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Che cos’è la biodiversità

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Lago di Burano (Grosseto), una delle ultime aree umide della Maremma dopo le bonifiche

Tempo di lettura: 10’.

Definizione di biodiversità

La biodiversità può essere definita come la ricchezza di vita sulla terra: i milioni di piante, animali e microrganismi, i geni che essi contengono, i complessi ecosistemi che essi costituiscono nella biosfera.

Con specifico riferimento alla realtà nazionale, valgono le indicazioni delle Linee strategiche per l’attuazione della convenzione di Rio (1992) e per la redazione del Piano Nazionale della Biodiversità del 1994, che inquadrano il monitoraggio della biodiversità attraverso un insieme di attività: 

  • conoscenza del patrimonio di biodiversità;
  • educazione e sensibilizzazione;
  • interventi per la conservazione in situ delle aree protette;
  • promozione delle attività sostenibili;
  • interventi per la conservazione ex situ;
  • regolamentazione e controllo delle biotecnologie;
  • cooperazione internazionale in materia.
Leggi sulla tutela ambientale e aree protette

Pianificazione, progettazione ed aree parco in Italia: è solo nel 1991 che l’Italia formula una legge quadro sulle aree protette, chiudendo un percorso iniziato quasi un secolo prima, che aveva portato nel 1922 alla istituzione del primo Parco Nazionale del Gran Paradiso, nel 1939 alla legge per la tutela del paesaggio, formulata secondo un approccio estetico che non tiene conto dell’importanza scientifica ed ecologica che le aree naturali protette rivestono. Quella legge è tutt’ora vigente, per quanto integrata con la legge Galasso del 1985, che contiene una maggiore consapevolezza della vulnerabilità delle risorse dei territori. Ulteriore sviluppo normativo è rappresentato dal Testo Unico sui Beni Culturali ed Ambientali del 1999 e dal Testo Unico sul Paesaggio del 2004.

La promulgazione della legge quadro costituì un evento storico sia per il tempo percorso che per il mutamento di concezioni sulla conservazione della natura, da tutela delle bellezze paesaggistiche alla comprensione dei valori ecologici, scientifici ed economici. Il fine della legge non è solo la conservazione del bene naturale, ma la sua valorizzazione senza turbarne gli equilibri.

Un ulteriore arricchimento di contenuti della legge quadro includente le caratteristiche antropologiche, storiche e culturali locali ci viene dalla legge del 1998, relativa a “nuovi interventi in campo ambientale” la quale all’art. 28 sottolinea la volontà di valorizzare, oltre gli aspetti ambientali e naturali, gli usi, i costumi, le consuetudini e le attività tradizionali nonché le espressioni culturali delle popolazioni residenti.

Inoltre l’Unione europea, individua linee strategiche ed obiettivi al fine di garantire la tutela ambientale e la pianificazione del territorio già a partire dal 1973. La politica ambientale comunitaria costituisce di fatto un successo nella storia dell’Unione Europea capace di sensibilizzare ed incidere sulle scelte degli Stati membri.

In Italia, ad oggi, sono state istituite 843 aree protette terrestri (e terrestri con parte a mare) per una superficie protetta di oltre 3 milioni di ettari, pari a circa il 10,5% della superficie nazionale.

Punti notevoli di biodiversità (hotspot)

Sono caratterizzati da livelli di biodiversità biologica particolarmente elevati che è minacciata da perdita di habitat, cambiamenti climatici ed estesa perdita di specie. Ecco alcuni esempi.

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Tra i profumi della macchia mediterranea in primavera, un’immagine caratteristica del Parco Naturale della Maremma (Istituito con Legge Regione Toscana 5 giugno 1975 n.65), la laguna di Burano è una delle ultime aree umide della Maremma Toscana, dopo le bonifiche.

I monti dell’Uccellina, coperti della fitta trama della macchia mediterranea, delimitano a oriente un mondo naturale unico: delle zone palustri, Bocca d’Ombrone, le maestose pinete volute dai Medici e incastonate in una rete di canali bordate dai giunchi, sino alle dune litoranee di sabbia finissima e, sul confine meridionale, al golfo di Talamone che si apre verso l’arcipelago Toscano.

La definizione di luogo notevole (hotspot) è dibattuta, molte funzioni concentrano la propria attenzione sulle piante vascolari, altre espandono il concetto ad altri organismi viventi.

