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Un ispettore a Kiev e la partita dell’Ucraina

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Empatia telefonica

Nel 1998, allo scoppio della crisi finanziaria russa, il Fondo monetario internazionale organizzò alcune ispezioni presso le principali banche di quel paese, per misurarne il grado di resistenza agli shock intervenuti sui mercati finanziari e delle valute.

La Russia era da qualche anno entrata a far parte nel sistema di mercato occidentale e già sperimentava ì primi scossoni da speculazione.

La Banca d’Italia partecipó a quella iniziativa con due ispettori di vigilanza bancaria ed io, in ragione della funzione che ricoprivo, fui chiamato a indicarne uno, tenendo conto dei requisiti professionali e della disponibilità personale ad affrontare una trasferta che sarebbe durata otto settimane durante i mesi freddissimi di novembre e dicembre.

La destinazione del nostro ispettore era una sconosciuta banca di Kiev, che doveva però avere un peso di rilievo se era stata selezionata insieme ad altre per verificare la tenuta del sistema.

La scelta cadde su Salvatore P., ispettore di provata esperienza, di solide conoscenze tecniche, dotato di capacità di relazione e di tratto umano, con il quale, annunciandogli la missione, mi scusai per le difficoltà personali che gli stavo procurando. Mi ricordo che non sollevò obiezioni, facendomi capire, con un certo understatement, che ai sacrifici connaturati al lavoro da ispettore non c’era modo di ovviare.

Salvatore partì dunque per la capitale ucraina e per una decina di giorni non ebbi con lui alcun contatto, che, non essendovi né posta elettronica né altra messaggistica via internet, poteva avvenire solo tramite telefono, linee permettendo. Quando fui certo che oramai si fosse sistemato e avesse iniziato a inserirsi nel temporaneo ambiente di lavoro mi decisi a chiamarlo.

Dovetti insistere a lungo con la centralinista, che asseriva di non conoscere nessuno con quel cognome che lavorasse presso di loro. Poi pronunciai il nome, il nome soltanto. Salvatore e la sentii esclamare Oh, yes, Salvatore! Sure, Salvatore! I’ll put you through at once. Già lo conoscevano in molti e lo trattavano con familiarità. Era una prima, buona notizia, una manifestazione del tutto spontanea di empatia. Alzata la cornetta e finito di ringraziarmi della chiamata, Salvatore mi rassicuró che anche il lavoro procedeva come da programma.

Concerti in metropolitana 

“Problemi di sistemazione ne hai?”, chiesi.

“No”, mi rispose. “Fa solo un gran freddo. Una volta uscito dal lavoro non c’è modo di passeggiare e andare un po’ in giro per la città, come vorrei”.

“Allora, come passi il tuo tempo libero?”

“Vado a sentire concerti che si tengono un po’ a tutte le ore nelle stazioni della metropolitana, in ambiente più caldo rispetto all’esterno. Non è proprio come stare a teatro, ci sono delle scomodità, ma mi accontento. E poi il lavoro assorbe gran parte della giornata e rimane poco tempo per il resto”.

Non gli chiesi del cibo, per non scadere nella solita trita retorica.

Non restava che parlare del lavoro.

“Allora, Salvatore, che dimensioni ha la banca che stai ispezionando? Ci sono interessanti differenze con quelle italiane? Che problemi hanno in Ucraina?”

La risposta mi lasciò perplesso. I dati di bilancio erano equivalenti a quelli di una piccola banca della provincia italiana. Come era possibile che avessimo organizzato quella spedizione del Fondo Monetario per andare a visitare piccole entità? Che senso aveva? Perché tanto rumore per nulla?

Una banca di tutto rilievo 

Poi Salvatore aggiunse. “Sai, la banca impiega trentamila persone!”

“Trentamila?”, risposi con un’espressione di meraviglia.

Tanto piccola nei volumi, quanto gigantesca nella organizzazione! “Eredità della inefficienza sovietica?” Chiesi. “Non proprio”, mi chiarì Salvatore.

Il fatto era che nella economia pianificata socialista le banche avevano il compito di registrare e autorizzare ogni operazione di debito/credito tra imprese e così, con procedure quasi tutte manuali, l’impiego di risorse umane era altissimo.

Poiché si era ancora lontani da un’economia monetaria alla occidentale, la banca manteneva ancora intatta quella funzione.

