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L’autonomia regionale differenziata fatta di slogan

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L’articolo 116 della Costituzione rende possibile attribuire condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (“regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”) ferme restando le competenze di cui godono le Regioni a statuto speciale.

L’ambito nel quale possono essere riconosciute tali forme di autonomia concerne le 23 materie che l’art. 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente più un ulteriore limitato numero di materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). A una prima lettura, si capisce subito che è materia complessa e soprattutto cervellotica.

L’attribuzione di tali forme di autonomia deve essere stabilita con legge rinforzata che è formulata sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119 Cost. in tema di autonomia finanziaria, mentre, dal punto di vista procedurale, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti. In tale contesto si inseriscono i 10 articoli del DDL Calderoli con le disposizioni per l’attuazione del regionalismo differenziato e l’individuazione dei LEP-Livelli Essenziali delle Prestazioni. Avverto di non essere sicuro che il riferimento al testo della riforma, ora richiamato, sia quello definitivo; ma tant’è in questa materia di definitivo da anni c’è ben poco.

In questo breve articolo, vorrei sottolineare come questo complicato percorso in concreto è stato avviato e portato avanti dal Veneto che da sempre è fautore di forme rafforzate di autonomia, grazie anche a un referendum consultivo promosso nel 2017. Il risultato fu eclatante con una percentuale bulgara del 98 per cento, solo che votarono poco più del 50 per cento degli aventi diritto. Questo pronunciamento della volontà popolare dei veneti bastò a far sì che la regione da allora in poi sarà portabandiera indiscussa di questa travagliata e intricata riforma costituzionale.

Tralascio le note questioni e i dibattiti infiniti sui LEP, la perequazione tra tutte le regioni e la quantità senza fondo di risorse finanziarie necessarie per attuare la riforma regionale. Una ottima ed aggiornata rassegna delle tante criticità si ritrova nel recente studio del Senato che ha dato la stura a polemiche di ogni tipo.

Fatto sta che il Veneto con il suo Presidente, il leghista Luca Zaia vuole tutto e subito tanto che il sito della regione, che invito a consultare, è un vero cahier des dolèances non solo nei confronti dello Stato ma nei confronti della storia d’Italia e soprattutto della storia della stessa regione veneta ! Vediamo da vicino di cosa si tratta perchè questo illustre precedente della visione leghista dello Stato è foriero di altre derive da parte di altre Regioni.

Uno dei pivot del neocentralismo regionale è rappresentato dalle competenze in materia creditizia, materia forse altrettanto delicata come la sanità e la tutela della salute. Riproponendo il dato costituzionale il Veneto intende legiferare su casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

In realtà la storia bancaria del paese ha completamente spazzato via questa pletora di banche, esse non esistono semplicemente più a seguito di crisi virulente fomentate da malagestio di innumerevoli banchieri locali (Veneti come Lombardi o Pugliesi o Genovesi) che ne hanno minato alla radice la sopravvivenza. Il paradosso è che la dimensione regionale del credito e del risparmio oggi è sparita se non per uno sparuto gruppo di BCC che sono inserite stabilmente e strutturalmente in due gruppi nazionali, ICCREA Banca (Roma) e Cassa Centrale Banca – Credito cooperativo italiano (Trento). Qualsiasi tipo di regionalismo del credito in Veneto come altrove si è volatilizzato negli ultimi dieci, venti anni. Il tempo di una generazione è bastato per ridurre a zero l’ecosistema formato nel corso dei secoli da casse risparmio, banche popolari, istituti di credito speciale, parte del credito cooperativo e altre piccole banche regionali. Il regionalismo italiano può dunque fare a meno delle banche del territorio. Dopo averle osannate con inni di gioia e di entusiasmo, ora non ci servono più. Questo è il responso,  per alcuni versi drammatico, della nostra storia bancaria e finanziaria: un assurdo in attesa che qualcuno ce lo spieghi. E quindi manca l’oggetto su cui esercitare i poteri regionali o statali che siano.

Ed allora dovremmo interrogarci, in luogo della autonomia differenziata, su come ripartire con il credito e il risparmio a servizio dei territori. Lungo questa linea di pensiero, il tema diventa più ampio e rinvia a come rafforzare i servizi a famiglie e imprese e a come reperire le corrispondenti risorse finanziarie. Mi pare, invece, che finora sia prevalso l’approccio ideologico, ora di destra e ancora più spesso di sinistra, generando modelli che sono in parte falliti perchè hanno dato priorità a interessi affaristici: il credito ne è un chiaro esempio.

E il rischio che corriamo ancora una volta è di perdere tempo appresso a slogan vuoti di contenuto, come nel caso dell’autonomia differenziata. Vi sono serie ragioni macroeconomiche per invertire questa situazione. L’inflazione è stata ed è ancora elevata, essa si configura, per sua stessa natura, come una tassa che colpisce maggiormente chi è in condizioni di poco benessere. Ne consegue un aumento delle discriminazioni e delle disuguaglianze. Consideriamo per rimanere sul concreto alcuni guasti prodotti dal regionalismo nostrano: il doloroso turismo sanitario dei meridionali verso gli ospedali del Nord, la mobilità universitaria degli studenti, la fine ingloriosa delle banche del territorio.Eppure il Sud è ben dotato sia di ospedali che di strutture universitarie e lo era anche di un proprio e glorioso sistema bancario !

Sta dunque alla politica capire come alleviare nei territori l’aumento del costo della vita e le sofferenze sopportate dai gruppi di concittadini più vulnerabili. Per partire proprio dalla sanità, dal credito e dall’istruzione e favorire lo sviluppo verso un sistema economico più verde e più digitale. Non è un caso che questi argomenti siano stati riaffermati con forza come di grande rilevanza nel G7 Hiroshima Leaders’Communiquè del 20 maggio scorso. Sono 40 pagine di tante belle parole, sono pure condivisibili a livello di principi e purtroppo sta a noi far seguire le parole con i fatti.

 

 

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1 COMMENT

  1. Eccellente articolo che evidenzia sempre più come eventuali rinascite sociali possono solo derivare da traumi e crisi che, una volta divenute insopportabili, in qualche modo tendono a riequilibrare anomalie, disparità incancrenite e persistenti.
    È anche evidente come la storia non crea alcun interesse quando gli obiettivi predominanti continuano a basarsi su arricchimenti incontrollati, invidie ed egoismi.
    Se poi ideologie populiste cedono a oligarchie tra loro intrecciate, è facile che si alimentino spazi affinché privilegi possano continuare indisturbati, nel portare avanti visioni politiche concentrate a tutelare, metaforicamente, ambiti non superiori al limitato spazio del proprio ombelico.
    Anche se sembrerebbe ovvio che gli oltre otto miliardi di individui che popoliamo la terra dovrebbero orientarsi verso soluzioni socio-politiche utili a garantire migliori sopravvivenze, visioni nazionaliste e localismi vari tendono ancora a erigere muri illusori, con deboli garanzie esistenti.
    Da quella che è stata la bolla utopica comunista sembra sempre più accelerarsi una deriva liberista pericolosa, dove qualunque soluzione sembra avviarsi a compromessi al ribasso. Con isolamenti progressivi che prevedono sempre più privatizzazioni, con meno mutualismi e tutele comuni.

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