Come regola generale, per essere considerata un “hotspot” una regione deve avere un’alta proposizione di specie endemiche (che non possono essere trovate in nessun altro luogo del pianeta) deve essere minacciata.

Perdita del 70% della vegetazione nativa, per esempio, è un fattore che viene comunemente utilizzato come indicatore di una seria minaccia per un hotspot di biodiversità.

Queste regioni contengono circa il 60% di tutte le specie del pianeta terra, molte di queste sono endemiche; danneggiare gli hotspot potrebbe essere causa di un drastico aumento delle estinzioni.

Le unità dell’ecologia: definizioni e concetti

Biocenosi: sono biocenosi tutte le collettività formate da piante e animali.

Biodiversità: varietà delle forme viventi in un ambiente. La biodiversità viene in genere studiata a tre diversi livelli, che corrispondono a tre livelli di organizzazione del mondo vivente: quello dei geni, quello delle specie e quello degli ecosistemi.

Biodiversità genetica: le differenze osservabili negli individui appartenenti a una stessa specie sono dovute a due fattori fondamentali: le differenze contenute nel materiale genetico, conservato all’interno degli organismi e trasmesso di generazione in generazione; le variazioni prodotte dall’ambiente su ciascun individuo.

Biodiversità delle specie: numero delle specie presenti in un dato territorio o ecosistema; costituisce una delle possibili stime della biodiversità di un luogo; esso può essere anche utilizzato come termine di paragone con altre zone. La ricchezza di specie viene considerata come la misura generale di biodiversità più semplice e facile da valutare, anche se non può che rappresentare una stima approssimativa e incompleta della variabilità presente tra i viventi.

Biodiversità degli ecosistemi: struttura e funzioni degli ecosistemi; sappiamo che gli organismi viventi e il loro ambiente sono inseparabilmente vincolati da mutui rapporti di scambio e che le interazioni, quantificabili attraverso parametri energetici (trasferimento di energia e di materia), costituiscono un carattere fondamentale di ogni ecosistema. 

Sotto l’aspetto morfologico-strutturale, l’ecosistema può essere descritto e caratterizzato per mezzo delle sue componenti, che si possono così compendiare.

  1. Componenti abiotiche: 

clima (temperatura, luce, umidità e altri fattori fisici): risultante dall’interazione fra atmosfera (radiazioni, aria), idrosfera (masse di acqua, correnti, ect. e litosfera (latitudine, fisiografia ect.).

Sostanze nutritive: composti inorganici, che entrano nei cicli, dell’ecosistema, provenendo in origine dell’atmosfera, dall’idrosfera, dalla litosfera e dal suolo, composti organici (carboidrati, protidi, lipidi, humus, ect.) che derivano dagli organismi viventi e che fanno da legame fra le componenti biotiche e quelle abiotiche.

  1. Componenti biotiche: formate dagli organismi viventi (vegetali, animali e protisti) che si possono riunire in categorie secondo le funzioni:

produttori, cioè organismi autotrofi che si identificano in massima parte con le piante verdi e che edificano le sostanze organiche partendo da sostanze inorganiche (autotrofi); 

consumatori organismi eterotrofi (animali e alcuni vegetali) che si cibano di sostanza organica di origine vegetale o animale; 

riduttori (o decompositori) anch’essi eterotrofi, come i batteri e i funghi, si nutrono di composti organici del protoplasma morto liberando elementi nutritivi (o composti semplici) inorganici, che saranno poi assunti da produttori per formare nuova sostanza organica in presenza di una sorgente di energia.

Sotto l’aspetto trofico-funzionale, l’utilizzazione della energia luminosa, di sostanze inorganiche semplici (C, N, CO2, H2O, include nei cicli delle materie) e la sintesi di sostanze organiche complesse, sono prevalentemente compito della componente eterotrofa dominano l’utilizzazione, la rielaborazione e la decomposizione delle sostanze organiche complesse. 

Ecosistemi terrestri: di struttura più complessa gli ecosistemi terrestri (foresta, prateria, campo coltivato, ect.) offrono all’indagine maggiori difficoltà sia per la molteplicità delle componenti biotiche che intervengono nei trasferimenti e nelle trasformazioni energetiche, sia per la variabilità dei fattori abiotici che agiscono sul flusso dell’energia di momento in momento di punto in punto, materia soggetta a ulteriori sviluppi e approfondimenti.

