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Brunello, raccontino su una parola in disuso, ma non troppo

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Tempo di lettura: 3’. Leggibilità ***.

In questo periodo in cui il Covid ci costringe a casa, il tempo libero abbonda e così ci inventiamo cose da fare, saltellando 
dall’una all’altra, senza tanto costrutto.
Nel dare un’occhiata alle pagine rimaste in un cassetto, mi sono imbattuto in uno scritto di qualche tempo addietro che mi ha fatto con leggerezza tornare su considerazioni ormai archiviate nella memoria. Per dovere di cronaca, il pezzo trasse ispirazione da una curiosità “terminologica” per una parola caduta in disuso, ma che nel periodo della mia infanzia era molto utilizzata fra noi ragazzini a mò di insulto. L’ho casualmente incontrata di nuovo per la mia mania per le curiosità navigando sulle tante piattaforme web che ci circondano. Eccolo, finalmente.
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Ci sono vari tipi di brunello, il più noto è quello di Montalcino, un vino toscano dalla caratteristiche particolari, di grande corpo e bouquet, forse un po’ pungente, ma sono gusti.
Brunello è però anche un personaggio letterario dell’Orlando innamorato del Boiardo e dell’Orlando furioso dell’Ariosto: una specie di genio del furto di cui si servono i cavalieri in varie imprese, grazie alle quali viene fatto re di Tingitana. Nel Furioso fa una finaccia: muore impiccato!
E brunello è pure un panno robusto, di colore bruno per scarpe e stivaletti: la si bagnava i piedi guazzando nell’acqua colle scarpettine di brunello, scriveva Ippolito Nievo della Pisana. Fonte: la Treccani.
Nel nostro modo di dire locale, l’uso di questo termine ha tutt’altro significato.
Viene in aiuto l’articolo di Saverio Schirò (Le parolacce a Palermo – https://www.palermoviva.it/le-parolacce-palermo/), che in modo alquanto chiaro esplicita il significato di alcuni appellativi in uso nel linguaggio palermitano, che sintetizzano – spesso in una sola parola – le peculiarità di taluni personaggi.

Nello specifico, lo Schirò descrive il “brunello” come uno che non mantiene la parola, un cambiabandiera, uno tipo poco affidabile, insomma. Un voltagabbana, un opportunista, uno leggero, ondivago, nelle sue convinzioni e nei suoi impegni.

Per deridere un soggetto siffatto, ma anche mostrando una buona dose di autoironia, qualcuno tempo addietro ebbe a scrivere questa poesiola:

Un odore di merda si spande nell’aria, s’insinua pian piano avvolgendo anche te. Il puzzo che domina ti nausea assai, ma fai finta di nulla sperando che cessi. Però l’odore è continuo e tu solo lo noti. Nessun dubbio ti assale, non ti poni domande e non provi a chiedere neanche a te stesso: “è d’intorno uno stronzo o son io che lo sono?‘.
Il titolo del componimento era, ovviamente, ‘Dedicato a un brunello’ in carne e ossa. Un modo, non molto elegante, di mandare a quel paese qualcuno che evidentemente lo meritava? Chissa?

Bisogna essere più tolleranti, mi dico, ma non si può neanche rinunciare a espressioni di “irosa insofferenza e risentita avversione” liberatorie, quasi terapeutiche in chi le pronuncia, quando la situazione lo richiede.

La tolleranza ci porta anche a un paradosso. Il termine brunello non vuole evidenziare aspetti marcatamente malevoli; è una peculiarità specifica dell’individuo, di cui lo stesso non ha colpa. Uno può essere, in modo naturale, biondo, bruno, rosso, alto, basso, grasso, smilzo e anche … ‘brunello’. Non sarà anche in questo caso deliberatamente colpa sua, è una prerogativa che si può avere o no…, è semplicemente assegnata dal destino, dalla natura. Insomma se vi capita di pronunciare la parola, non è detto che essa sia offesa da lavare col sangue. Può darsi anzi che sia lo stesso brunello a sorriderne. Dopo tutto egli non ha una grande considerazione di se stesso e sa di essere “brunello” da sempre.

Un dubbio però torna ad assillarmi, sorprendendomi a pensare come statisticamente la madre dei brunelli sia sempre incinta. Sarà la politica a ispirarmi questa considerazione? Capita così anche a voi?

Buona luce a tutti!

 

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