In altre parole la moneta non aveva finalità di riserva di valore o finalità speculative, era soltanto un’unità di conto, fuori dai rischi tipici connessi con la libera circolazione dei capitali.

Questa contabilità produceva quantità enormi di dati e di operazioni di compensazione tra le posizioni a debito e a credito delle imprese nei loro scambi di materie prime, semilavorati, prodotti finiti, transazioni che le nostre statistiche non erano use a misurare.

Quei capillari controlli dell’economia facevano del paese un sistema chiuso, a quasi dieci anni dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine del comunismo.

Quali potevano essere allora le preoccupazioni dell’Occidente per una crisi sistemica, cioè in grado di propagarsi al resto del mondo?

Devo dire di non averlo ben capito, all’epoca.

Col senno del poi, si era solo agli inizi della globalizzazione finanziaria, ma già si intuivano gli effetti deleteri che sarebbero potuti derivare da una sempre maggior integrazione delle economie.

Il rischio della propagazione delle crisi finanziarie era cronaca annunciata, come ci ha mostrato la storia dei decenni seguenti.

Perché raccontare oggi queste storie di tanto tempo fa?

Prima di tutto per le immagini diffuse in questi giorni delle stazioni della metropolitana di Kiev, non più luogo di concerti al riparo dal freddo, ma rifugi della popolazione inerme di fronte al terrore dei bombardamenti.

Scopriamo con raccapriccio come una stazione di metropolitana può trasformarsi da luogo di pace e di cultura in luogo di guerra e di disperazione.

Il secondo motivo è che se già 25 anni fa ci si preoccupava degli effetti di propagazione delle crisi finanziarie che nascevano da un mondo ancora chiuso alla finanza, quali dubbi si dovrebbero avere oggi per le conseguenze di sanzioni applicate a un sistema, come quello russo, fortemente integrato nei meccanismi di pagamento internazionali, intrecciati con gli scambi di materie prime ed energetiche essenziali per i paesi dell’Occidente?

Per cui delle due l’una. O le sanzioni devono essere centellinate  con cura affinchè rimangano meri strumenti di propaganda e quindi essere del tutto inutili a contrastare la guerra (la debolezza dell’Europa di avere una posizione unitaria sui singoli temi lo conferma) o si devono temere come uno dei mezzi più potenti di distruzione delle sorti dei popoli, con la sola esclusione delle conseguenze di una guerra nucleare. In entrambi i casi gli effetti ultimi sull’umanità sono irreversibili.

Ma quanto è importante l’Ucraina?

Basterebbe però tenere a mente l’importanza dell’Ucraina nella economia del pianeta, per capire la posta in palio di una guerra finora raccontata come lo squilibrio mentale di un autocrate, il diritto alla libertà di schieramento nelle alleanze politico-militari o altre istanze pro democrazia. I numeri che seguono fanno intendere senza troppi dilemmi la dimensione del problema che pende sulle nostre teste, come uno dei maggiori conflitti economici mai avvenuti. Ho trovato in rete questa rappresentazione dell’importanza economica dell’Ucraina e non ho ragione di dubitarne.

L’Ucraina è:

1° riserva europea di uranio

2° riserva europea di titanio

2° riserva mondiale di manganese

2° riserva mondiale di ferro

3° riserva europea di gas

come paese agricolo risponde al fabbisogno alimentare di 600 milioni di persone nel Mondo

E’ la più grande superficie di terra arata d’Europa

1° esportatore mondiale di olio di girasole

2° produttore mondiale di orzo e mais

3°produttore mondiale di pomodori

nella industria:

1° produttore mondiale di ammoniaca

2° priserva europea di gas

3° parco nucleare d’Europa

3° terza rete ferroviaria d’Europa

3° esportatore mondiale di ferro

4° esportatore mondiale di turbine per centrali nucleari

4° esportatore mondiale di titanio

9° produttore mondiale di armi

9° produttore mondiale d’acciaio.

Ciò detto. ai tanti uomini politici ed esperti opinion maker sempre pronti a rilasciare interviste, tra esternazioni di solidarietà ma anche di luoghi comuni, sarebbe da chiedere “Se parlando di questa guerra di ciò non parli, di che parlar suoli?”.

