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Le parole al vento, i bit per l’eternità o dell’insostenibile leggerezza della comunicazione digitale

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Scrivere in una chat ha senso? Le parole scritte possono entrare a far parte dell’Infosfera, ma quelle scritte nelle chat sono destinate al peggiore degli oblii; indisponibili per tutti, tranne che GAFAM e IA

Cassandra è abituata alle chat, dopotutto anche ai suoi tempi c’era IRC. Ma fin da allora ha sempre preferito comunicare via posta elettronica, visto che il real time delle chat non le era quasi mai necessario.

Certo, ai tempi era l’email il mezzo digitale planetario di comunicazione, con le chat relegate in un angolo. L’avvento dei social ha ribaltato la situazione, ed oggi l’email è diventata un mezzo di comunicazione importante in certi contesti, ma ormai minoritario, ma così minoritario che anche gli spammer sono quasi scomparsi. In questo non c’è niente di strano; quante volte in Rete un mezzo di comunicazione ne ha soppiantato un altro?

Ma c’è un “ma”; il destino della comunicazione scritta nelle chat è molto diverso da tutte le forme di scrittura precedenti, dalle tavolette di argilla fino alla posta elettronica, ed è questo l’oggetto della riflessione di oggi.

Chiunque abbia mai scritto per comunicare i propri pensieri, mentre vergava le parole si è chiesto certamente che fine avrebbero fatto. Magari pensava alle contingenze immediate, dettate dallo scrivere un libro per un editore, un articolo di giornale, o un manifesto politico come quello di Ventotene rinchiusi in una cella.

Ma del destino dello scritto, argomento che ha toccato fin dall’alba della scrittura la mente di molti, oggidì poco ci si preoccupa.

In parte questo è dovuto all’esplosione della scrittura nel mondo digitale; persone che hanno letto libri non hanno mai scritto una lettera su carta, e forse nemmeno una email, riversano in Rete tramite social e chat migliaia di parole al giorno. Ed anche se sembrano solo chiacchiere effimere, trasportano una parte rilevantissima del loro Sé digitale.

Ora, senza perdere tempo nel descrivere fenomeni atipici, come l’esistenza di persone bacate nel profondo che, se si accorgono di un’errore di battitura compiuto scrivendo in una chat, lo correggono, parliamo del destino di queste parole.

Da sempre, ogni comunicazione scritta ha avuto una possibilità, una speranza di attraversare i tempi e giungere a persone lontane nel tempo e nello spazio, che avrebbero potuto beneficiarne.

Incisioni rupestri, tavolette d’argilla, rotoli di papiro, iscrizioni celebrative, pergamene miniate, registri parrocchiali, libri rilegati di carta durevole, faldoni di contabilità, paperback che si spaginano e si sbriciolano; una parte di quanto riversato in questi media è sopravvissuto ai secoli e talvolta ai millenni, spesso recando messaggi e conoscenza un tempo ritenuta banale ed oggi considerata di grande importanza.

Poi è venuto il digitale, e l’informazione si è riversata li. La parola scritta si è trasformata in sequenze di bit, ed i bit sono il mezzo meno duraturo e più cagionevole inventato dall’uomo.

Pur essendo potenzialmente eterni, ben poco delle opere e degli scritti nati digitali è sopravvissuto fino ad oggi.

Pensiamo alle “opere digitali” su cd-rom, tanto comuni nelle edicole di una quindicina di anni fa. Fortemente legate ad un sistema operativo ed un computer, sono già oggi illeggibili, a causa del progresso tecnologico che ha spazzato via le piattaforme su cui potevano essere fruite.

Pensiamo ai mezzi di registrazione. Lasciando perdere gli hard disk di qualsiasi tipo, destinati con certezza alla rottura od allo smaltimento, i cosiddetti “supporti di memorizzazione esterna”, cioè nastri, cassette, cd-rom, dvd, blu-ray, si sono rivelati negli anni ben poco durevoli. A parte la scomparsa degli apparecchi di lettura necessari, i mezzi stessi si sono rivelati più cagionevoli del previsto, ed oggi si sono persi eventi storici come il video del primo passo di Armstrong ed archivi digitali come quelli dei primo satelliti e delle sonde NASA. Quanto è che non controllate i vostri vecchi cd-rom con le foto dei gattini così accuratamente salvate?

Ed in questo marasma si sono certamente persi gli archivi di posta di centinaia di milioni di persone comuni e di personalità storiche, che per semplice incuria o sottovalutazione nessuno, a cominciare dagli interessati, ha mai pensato di conservare.

Ma l’oblio assoluto non è la cosa peggiore che possa capitare alle parole digitali. Può infatti capitare che le parole cadano nell’oblio per gli uomini, che non possono più accederle, ma sopravvivano, trasformate negli immensi e proprietari archivi elettronici di multinazionali che le usano per fini che nulla hanno a che fare con la conoscenza, la cultura, e che non alimentano la cultura e l’Infosfera, ma al massimo sono cibo per le IA.

Così oggi posso leggere le lettere di Manzoni o di Gramsci, che le hanno scritte su carta, ma non quelle dei pionieri dell’informatica, posso leggere il discorso mai letto della morte dei primi uomini sulla Luna, ma non molti dei pensieri di Aaron Swartz, riversati in rete, eppure per la massima parte scomparsi.

E così, in futuro, forse poche email di valore sopravviveranno, e solo se ne avremo cura, ma tutte le parole ed i pensieri riversati nei social saranno persi per sempre. Usciranno dall’Infosfera della Cultura e finiranno in quella parte della Matrice più oscura, dove solo l’industria e la finanza potranno usarle, per poi gettarle via senza farsi domande non appena diventeranno voce passiva di un bilancio trimestrale.

E pensare che i bit, ce lo dice la fisica teorica, potrebbero durare per tutto il tempo dell’universo…


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