Ogni ecosistema va tuttavia soggetto a variazioni numeriche sia a livello delle specie, sia a livello degli individui e queste variazioni numeriche hanno per effetto il cambiamento delle condizioni energetiche dell’intero ecosistema. Un sistema è strutturalmente stabile quando i mutamenti numerici di una specie non provocano sensibili mutamenti nelle altre specie congiunte nelle catene o reti trofiche che non impediscono quindi un rapido ritorno alla normalità. Si ha invece una struttura instabile quando le variazioni numeriche di una specie si ripercuotono energicamente su altre specie dell’ecosistema.

E’ oltre modo raro ai giorni nostri trovare ecosistemi naturali nei quali, direttamente o indirettamente, l’azione antropica non si è fatta sentire a diversi livelli. L’uomo, comportandosi come un consumatore nelle vesti di agricoltore, selvicoltore, cacciatore, pescatore, industriale, agronomo, ect., agisce non solo su le componenti biotiche, ma anche su quelle abiotiche e merobiotiche. La conseguenza generale più grave di tali azioni è l’alterazione dell’omeostasi degli ecosistemi naturali fino alla scomparsa di questi, che possono venire sostituiti parzialmente e imperfettamente con altre, costose strutture semi-naturali o artificiali. Sia hanno tuttavia, specialmente in selvicoltura casi in cui l’uomo riesce a conciliare le proprie necessità con l’omeostasi degli ecosistemi e altri – la grande maggioranza – in cui i sistemi naturali subiscono profondi squilibri o vengono addirittura annientati (mantenere un ambiente interno constante per permettere a tutte le cellule di sopravvivere è necessario per la sopravvivenza sia di ciascuna cellula che per l’intero organismo. I vari processi attraverso i quali il corpo regola il proprio ambiente interno vanno collettivamente sotto il nome di omeostasi).

Le agricolture “ecologiche” 

Per dare un’idea della posizione dell’agricoltura ai giorni nostri, dei compiti e dei limiti che le spettano, delle spinte che subisce e di quelle che provoca, bisogna partire da alcune considerazioni del quadro generale della situazione.

La prima considerazione è che non ci troviamo più in un mondo primitivo, che non viviamo più entro ecosistemi intatti o poco alterati come erano quelli di 10 o 15 mila anni fa. Nonostante gli ostacoli offerti da molti ambienti fisici e nonostante i grandi divari di sviluppo economico e sociale da una regione all’altra, ora non c’è più un solo lembo che, in un modo o nell’altro, l’uomo non abbia manipolato. Dobbiamo riconoscere che, specialmente nei paesi industriali, è stata ormai varcata ecologicamente la soglia della giovane età nella quale i ritmi di accrescimento ammettevano senza troppi sussulti e con vantaggio lo sfruttamento, d’altronde contenuto, delle risorse accessibili, congiunto di norma a forti profitti economici. Ora siamo in una fase di reperimento affrettata dalla tecnologia moderna, in cui il sistema ecologico-sociale ha raggiunto un livello di saturazione, che dovrebbe far posto a valutazioni più consapevoli di fronte a fenomeni di portata decisiva come il controllo delle nascite e il riciclo delle risorse naturali.

Un equilibrio governato fra giovinezza e maturità, o, se si preferisce, una simbiosi fra cultura umanistica e progresso tecnico tali da evitare al sistema socio-ambientale di decadere irreversibilmente, diventa condizione indispensabile per superare l’attuale crisi determinata dagli sviluppi esponenziali, sui quali il potere economico e finanziario mondiale (FMI, Banca Mondiale, l’organizzazione mondiale del commercio, World Economic Forum, Commissione Europea) sembra essersi defilato dall’economia e dalla finanza applicate alle politiche agricole. 

Questo nuovo ordine investe frontalmente anche l’agricoltura. Comunque ne vengano giudicate le funzioni, l’agricoltura non potrà avere solamente l’obiettivo della massima produzione perseguita a qualsiasi costo. Per troppi aspetti il campo e il frutteto stanno intimamente in quel medesimo ambiente, che è indispensabile all’uomo non solo per procurarsi le calorie e le proteine, ma anche per tutelarsi contro le cause avverse, per disporre di acqua e di aria salubri, di paesaggi abitabili e di varie “comodità”, divenute complemento integrante di vita, alle quali egli provvede mediante l’industria. E’ chiaro che tali esigenze sono fra loro in contrasto. Ai giorni nostri l’eterno conflitto fra uomo e natura assume toni più aspri che nel passato per cause a tutti note: nei termini attuali, la strategia della massima produzione, poiché in agricoltura non è possibile esaltare simultaneamente le funzioni di uno stesso ecosistema per scopi diversi o addirittura antitetici. L’agricoltura è sempre più spinta a forti produzioni in brevi cicli, ottenute con esigue biomasse lasciate al paesaggio, cioè col più alto rapporto produzione/biomassa. La natura, come è dimostrato dai processi spontanei di successione dalla prateria al bosco, segue invece la strada opposta, elevando il rapporto biomassa/produzione. 