 

 

 

 

 

 

 

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4 COMMENTS

  1. Aggiungo un mio ricordo quando in ambito BCE e BRI si dovettero rendere omogenee le statistiche sui pagamenti che per i paesi occidentali erano essenzialmente carte di pagamento, bonifici e addebiti diretti. Dopo una decina di anni dalla caduta del muro di Berlino, i paesi ex Unione Sovietica i dati che fornivano su questi tre servizi di pagamenti erano incomprensibilmente esigui. E come faranno a pagare, famiglie e imprese ? Che paesi sono e che tipo di economie hanno se non operano neanche con i bonifici che la storia conosce sin dai tempi dei Templari ? Poi con il tempo lo capimmo. Avevano poche banche tutte in mano allo Stato e usavano soprattutto nei pagamenti con le imprese i giroconti, una semplice scrittura contabile ed il gioco era fatto. Se mancavano i fondi li anticipava lo Stato, spesso a fondo perduto. Oggi è cambiato tutto ed anche in questi paesi si sono dotati delle carte di pagamento, VISA e MASTERCARD….che sono stati i primi a scappare dalla Russia o meglio, e forse con il beneficio del dubbio, i primi a fare finta di scappare.

  2. Molti parlano negativamente dei social e del web in generale, trascurando il fatto che, come nel caso in specie, possono offrire spazi per editare scritti interessanti che difficilmente i media di oggi sono capaci di volere o saper proporre.
    Questo di Daniele Corsini è un articolo sobrio che illumina una delle tante realtà fino a ieri ignorate dall’occidente, accendendo una luce su aspetti specifici che consentono di rivivere storie, raccontando di realtà assai diverse e a noi lontane.
    Al di là dell’aspetto professionale, il resoconto telefonico di Salvatore, ispettore, fatto al suo capo, viene a costituire una fotografia di una realtà letta con umanità e senza preconcetti. Con quell’approccio classico – e conosciuto dagli addetti ai lavori – che prevede sempre un’osservazione attenta dei contesti esaminati prima di trarne un qualsiasi giudizio.
    L’ignoranza sull’Ucraina, sul suo popolo e su quel che sta oggi accadendo non fa eccezione, stante la superficialità culturale d’approccio perpetuata da un sistema capitalista ormai impegnato e volto esclusivamente a educare e indirizzare la gente verso necessità/bisogni pilotati non necessariamente primari.
    L’argomento trattato nell’articolo introduce, accennandoli, anche a tanti altri aspetti sociali non indifferenti, che pochi hanno però voglia di attenzionare e sui quali ancor meno soggetti han voglia di discutere; specie riguardo alle organizzazioni politiche degli stati che nel tempo hanno contribuito a sedimentare la storia.
    Sicuramente in nostro Corsini troverà nuovi spunti per focalizzare altre questioni, utili per invogliare a osservare i risvolti di molte realtà sociali, stimolando anche il lettore ad approfondire i temi.
    Complimenti intanto per l’articolo!

  3. Perché è scoppiata la guerra tra Ucraina e Russia?
    La prima vittima dei conflitti è sempre la verità, e la guerra in Ucraina non fa eccezione.
    La verità che non ci piace (o non ci fanno) sentire. Quanto è importante l’Ucraina nell’economia del pianeta ce lo ha descritto ampliamente Daniele Corsini.
    Le sanzioni non impediranno alla Russia di continuare a tutelare i suoi interessi nazionali è stato uno dei commenti del Cremlino alle durissime contro-misure adottate da USA ed UE dopo l’attacco del 24 febbraio.
    Il patriarca Kirill, vicinissimo al leader del Cremlino Vladimir Putin, il capo della chiesa ortodossa russa, giustifica la guerra in Ucraina come una sorta di crociata contro i paesi che sostengono i diritti degli omosessuali.
    Come accettare che possa esistere un diverso punto di vista se chi volesse esprimerlo viene preventivamente censurato da chi gestisce il monopolio della verità.

    • Enrico Paggi
      Perché è scoppiata la guerra in ucraina: Daniele dà una versione apparentemente sobria obiettiva e distaccata. Però quando si legge la tabellina delle risorse ucraine viene fuori chiaramente che la
      Russia non tutela i propri interessi, ma con una campagna chiaramente colonialista si vuole appro
      priare delle risorse ucraine. Il resto è tutto contorno infarcito di proposizione pacifiste anche se l’aggettivo adatto sarebbe un altro. D’altro canto quando si depreca e ci si scaglia con ardore contro la guerra senza mai dire nome e cognome di chi è l’aggredito e chi è l’aggressore, come dice Daniele “di che parlar suoli”

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