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Pronti per il Giudizio Universale? Il cambiamento climatico in tribunale

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Nota della Redazione

Economia&FinanzaVerde è lieta di annunciare l’inizio di una nuova rubrica intitolata “Pillole di Diritto Internazionale”, che di volta in volta illustrerà questioni di attualità, riguardanti anche l’Italia, attraverso le lenti del Diritto Internazionale.
Lo scopo è di aiutare i lettori a decifrare problemi di cui spesso i media discutono senza tenere nel giusto conto il quadro giuridico di riferimento né gli obblighi che il nostro Paese ha sottoscritto in ambito internazionale, rendendolo responsabile delle loro violazioni. 
La curatrice della rubrica è Francesca Capone, ricercatrice e docente di Diritto Internazionale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, che coordinerà i contributi anche di altri ricercatori della materia. Cominciamo con questo interessante articolo sulle responsabilità dello Stato italiano nel mancato controllo del rischio climatico.

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La prima causa climatica italiana

Mentre si parla sempre, e non sempre correttamente, di cambiamento climatico, pochi cittadini, forse pochissimi, sanno che in Italia recentemente, per la precisione il 5 giugno scorso, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, è stata lanciata la prima causa climatica italiana.

Al termine della Seasonal School su “Climate Change and International Law: Interdisciplinary Perspectives” che ho coordinato a luglio, ho invitato due giovani attivisti (uno dei quali coinvolto anche in veste di avvocato) a parlare di questa azione legale.

Oltre duecento ricorrenti, nello specifico 24 associazioni ambientaliste, 162 adulti e 17 minori, hanno citato in giudizio lo Stato italiano, rappresentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’assenza di politiche ambientali efficaci nel contrasto al cambiamento climatico. La causa legale, che è stata promossa nell’ambito della Campagna Giudizio Universale, fa parte dei così detti contenziosi climatici promossi dalla società civile in oltre 40 paesi di tutto il mondo. Dopo una brevissima parentesi per introdurre i concetti principali, questo post si soffermerà sugli obiettivi della causa e sulle richieste specifiche sottoposte dai ricorrenti al giudice.

Premessa: quale cambiamento?

Nel corso di questa estate in molti hanno puntato il dito contro il cambiamento climatico per giustificare, o meglio individuare un colpevole, per gli eventi estremi che si sono verificati in Italia e che hanno causato esondazioni dei corsi d’acqua, frane, campi allagati e alberi sradicati.

La recente analisi della Coldiretti basata sui dati ESWD (European Severe Weather Database), in riferimento all’ultima ondata di maltempo che ha colpito a macchia di leopardo le città e le campagne del nord Italia, conferma senza scampo il verdetto di colpevolezza. Il rapporto specifica che sono 1200 gli eventi estremi che si sono verificati fino ad ora in Italia nel 2021, con un aumento del 56% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso tra nubifragi, alluvioni, trombe d’aria, grandinate e ondate di calore.

Se la situazione nel nostro Paese si presenta a tratti allarmante, non stupirà apprendere che non siamo soli a fare i conti con le conseguenze, di medio e lungo termine, attribuibili a quello che gli scienziati chiamano cambiamento climatico, e che l’Articolo 1(2) della Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (UNFCCC) entrata in vigore nel 1994 (e prontamente ratificata, come tutti i successivi accordi sul clima, anche dall’Italia) definisce come “il cambiamento del clima che sia attribuibile direttamente o indirettamente ad attività umane, che alterino la composizione dell’atmosfera planetaria e che si sommino alla naturale variabilità climatica osservata su intervalli di tempo analoghi”.

Il 9 agosto scorso, i media internazionali hanno riportato la notizia dell’attesissima pubblicazione della prima parte dell’ultimo rapporto del Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC). Secondo il rapporto gli scienziati rilevano cambiamenti nel clima della Terra in ogni regione e in tutto il sistema climatico.

Stiamo parlando della più esaustiva e aggiornata rassegna della conoscenza scientifica sui cambiamenti climatici per i governi, la comunità scientifica internazionale e l’opinione pubblica mondiale; quindi si tratta in buona sostanza di informazioni che, se metabolizzate in maniera costruttiva, possono fornire ai leader mondiali le chiavi per rispondere in maniera adeguata alla peggiore crisi dei nostri tempi.

In questa sede non è possibile soffermarsi sul contenuto del primo volume del Sesto Rapporto di Valutazione dell’IPCC (una sintesi in italiano dei messaggi principali è già disponibile sul sito di questo essenziale organismo internazionale), ma in buona sostanza i cambiamenti climatici sono diffusi, rapidi e si stanno intensificando. Tuttavia, forti e costanti riduzioni di emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altri gas serra limiterebbero senza dubbio questi cambiamenti, consentendo di raggiungere l’obiettivo di non superare il livello di riscaldamento globale di 1,5°C nei prossimi decenni (da notare: anche se un precedente rapporto dell’IPCC ha indicato 1,5°C  come limite ultimo per l’aumento della temperatura globale, l’Accordo di Parigi del 2015 non è riuscito a dare seguito a questo avvertimento, fissando come obiettivo per gli Stati parte, tra cui l’Italia, quello ben più modesto di mantenere ben al di sotto dei 2 gradi Celsius l’aumento della temperatura media globale rispetto al periodo preindustriale).

La parola magica quindi è, sempre e comunque, riduzione delle emissioni dei gas serra. Pertanto, ancora una volta, la palla è nel campo di chi ha concretamente il potere di approvare ed implementare queste riduzioni, i.e. in primis gli Stati. E sono proprio loro, gli Stati, abituati ad ignorare nel 99,99 % dei casi le istanze dei propri cittadini, i destinatari principali delle sempre più diffuse azioni legali, tra cui si colloca appunto quella contro l’Italia, che sollevano questioni di diritto o di fatto concernenti il cambiamento climatico.

