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Senatore Renzi, ma lei dov’era, mentre Visco minava l’autorevolezza della Banca d’Italia?

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Dal Riformista del 28 giugno 2023

Uno dei motivi della scelta di Panetta quale successore di Visco in anticipo rispetto alla scadenza del mandato era di evitare sterili polemiche che hanno sempre accompagnato le nomine in Bankitalia. Le ultime in ordine di tempo erano state dirette a Signorini al momento del rinnovo nel 2019 del suo incarico di Vice Direttore Generale. Addirittura il principe dei giornalisti Eugenio Scalfari intervenne a difesa dell’istituto che stava subendo, a dire suo e di molti commentatori, un attacco di lesa maestà.

Ma tant’è, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

E dopo i peana di rito bi-partisan, qualcosa rischia di creare subito una frattura nella unanimità dei giudizi. Non tanto per argomentazioni contrarie, ma per l’intervento sul suo giornale del senatore Matteo Renzi, che fu Presidente del Consiglio tra il 2014 e il 2016. Intervento che mischia le carte e spara a zero su Bankitalia e, in anticipo sui tempi, sullo stesso Panetta che sta ancora a Francoforte. Lo fa seppure indirettamente, ma con evidenza, visto che Panetta non è un marziano, ma è stato protagonista della vita di Bankitalia e delle sue tante vicende prima dell’incarico in BCE.

Coerenza e riconoscenza non sono virtù della politica e la loro mancanza non si può certo rimproverare a uno dei personaggi politici più controversi degli ultimi anni. Non è ovviamente una critica in punto di etica personale: Machiavelli ce lo insegnava cinquecento anni fa che morale e politica sono mondi paralleli, l’uno autonomo dall’altro. Ma nelle cose umane c’è un limite a tutto. E quando questo limite è superato, non si può non farlo notare. E’ il caso dell’editoriale del nostro eclettico uomo pubblico che sviluppa una feroce critica all’operato di Ignazio Visco, in carica ancora per 5 mesi.

Negli anni in cui era Premier, Renzi ha condiviso con Visco provvedimenti importanti in campo bancario e finanziario che hanno portato alla dissoluzione del nostro sistema di banche del territorio e con esso di buona parte della vigilanza nazionale. Renzi ha seguito Visco, un pò come Sancho Panza non abbandonava mai Don Chisciotte. Ma trattandosi del Capo del Governo, verrebbe da pensare alle figure invertite. Vediamo come si sono mossi, più o meno all’unisono, tra pochi giganti e tanti mulini a vento.

Nel 2015 partono due riforme controverse sulle banche popolari e le BCC, i cui esiti sono stati incerti fino ad oggi. Solo di recente si sono concluse le azioni giudiziarie della Popolare di Sondrio e di quella di Bari che si opposero al provvedimento. La riforma si applicava agli istituti con attivi superiori agli 8 miliardi al 30 giugno 2014. Il risultato? 10 popolari si dovettero trasformare ope legis in Spa. E cioè Ubi Banca, Banco Popolare, Bpm, Bper, Creval, Popolare di Sondrio, Banca Etruria, Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari. Basta scorrere l’elenco per farci ritornare alla memoria il film La collina del disonore di Sidney Lumet o l’Antologia di Spoon River. Oggi ne rimangono in vita solo tre. Era l’obiettivo che il Governo dell’epoca intendeva ottenere?

Quanto al credito cooperativo, la riforma, dopo un percorso accidentato di anni, si è conclusa con l’assoggettamento delle due principali entità Iccrea e Cassa Centrale Banca alla vigilanza della BCE.  Poco più di 200 piccole banche, significative solo per i loro territori, sono diventate pericolose banche dotate di virulenza sistemica, come i grandi colossi del credito. Quale altro paese europeo ha ceduto il controllo sulle piccole banche locali a organismi sovranazionali?

Molti di noi non hanno ancora capito, l’esprit du temps alla base della riforma. E con un calambour giuridico una BCC, unica in tutto il paese, sfruttò un articolo del decreto trasformandosi da cooperativa in società per azioni. Siccome era toscana, ciò alimentò le voci che ciò fosse stato possibile per vicinanze politiche al dominus de quo.

Anche le numerose crisi bancarie di quegli anni non possono essere dimenticate.