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Val di Chiana un paio di Vacche Chianine intente a tirare un aratro – Foto metà del secolo scorso 

L’uomo agricoltore: anticamente l’attività agricola era condotta su basi semplicissime di sussistenza o di autoconsumo. Nell’agricoltura di sussistenza i prodotti della fattoria sono diretti alla sopravvivenza e ai bisogni locali, con un basso o inesistente surplus. Le decisioni di semina sono fatte principalmente tenendo conto di che cosa la famiglia avrà bisogno l’anno successivo: domesticazione di piante ed animali, loro allevamento in ecosistemi semplificati, per lo più in forma di monocolture, dalle quali l’uomo ritraeva l’energia senza la preoccupazione per ciò che gli era offerto “ad abundantiam” dai vasti spazi di incolto non assoggettabile alle colture. L’alternarsi ai campi e ai villaggi di ecosistemi naturali di differenti età e strutture, come le foreste, i laghi, i fiumi, ect., garantivano lo scambio dei gas, la purificazione delle acque, i cicli degli elementi nutritivi, nonché il permanere, sull’insieme degli ecosistemi, della naturale capacità di autoregolazione.

Inoltre, seppur istintivamente, l’uomo applicava alle pratiche agricole le leggi fondamentali dell’ecologia, in particolare quelle dell’equilibrio energetico del sistema e dei fattori limitanti, principalmente il ciclo dell’acqua e delle sostanze nutritive; l’agricoltore risiedeva sulla terra che coltivava, si limitava a lavorarla quando i primitivi mezzi lo consentivano e ritornava ad essa i resti delle colture, le spoglie degli animali e gli altri rifiuti organici.

L’ecosistema, benché non sempre bilanciato, non subiva traumi tali da incepparne il funzionamento e, almeno a lunghi periodi, aveva la possibilità di recuperi equilibratori. Le accresciute esigenze di cibo, sollecitate dalla rapidità di crescita del genere umano, ha imposto da qualche secolo l’industrializzazione dell’agricoltura e tale trasformazione si è compiuta mediante cospicui sussidi energetici introdotti dall’esterno, mediante l’uso di pesticidi di sintesi e l’introduzione di colture monospecialistiche di piante (e di allevamento di animali) selezionate che richiedono assidue cure colturali (protezione) e continui apporti energetici  (concimazioni, lavorazioni, integrazioni nutritive, ect.).

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L’agricoltura industriale

Rispetto all’agricoltura convenzionale, quella industriale è un modello competitivo e intensivo di agricoltura sviluppatosi nel secolo scorso intervallata dalla grande depressione del ‘29. L’agricoltura industriale è caratterizzata da grandi aziende che producono la stessa coltura anno dopo anno, con un utilizzo intensivo di fertilizzanti chimici, erbicidi e pesticidi, rendendo difficile continuare a parlare ancora di ecosistemi.

Sappiamo che la struttura di ogni ecosistema naturale si basa su tre componenti, formate da molti organismi interdipendenti, ciascuno con proprie funzioni e limiti. Nell’agricoltura industriale, la prima componente, quelle degli autotrofi, cioè delle piante verdi che sono l’oggetto principale della coltivazione, viene in gran parte esportata nelle città e quindi allontanata dalla terra. Il posto dei consumatori -seconda componente- in origine popolazioni rurali e animali domestici che utilizzavano suo posto tutto io raccolto restituendone alla terra resti, è stato preso dagli abitanti dei centri urbani.

Così il raccolto viene separato dalla sede di produzione dove si cerca altresì di aumentare la biomassa della parte commestibile del prodotto a scapito della rimanente sostanza organica. Inoltre la tendenza ad isolare l’allevamento zootecnico da quello vegetale sostituendo l’alimentazione libera e l’integrazione dei bovini nel sistema con impianti autonomi da cui gli escreti tornano al suolo soltanto in parte.

