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Le banche e il credito: da motore a freno della crescita?

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Perché le banche italiane fanno sempre meno credito? Scelta di prudenza o freno allo sviluppo?

“Vola tra i due estremi,” diceva Dedalo al figlio Icaro. “Non troppo in alto, o il sole scioglierà la cera delle ali. Non troppo in basso, o il mare le bagnerebbe.”

Nella storia, Icaro disobbedisce, vola troppo vicino al sole e precipita.

Nel sistema bancario italiano degli ultimi quindici anni, è successo l’opposto: dopo aver sfiorato il disastro, le banche hanno scelto di volare il più basso possibile, pur di non rischiare ancora.

Hanno rafforzato il capitale, evitato impieghi rischiosi, praticando il derisking dell’attivo, privilegiato la prudenza rispetto all’ambizione, sbandierando l’obiettivo della massimizzazione del valore per gli azionisti. Ma così facendo, hanno anche perso slancio. E oggi ci si chiede: il credito delle banche è ancora un possibile motore per la crescita o è diventato un freno?

Quando il credito trainava (ma non sempre in modo sano)

Fino alla crisi del 2008, il credito bancario in Italia era in piena espansione. Settori come l’immobiliare crescevano rapidamente, spinti da prestiti facili, spesso concessi senza un’adeguata valutazione del rischio.

Quella stagione, però, aveva fondamenta fragili. Quando esplose la crisi finanziaria globale, molte di quelle esposizioni si rivelarono inesigibili. Le banche italiane si ritrovarono con bilanci gravati da crediti deteriorati (NPL), che superarono i 350 miliardi di euro.

Più patrimonio, meno credito

La reazione fu drastica: pulizia dei bilanci, rafforzamento patrimoniale, riduzione dei rischi. Intervento della mano pubblica.

Nel decennio successivo, l’arrivo di nuove regole prudenziali e criteri più rigidi per l’erogazione del credito (ulteriormente irrigiditi con gii ultimi provvedimenti attuativi di Basilea 3 entrate in vigore nel 2025), spinse le banche a modificare il proprio modello operativo.

Meno credito alle imprese, soprattutto a quelle più piccole, più acquisti di titoli di Stato, maggiore attenzione a servizi finanziari e risparmio gestito, con margini più alti e rischio minore.

Il credito divenne più selettivo e il sistema bancario, meno coinvolto nell’economia reale, in cui oltre 4 milioni di PMI continuavano a rappresentare il backbone produttivo.

Una contrazione profonda

Il risultato? Una riduzione significativa del credito.

Secondo lavoce.info , dal 2011 a oggi i prestiti bancari alle imprese sono scesi da oltre 900 a circa 600 miliardi di euro, un terzo del totale.
In termini reali (considerando cioè l’inflazione), la contrazione è ancora più marcata.

Oggi l’economia italiana dispone di molto meno credito bancario di quanto ne avesse quindici anni fa. Un dato che merita riflessione, soprattutto alla luce del confronto con altri Paesi europei, dove l’offerta di credito ha continuato, in diversi casi, a crescere. E non sembra che il credito commerciale, altro fattore strutturale del finanziamento della produzione, sia riuscito a colmare il vuoto. I lunghi tempi di pagamento tra imprese si sono ridotti di poco.

Capitale che non diventa crescita

Le banche italiane sono oggi più patrimonializzate della media europea, ma questo capitale, invece di tradursi in finanziamenti all’economia, resta spesso inutilizzato rispetto al potenziale. Ovviamente il risparmiatore non ha grandi colpe, se l’incertezza lo spinge a conservare la sua ricchezza in Idle Deposit.

Come se un’auto con un serbatoio pieno decidesse comunque di procedere con il freno tirato. E senza mai cambiare marcia.

Credito sì, credito no

La Banca d’Italia, nelle recenti Considerazioni finali del Governatore, sottolinea che la contrazione del credito recente è dovuta più alla debolezza della domanda che a un irrigidimento dell’offerta.
In effetti, molte imprese, negli ultimi anni, hanno aumentato l’autofinanziamento più degli investimenti, riducendo la propria dipendenza dalle banche.

Tuttavia, nella più articolata Relazione annuale, la stessa Banca d’Italia evidenzia — sulla base di sondaggi presso le imprese — che le politiche di offerta rimangono “moderatamente restrittive” nei confronti delle aziende di minore dimensione.
Più in generale, è stato osservato che “le politiche di offerta sono state più prudenti verso le piccole aziende, tipicamente più rischiose e meno trasparenti, e per le quali i costi fissi di finanziamento sono elevati rispetto al volume delle operazioni” (Relazione annuale, 2024, pp. 167-168).

È dunque ragionevole ritenere che la minore domanda sia anche il risultato di una lunga stagione in cui, soprattutto le imprese di piccola dimensione — largamente prevalenti nel nostro Paese — hanno progressivamente perso l’abitudine e la fiducia nel sistema bancario come leva per finanziare crescita e innovazione. O che il sistema abbia fatto molto per scoraggiarle.

E adesso? Cosa fare?

La stagnazione italiana ha molte radici: bassa produttività, invecchiamento demografico, scarsi investimenti pubblici.

Ma anche il ritiro del sistema bancario dal proprio ruolo attivo è parte del problema.

Basti pensare alla minore presenza territoriale (con migliaia di sportelli in meno) e alla maggiore rigidità delle procedure di richieste di fido, aspetti che riguardano l’offerta.

In un Paese come l’Italia, dove le imprese sono mediamente piccole e i mercati dei capitali poco sviluppati, il credito bancario resta fondamentale e difficilmente sostituibile.

Serve un cambio di rotta. Da più parti si auspica che:

  • la regolamentazione di vigilanza bancaria riesca a bilanciare meglio prudenza e slancio;
  • si rivitalizzino strumenti pubblici di garanzia come quelli utilizzati con successo durante la pandemia, anche se ricorrere sempre a Pantalone non è proprio un esempio di una economia efficiente e concorrenziale;
  • le banche tornino soprattutto a credere nella crescita, nel rischio sano, nei progetti con potenziale.
Conclusione

Il credito bancario non è solo una questione tecnica. È una leva di trasformazione economica, sociale e industriale.

Perché torni a svolgere una funzione propulsiva, serve uno sforzo collettivo:

  • un sistema bancario più coraggioso,
  • imprese più pronte a investire,
  • un contesto normativo che non penalizzi chi costruisce il futuro.

Il fatto è che il sistema bancario è negli ultimi tempi  impegnato in operazioni di consolidamento e a puntare al target del risparmio gestito, fonte di lucrose commissioni.  Aspetti strutturali sempre dal lato offerta che non lasciano presagire cambi di direzione nella diminuzione del sostegno alla economia reale.

Bisogna provare — non a volare come Icaro —  ma almeno a camminare con andatura adeguata. E, visti i tempi, non sarebbe poco. Forse, però, è tempo di adottare una lettura più completa delle dinamiche creditizie.
Attribuire la colpa della contrazione solo alla domanda rischia di semplificare un fenomeno complesso, che un’analisi congiunturale non può che rappresentare con grandi limiti.
Non vorremmo ribaltare l’aforisma di Keynes con un nuovo paradosso: “Nel breve periodo, se non cambia qualcosa, siamo tutti morti.”

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