Home Imprese&Lavoro L’inaccettabile fragilità delle infrastrutture

L’inaccettabile fragilità delle infrastrutture

170
0
Dr. Strangelove trailer from 40th Anniversary Special Edition DVD, 2004. This work is in the public domain in United States because it was published in United States between 1929 and 1977, without a copyright notice.

La conclusione della trilogia sulla “Fine del Mondo”. Quanto è probabile un collasso totale di Internet? E magari non solo di Internet. E perché diavolo la situazione non è migliorata dagli anni ‘90?

Gli anni ’90 erano ancora una novità quando una allora inesperta Cassandra lesse un articolo molto interessante sulla fragilità dell’infrastruttura tecnologica di Internet.

[N.d.A. Stavolta nemmeno Internet Archive è riuscito a venire in soccorso di Cassandra; ha cercato l’articolo comparso su un sito dei primissimi anni ’90, ma non è riuscita a ritrovarne traccia. I lettori dovranno quindi fidarsi ed affidarsi alla memoria della loro profetessa preferita, o meglio ancora aiutarla, ritrovandolo. Ah, ed essendo questa l’ultima puntata di una trilogia, se non l’avete già fatto, leggetevi la prima e la seconda puntata.]

L’articolo in effetti non distingueva tra Fragilità ed Inaffidabilità, confondendo i due termini, che sono in realtà diversi. Ma andiamo con ordine.

Si narrava del “Nodo più importante di Internet”, oggi lo chiameremmo un MIX; cioè un punto in cui i vari provider di connettività geografica (non di connessioni ultimo miglio) avevano trovato conveniente installare un loro router, connesso con tutti gli altri, in modo da smistare con la massima efficienza i pacchetti da un provider all’altro.

Questo tipo di accorgimenti ormai da decenni sono l’ABC della Rete, ma allora erano soluzioni artigianali a problemi nuovi, problemi causati da una non risolta separazione tra i diversi ambiti di NSFnet, e dall’acceso dibattito sullo smistamento di traffico commerciale su reti accademiche.

Allora Internet aveva più o meno 200.000 utenti, e solo università e grandi aziende ce l’avevano. Per i privati era solo un sogno.

Sia come sia, queste infrastrutture vitali della Rete venivano tirate su dove capitava, spesso senza poter investire adeguatamente sul sito.

Fu così che qualcuno si accorse che il nodo in questione si trovava in uno dei box di un grande parcheggio multipiano, e si chiese cosa sarebbe successo se il guidatore di una grossa berlina avesse sbagliato ad ingranare la retromarcia, ed avesse così sfondato l’ovviamente sottile parete laterale del box, spiaccicando i router ivi installati.

Facile previsione, il traffico di una buona parte dell’Internet di allora sarebbe stato bloccato, ed in mancanza del routing automatico tra sistemi autonomi, all’epoca ancora da inventare (lasciate pure perdere quest’ultima considerazione se vi sembra arabo) buona parte dei computer connessi ad Internet sarebbe finita offline.

La cosa arrivò ad un giornalista tecnico che ne trasse un bel pezzo, a metà tra un articolo tecnico ed una nota di colore. La caducità del web l’ha poi fatto sparire.

Avanti veloce di trent’anni ed arriviamo ad oggi.

Internet è cresciuta di 4 ordini di grandezza fino a 2.000.000.000 di utenti, e tutti i router degni di nota sono ben custoditi in datacenter specializzati, l’instradamento automatico BGP esiste ed è attivo, la Rete ha conquistato lo spettro radio e lo spazio, e millemila cose e persone sorvegliano e tutelano il traffico della Rete.

Ma la Rete è divenuta una risorsa globale e vitale, e questo l’ha aperta a rischi ben diversi; scelte commerciali di OGAFAM, attentati terroristici, guerre, persino ad essere essa stessa un teatro di guerra.

La Rete moderna condivide infatti delle incredibili fragilità con le altre infrastrutture di comunicazione, con la rete di distribuzione dell’energia elettrica e con quella di distribuzione di combustibili (oleodotti, gasiere, terminal).

Basta un singolo atto di guerra cibernetica, come il lancio di un aggiornamento farlocco sui modem satellitari, come un attacco software ai sistemi BGP di routing, od anche un incidente come l’ancora di una nave che scarroccia e trancia un fascio di cavi sottomarini, o magari un attentato su un terminal degli stessi cavi, per produrre grossi guai alla Rete. Tutte cose già viste, ad esempio, nel caso degli oleodotti.

Facilissimo pensare alle potenzialità di un attacco ben progettato e coordinato a tutti i cavi sottomarini di un continente, o di tutto il pianeta.

Altrettanto facile pensare ad un attacco “software” ai delicati e parzialmente manuali meccanismi che mantengono efficace e bilanciato il traffico dell’intera Rete.

Due semplici ricette per causare un collasso della Rete tutta.

E se un collasso della Rete avvenisse contemporaneamente ad altri atti di guerra asimmetrica, non rischieremmo di trovarci in una situazione altrettanto pericolosa, dal punto di vista della civiltà, di una guerra termonucleare globale, che potrebbe durare molto tempo o diventare permanente?

Non si tratta di esagerazioni; come gli inconvenienti e le piccole azioni di guerra asimmetrica degli ultimi anni hanno ben dimostrato, i fili tecnologici del tessuto della nostra civiltà sono sottili e delicati; non ci vuole molto per strapparli, può bastare la volontà di un singolo stato-nazione, un potentato economico, un’organizzazione criminale.

E nessuno ha studiato se un danneggiamento multidominio del complesso delle infrastrutture tecnologiche possa far collassare, per un periodo abbastanza lungo da essere devastante, più sistemi di interconnessione contemporaneamente; Rete, trasporti, distribuzione dell’energia, servizi di logistica, tutti insieme.

Un collasso del sistema tecnologico del pianeta non si può escludere, perché gli accoppiamenti e gli effetti a cascata tra domini diversi della tecnologia sono poco studiati e ancor meno compresi.

D’altra parte modificare scelte tecniche “fragili” del passato, creando nuove infrastrutture resilienti, richiederebbe decenni che non abbiamo, nonché capitali e risorse che semplicemente non esistono al mondo.

Cigni neri? Doppi cigni neri? Stormi di cigni neri, amorevolmente allevati?

Il cibo non esce da solo dalla terra, non arriva sulle nostre tavole con le sue gambe. L’energia non si crea attivando un contratto od andando a fare il pieno. L’acqua non esce da sola dai rubinetti. E men che mai i bit vanno e vengono da soli tra i computer, gli oggetti IoT e quelli industriali connessi.

Quanto è probabile un collasso sistemico artificialmente indotto del pianeta, quanto durerebbe, che conseguenze avrebbe, quanta gente morirebbe?

E cosa potremmo fare per evitarlo?

Già …


Scrivere a Cassandra — Twitter — Mastodon
Videorubrica “Quattro chiacchiere con Cassandra”
Lo Slog (Static Blog) di Cassandra
L’archivio di Cassandra: scuola, formazione e pensiero

Licenza d’utilizzo: i contenuti di questo articolo, dove non diversamente indicato, sono sotto licenza Creative Commons Attribuzione — Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale (CC BY-SA 4.0), tutte le informazioni di utilizzo del materiale sono disponibili a questo link.

Previous articleAlberto Valese, maestro ebrù in Venezia ora in una mostra postuma
Next articleI racconti della Sura: Jean (o di una nuova utopia)

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here