In un post ci siamo già rattristati dell’esiguità del numero di lettori di libri nella storia d’Italia. Un problema questo che affligge tutt’oggi le persone che vivono di libri sia che li scrivano, sia che li pubblichino sia che li espongano sugli scaffali delle librerie.
Gente non comune
Nel campo dell’industria libraria, però, non sono mai mancate personalità imprenditoriali dal grande fiuto, anche culturale, come Emilio e Giuseppe Treves. A Milano nel 1861, nel momento dell’unita nazionale, i due triestini fondarono la casa editrice Fratelli Treves, una sorta di variante nazionale del grande editore francese Henri Didier.
Gente questa, come i Treves, capace di prosperare in un contesto di mercato avverso e di creare strutture industriali tali da competere con i maggiori gruppi editoriali mondiali.
Così come non sono mancate scrittrici e scrittori che hanno raggiunto un grande e in qualche caso strepitoso successo, anche a livello europeo e mondiale: nomi dalla geniale creatività, riconosciuta ovunque.
I primi nomi di una nutrita serie di penne bestseller sono quelli di Carlo Collodi ed Edmondo De Amicis. Nella seconda metà dell’Ottocento conquistarono una marea sterminata di lettori, calcolata in milioni. E nessuno oggi si sorprende di questo successo.
Quello che può destare ancora curiosità è il fatto che queste figure si rivelino tutt’oggi prigioniere di uno stereotipo assai duro da abbattere. Il primo a soffrire di un tale pregiudizio è proprio Edmondo De Amicis dal quale iniziamo.
La parola “cuore” nei libri
La parola cuore sembra stimolare molto la serotonina degli italiani e spesso pompa un po’ di sangue negli anemici bilanci delle nostre case editrici.
Non è un caso che due dei più grandi bestseller della storia letteraria italiana recano proprio nel titolo tale provvidenziale parola.
Il primo proprio tout court. Scritto da Edmondo de Amicis, Cuore uscì con l’editore Treves nel 1886. Leggo su RaiCultura che il libro, tradotto in 25 lingue, ha venduto più di 20milioni di copie. Onestamente pensavo di più. Il nome della Rosa di Umberto Eco ha piazzato 50milioni di copie, più del doppio.
Il secondo e più lusingatore “cuore” è Va’ dove ti porta il cuore della scrittrice triestina Susanna Tamaro. Uscito un secolo dopo, nel 1994, secondo alcune stime, citate da “Il Corriere della Sera”, il libro ha venduto 15 milioni di copie. Un bel po’. La trilogia della Ferrante ha venduto 5 milioni di copie in meno.
Torniamo però a De Amicis e al racconto di Michele Giocondi.
Buona lettura
Uno scrittore ben poco deamicisiano
di Michele Giocondi
Un grandissimo successo popolare
De Amicis ha riscosso un grande, straordinario, immenso successo di pubblico a partire dagli ultimi decenni dell’800 e per buona parte del ‘900. Poi su De Amicis, dagli anni Sessanta del ’900 è calato un certo oblio, ma solo parziale, in quanto anche se non viene più letto come una volta, tutti sanno chi sia stato e molti comunque conoscono a grandi linee qualche personaggio ed evento del suo principale best seller, Cuore.
Sullo scrittore piemontese (in realtà nato a Oneglia, l’attuale Imperia) persistono ancora credenze e consuetudini che ne condizionano il vero volto e lo imprigionano in una immagine che non corrisponde alla loro effettiva realtà.
… ma una immagine viziata da falsità e pregiudizi
Poco di tutto questo, però, corrisponde alla vera realtà dello scrittore. Quella immagine stereotipata deriva infatti in buona parte da Cuore, dove sono sì presenti vicende e personaggi impregnati di un ridondante sentimentalismo, portato quasi all’esasperazione. Questo non si può negare. Ma quello era un libro per ragazzi progettato con intenti educativi e formativi, ed era quasi scontato che i toni fossero quelli.
Se andiamo però a vedere il comportamento del nostro autore in vari contesti, troviamo un personaggio con i piedi ben piantati per terra, impegnato con straordinario realismo e senso pratico a valorizzare la sua opera letteraria, senza cedere minimamente a quei caratteri che gli si attribuiscono. E questo fin dal suo primo libro, La vita militare, scritto poco più che ventenne.
Un De Amicis ben poco “deamicisiano”
Per tale opera, frutto dei racconti che scriveva in una rivista militare istituita per risollevare il prestigio dell’esercito dopo la disastrosa sconfitta di Custoza nel 1866, De Amicis si accorda prima con un giovane editore, Emilio Treves, confidando nelle doti di intraprendenza di un imprenditore che vuole affermarsi nella sua professione.
Però, dopo la prima edizione, rimane deluso, e lo abbandona per un altro editore, ritenuto più affidabile, il Le Monnier di Firenze. Con lui pubblica una nuova edizione del libro, che va sì bene, ma non quanto lo scrittore si aspetta.