Gli obiettivi della causa

La premessa scientifica da cui parte la causa è che l’Italia è un hot-spot climatico (ossia uno spazio ad altissima vulnerabilità ambientale e umana) e lo Stato Italiano, pur essendone pienamente consapevole, non sta facendo (né ha in programma di fare) abbastanza per proteggere i suoi cittadini dall’incremento dei danni causati dall’instabilità del sistema climatico. In altre parole lo Stato sa, e ha ammesso pubblicamente in più occasioni, che il cambiamento climatico rappresenta una “minaccia urgente” potenzialmente irreversibile, riconosce che la scienza è certa nell’esigere azioni che siano risolutive ed immediate, ammette la situazione di emergenza climatica eppure non risponde alla crisi in corso in maniera adeguata.

Cosa vuol dire concretamente non rispondere in maniera adeguata?

Come spiegato nella sintesi redatta a scopo divulgativo della Campagna Giudizio Universale, secondo le proiezioni del governo, l’Italia ha fissato il modesto obiettivo complessivo di ridurre le emissioni del 29% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, il Governo ha approvato delle misure aggiuntive, indicate nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), le quali dovrebbero portare a una riduzione delle emissioni nel 2030 del 36% rispetto ai livelli del 1990.

Ma secondo i ricorrenti questa riduzione, nonostante le misure extra che sono state approvate, resta incompatibile con la “quota equa” (fair share), ossia il giusto contributo di riduzione delle emissioni che l’Italia è tenuta ad implementare al fine di rispettare l’obiettivo di mantenere ben al di sotto dei 2 gradi Celsius l’aumento della temperatura media globale sancito dall’Accordo di Parigi e ancora di più quello di 1.5 gradi Celsius stabilito dall’ IPCC.

Sulla scia dei ricorsi presentati davanti alle corti nazionali in Olanda (celebre la sentenza che ha messo fine alla saga Urgenda nel 2019, quando la Corte suprema olandese ha condannato il governo a ridurre ulteriormente le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020), Francia, Germania, Pakistan, Australia et altri, come attori della causa, hanno chiesto al Tribunale civile di Roma una pronuncia che condanni lo Stato italiano al rispetto dei suoi obblighi internazionali (sia derivanti dai trattati internazionali come l’Accordo di Parigi sia quelli sottoscritti a livello regionale, quindi derivanti dal diritto UE e dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) e all’adozione delle iniziative di abbattimento delle emissioni di gas serra, necessarie a realizzare la stabilizzazione climatica e contestualmente garantire la tutela effettiva dei diritti umani per le presenti e future generazioni.

Ancora più nel dettaglio, i ricorrenti hanno avanzato richieste specifiche, che, se accolte, comporteranno un vero e proprio cambiamento di rotta delle politiche sul clima e degli scenari emissivi del nostro Paese:

“a. dichiarare che lo Stato italiano è responsabile della situazione di pericolo derivante dalla sua inerzia nel contrasto all’emergenza climatica;

b.condannare lo Stato ad abbattere le emissioni di gas serra del 92%, anziché del 36%, entro il 2030 rispetto di livelli del 1990.”

Solo attraverso queste azioni sarà possibile, secondo i ricorrenti, raggiungere l’obiettivo di garantire a tutti i cittadini italiani il godimento del diritto umano al “clima stabile e sicuro”, il cui riconoscimento è stato recentemente affermato anche dalla Risoluzione del Parlamento europeo sull’ “European Green Deal”, del 15 gennaio 2020.

In attesa di Giudizio

Come è intuibile anche da chi non ha una formazione giuridica, ci sono diversi ostacoli procedurali (che non è qui il caso di introdurre e/o discutere, per un’analisi dettagliata dell’azione legale si veda l’articolo del mio collega Riccardo Luporini) che rischiano di rendere vani gli sforzi dei ricorrenti, senza però inficiarne l’importanza e l’utilità.

Innanzitutto, è rilevante sottolineare che non si tratta di episodi sporadici o di un fenomeno isolato, ma la presa di coscienza collettiva sull’emergenza climatica in corso sta promuovendo azioni volte a mettere in luce i doveri proattivi degli Stati. In Europa e nel mondo, il contenzioso climatico ha preso piede contribuendo ad affermare principi per nulla scontati, come il riconoscimento del legame tra cambiamento climatico e violazioni dei diritti umani. E si spera che queste azioni legali si traducano anche in uno stimolo per gli Stati, chiamati a breve a prendere delle decisioni importanti durante la 26a Conferenza delle Parti (COP) sulla Convenzione ONU sul cambiamento climatico (COP26) a Glasgow, organizzata, peraltro, in partnership da Regno Unito e Italia.

Quello che gli attori chiedono, in Giudizio Universale e altresì in tanti casi davanti ai giudici di mezzo mondo, non è un risarcimento monetario per i danni subiti. L’obiettivo è che venga ribadito il ruolo centrale dello Stato nel contrasto al cambiamento climatico e che gli impegni presi sul piano internazionale vengano tempestivamente tradotti in azioni che consentano alle persone di godere di un clima stabile e sicuro.

In conclusione, il messaggio da ribadire, usando le parole del Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, è che “l’emergenza climatica è una sfida che stiamo perdendo, ma che possiamo ancora vincere”. Lo scopo ultimo di iniziative come Giudizio Universale è esattamente quello di provare a vincere.

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