Il 22 novembre 2015 le autorità italiane avviarono la procedura di risoluzione di quattro banche medio-piccole da tempo parcheggiate in amministrazione straordinaria (Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio della Provincia di Chieti). Ci rimisero in tanti, azionisti, obbligazionisti e come al solito i contribuenti.

Di lì a poco seguiranno le due popolari venete, finite in risoluzione nel 2017. Si dissolveva così un altro 5% del sistema territoriale.

Una continuità istituzionale e di linea politica che aveva prodotto casi tanto importanti di risparmio tradito e credito malato da far istituire una Commissione parlamentare di indagine che in modo lapidario concluse che la vigilanza non era servita. La Commissione giunse a ritenere che in tutti i 7 casi “di crisi bancarie oggetto di indagine le attività di vigilanza sia sul sistema bancario (Banca d’Italia) che sui mercati finanziari (Consob) si siano rivelate inefficaci ai fini della tutela del risparmio”. Poi, all’italiana, non se ne fece più nulla.

Poco prima della caduta del suo governo, il senatore di Rignano dichiarò a Bruno Vespa a Porta a porta che l’Italia «non è sotto attacco» e anzi che «le turbolenze possono essere un’opportunità». E aggiunse riferendosi al caso del Monte dei Paschi: «Oggi la banca è risanata e investire è un affare. Su Mps si è abbattuta la speculazione, ma è un bell’affare, ha attraversato vicissitudini pazzesche ma oggi è risanata, è un bel brand.”
Sono passati altri sette anni di vicissitudini, denaro pubblico e privato immesso, sotto la spada di Damocle del fallimento per riuscire a riveder le stelle. La Banca è tuttora pubblica, in quanto salvata dal denaro di tutti e forse andrà comunque accorpata ad altra.

Queste vicende si intersecano con la partenza in Europa del SSM, nel novembre 2014 con preparativi che non furono tra i migliori. Come riporta la stampa dell’epoca, furono 13, di cui 4 italiane, le banche dell’Eurozona che non superarono l’esame dei bilanci condotto dalla BCE, che ne avrebbe assunto la vigilanza. Le stesse avrebbero avuto la necessità di raccogliere al più presto 10 miliardi di nuovo capitale. Tra queste il Monte Paschi di Siena lo dovette fare per 2,11 miliardi di euro e Carige per 810 milioni.  Mentre altre due sistemarono le cose, come comunicò Bankitalia, «sul filo di lana»: erano la  Popolare di Milano e la Popolare di Vicenza. Della fine traumatica della seconda abbiamo già detto.

Non mancò di esprimere la sua soddisfazione per questi risultati, tra la sorpresa di molti, il Vice Direttore Generale dell’epoca di Bankitalia, il dott. Fabio Panetta.

Quindi il senatore Renzi per senso delle cose avrebbe dovuto, se così si può dire, parlare almeno di concorso di colpa del suo governo e della Banca d’italia, per aver eliminato il localismo bancario italiano, nonostante che ci si continui a lacerare le vesti sui vantaggi della pmi di essere assistita da banche di prossimità.

La questione appartiene tanto alla strategia politica, quanto alle azioni di un organo tecnico come è la Banca d’Italia.

Al Dr Panetta vadano gli auguri più sinceri di buon lavoro, ma vada pure l’invito a fare un minimo di autocritica sulle contraddizioni passate, anche per non offrire il fianco a chi vuole praticare la vecchia tecnica dello scaricabarile. E soprattutto perché non si abbia il dubbio che parlando alla ‘suocera’ Visco sia la ‘nuora’ Panetta a dover intendere. E non siamo nemmeno all’inizio del mandato del nuovo Governatore. Riconoscere gli errori degli anni trascorsi sarebbe un segno importante di rinnovamento della cultura autoreferenziale della nostra Banca Centrale, anche per non fare da unico capro espiatorio a vantaggio di certi governanti che paiono aver perso del tutto la memoria dei fatti.

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2 COMMENTS

  1. Il governo Renzi rimase in carica dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016, di fronte alle crisi e gli sviluppi, i mutamenti e le trasformazioni della società contemporanea, invece di farsi artefice di una riflessione critica documentata sui temi, persistenti e nuovi, che si imponevano alla coscienza civile, che non aveva mai visto l’uguale, si trovò balbettante, provinciale e impreparato.
    Attualmente non ha nei confronti della propria funzione specifica altra soluzione se non la retorica, l’ipocrisia, il silenzio o il compromesso.

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