definitivamente?

Commento propositivo

La crisi ha distrutto patrimoni non solo fisici e finanziari, ma anche di informazioni, conoscenze, capacità e competenze della clientela delle banche. Sono capitali che non si ricostituiranno facilmente e rapidamente. Quanta di questa perdita è da attribuire alle incapacità delle banche di affrontare le crisi di impresa, guidate dall’ansia di ripulire i loro bilanci e di riconquistare statiche condizioni di sicurezza (leggi: maggiori requisiti patrimoniali)?

Nella montagna di sofferenze bancarie (350 miliardi, quasi un quarto di tutte quelle europee), quanti bambini, cioè imprese, sono stati immeritatamente gettati via con l’acqua sporca, secondo il noto proverbio? Saranno nuovi competitors internazionali del digital banking (lending&payments) a fare scorrerie a buon mercato tra le PMI italiane?

Dovrebbe essere obiettivo del banking italiano investire per ricostruire nuove micro relazioni di clientela, ripartendo dai servizi di pagamento. Essi sono infatti all’origine di ogni altra attività bancaria, dalla raccolta al credito.
Ci si dovrebbe concentrare maggiormente su tipologie operative di standard europeo, abbandonando peculiarità nazionali costose e poco trasparenti.

Soprattutto tramite offerte di servizi di acquiring, potrebbero essere instaurate nuove opportunità di business verso le pmi.

La condizione del new banking riposa anche su nuove regole di buon governo societario, che aiuti il ricambio delle aristocrazie locali del credito.

È di buon auspicio l’attenzione che la Vigilanza di BCE sta rivolgendo ai requisiti di onorabilità e di professionalità degli esponenti aziendali, secondo criteri più rigidi rispetto a quelli nazionali, dimostratisi sin troppo laschi. Auguriamoci una nuova e più efficace selezione del genotipo del banchiere italico!

Conclusioni

Pur avendo promesso all’inizio di non tirare generiche conclusioni, viene da pensare che la questione bancaria italiana sia tutt’altro che risolta. Comincia un’altra fase, forse meno drammatica degli anni orribili dei fallimenti bancari, ma non certo rassicurante circa l’adeguatezza della infrastruttura ad affrontare la sfida tecnologica.

Riteniamo che questo sia il tema portante d’ogni analisi sul banking italiano, non tanto quello di fare confronti con altri sistemi. La recente tendenza di richiamare le criticità di quello tedesco e la disinvoltura delle sue autorità nel ricorrere a risorse pubbliche sembrano sottendere il qualunquismo del “mal comune mezzo gaudio”. Al di là di qualche sussulto di orgoglio nazionale, è difficile che tale impostazione ci possa essere d’aiuto.

Senza che politica, istituzioni, industria bancaria diano convincenti dimostrazioni di introdurre policy adeguate affinché le nostre banche rispondano alle esigenze di ripresa, ogni altra considerazione rimane infruttuosa.

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