E infine la terza componente, quella dei bioriduttori, trovano nella moderna agricoltura condizioni sempre più difficili di vita sia per la scarsità di nutrimento, sia perché sistematicamente decimata in seguito alla distruzione delle proprie nicchie per opera della lavorazione meccanica, sia perché direttamente o indirettamente danneggiata da antiparassitari e erbicidi. La somministrazione di questi composti di sintesi non biodegradabili è responsabile non solo di un impoverimento del numero di popolazioni, con aumenti talora vistosi di poche specie, ma anche di profonde alterazioni delle piramidi ecologiche e delle catene alimentari; allo stesso modo i rifiuti organici delle stalle che, trasportati dalle acque di superficie, invece di rientrare nel circolo vanno ad aggravare l’impatto ambientale in campagna e in città. Istruttivi esempi di modelli di ecosistema agricolo, con circuito analogo a quello elettrico, sono stati elaborati da Howard Thomas Odum, per le agricolture primitive, alimentate essenzialmente dall’energia solare, e per quella industriale sussidiata, nella quale gli elevati raccolti derivano da forti immissioni di combustibili fossili che sostituiscono, abolendone le reti, il lavoro negli altri modelli compiuto dall’uomo e dagli animali. In tal modo, riducendo il consumo degli autotrofi e degli eterotrofi, la produzione primaria netta si accresce a vantaggio dell’uomo.

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4 COMMENTS

  1. Articolo molto interessante e ricco di informazioni che inducono a varie riflessioni, tanto più che l’argomento è molto attuale… Una domanda fra le molte che la lettura del testo sollecita: quali sono i compiti che ci aspettano?

  2. Gent.mo Stefano,
    da cinque miliardi di anni la Terra è andata incontro a incessanti e spesso sconvolgenti mutamenti per opera di eventi, nei quali l’uomo non ha avuto alcuna parte. Tutt’ora sono in corso i processi di livellamento della crosta terrestre, delle eruzioni vulcaniche, dei terremoti, ect. , che l’attività umana non ha il potere di controllare. Ma di altri, come l’estinzione di specie animali e vegetali, l’annientamento degli ecosistemi naturali, le trasformazioni del paesaggio, la contaminazione dell’aria, dell’acqua e del suolo, l’uomo è invece diventato il principale agente ecologico.
    Senza dubbio ulteriori cambiamenti dell’ambiente saranno inevitabili. Consumatore per eccellenza, l’uomo ha carpito alla natura molti segreti, ne ha rielaborato i prodotti fino ad arrivare ad autentici prodigi di tecnologia, ma non è ancora riuscito a dominare i bilanci dei cicli naturali, né a creare nulla dal nulla. Censire le risorse attuali e potenziali, conoscere molto più a fondo il dinamismo degli ecosistemi, far progredire la scienza e la tecnica: ecco, al punto in cui siamo, ciò che occorre per amministrare l’economia della terra con l’informazione necessaria ad evitare altre rischiose avventure. Ma forse occorre un’altra cosa ancora: un po’ più di umiltà. Noi corriamo davvero il rischio di rendere inabitabile il mondo per eccesso di presunzione e potremmo finire col rimanere vittime di quello stesso progresso al quale ci affidiamo per salvarci.

  3. Trasformazioni degli ecosistemi urbani: Il 22 ottobre 2014 è stato pubblicato il REGOLAMENTO (UE) 1143/14 che introduce misure di prevenzione e lotta alle specie invasive di rilevanza Unionale.
    Le specie invasive in Italia sono specie aliene di animali, vegetali e funghi che sono riuscite ad adattarsi in maniera eccellente a specifici habitat interni al territorio nazionale (Parchi e giardini) causando danni all’ecosistema e/o alle popolazioni umane.
    Le invasioni biologiche sono una minaccia emergente e vengono oggi considerate una delle cinque principali cause della perdita di biodiversità, insieme alla distruzione degli habitat, allo sfruttamento eccessivo delle risorse, ai cambiamenti climatici e all’inquinamento. Alcune specie sono state introdotte in Italia volontariamente, come animali allevati a fini produttivi, animali domestici o piante ornamentali, mentre altre sono giunte involontariamente attraverso gli scambi commerciali o rotte turistiche.
    Secondo L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale stima che siano oltre tremila le specie aliene presenti nel territorio nazionale.

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