E allora, valutati con realismo i pro e i contro, ritorna al primo editore, il Treves, il quale nel frattempo è cresciuto notevolmente e si sta imponendo come il più prestigioso editore del periodo.
Diteci un po’ cosa c’è di “deamicisiano” in queste scorrerie! Fatto sta che il nostro autore alla fine delle varie peregrinazioni ottiene dalla sua prima opera una tiratura complessiva di oltre 200.000 copie, in quel periodo cifra elevatissima e suo maggior successo dopo Cuore.
Tutto ciò è frutto di una gestione attenta, oculata, perspicace e persino coraggiosa, tipica non certo dello sprovveduto che si lascia guidare da un editore qualunque e non sa sfruttare al meglio il valore della sua opera.
Con i libri successivi, frutto di reportage di assoluto valore, che fanno conoscere paesi e popoli stranieri ai nostri lettori, come Spagna, Ricordi di Londra, Olanda, Marocco, Costantinopoli ecc. De Amicis ottiene sempre il massimo rendimento editoriale e il miglior risultato finanziario. Diteci un po’ anche qui cosa c’è di “deamicisiano” in tutto questo.
Il giornalista
Nello stesso tempo il nostro autore collabora con le riviste del suo gruppo editoriale, cioè del Treves, sempre puntando a ottimizzare il rendimento finanziario e a istituire una proficua sinergia fra gli articoli e i libri in uscita, in modo da valorizzare al massimo la sua attività.
Non disdegna neanche di collaborare a periodici stranieri, in particolare a uno argentino, che gli garantisce uno stipendio di 8.000 lire l’anno per un articolo la settimana. Otto volte lo stipendio annuale di un insegnante statale.
Un lavoro, confesserà lui stesso, di poca fatica e di ottimo guadagno, che si affianca a quello di narratore di successo, contribuendo notevolmente a incrementarlo. Anche in questo caso si rivela un abile gestore dei frutti del suo ingegno.
L’anticipo per “Cuore”
Sulla vicenda di Cuore poi, il suo maggior successo editoriale e il secondo in assoluto nel Regno d’Italia dopo Pinocchio, le cose sono ancora più complesse. Da tempo Treves lo sollecita a scrivere un libro destinato ai ragazzi con scopo educativo e formativo.
De Amicis prima tentenna, poi ci mette le mani più volte, ma non lo conclude mai, finché ai primi del 1886 in pochi mesi di grande fervore creativo butta giù l’intera opera.
A questo punto inizia una serrata trattativa con Treves. Si parla di una cifra forfettaria per la cessione del libro, più volte contrattata e ritirata, di offerte e controfferte, quasi si fosse a un suk.
Alla fine i due si accordano per un contratto a percentuale del 10%, sul prezzo di copertina. Ottimo affare per l’autore.
Uno straordinario successo commerciale
L’opera va letteralmente a ruba. Messa in vendita il primo di ottobre dello stesso anno, il 1886, giorno di apertura delle scuole, arriva a vendere 1.000 copie al giorno, tiratura per l’epoca mai vista prima.
E in qualche caso strepitosa anche oggi. La cosa garantisce allo scrittore cifre notevolissime. De Amicis si conferma senza ombra di dubbio l’autore più pagato del periodo.
Improbo il confronto con autori più o meno coetanei dalle vendite similari alle sue: Salgari percepisce 350 lire a romanzo e si sfinisce a scrivere pagine su pagine ogni giorno.
Carolina Invernizio, grande autrice di gialli che non sfigurerebbero nemmeno ai nostri tempi, si ferma a 600 lire a opera. Per entrambi cifre complessive per la cessione perpetua dell’opera!
Ma non finisce qui. Ognuno si sarebbe certamente fermato, quanto meno ognuno animato di buoni sentimenti “deamicisiani”, soddisfatto della ricchezza e del prestigio accumulato.
Verso i migranti
E non sentirebbe certo il bisogno di lanciarsi in nuove e perigliose avventure, che potrebbero metterne a rischio il ruolo conquistato, scalfirne il prestigio e forse incidere negativamente sulla massa di royalties che gli provengono quasi in automatico. Nessuno, ma non De Amicis.
E infatti durante una traversata dell’oceano per andare in Argentina a tenere una serie di conferenze pagate a peso d’oro, data la sua alta fama anche in quel paese, fa la conoscenza di coloro che compiono il suo stesso viaggio in nave per garantirsi un futuro migliore. Sono i miseri protagonisti di uno dei capitoli più dolorosi della nostra storia, l’emigrazione.
Durante la traversata ha modo di toccare con mano il loro triste destino, e rimane turbato dalla grande tragedia della loro vita. Ne prende atto e d’ora in poi la sua attenzione e la sua scrittura si concentreranno nel racconto delle loro dolorose vicende, qualunque sia l’immagine che si è costruito sinora presso i lettori.
Frutto di tale esperienza sarà Sull’oceano, uscito nel 1889. De Amicis è il primo a raccontare la triste odissea dei nostri poveri migranti che attraversano l’oceano per recarsi in America in cerca di fortuna. Nessuno prima di lui l’aveva fatto.
Verso il socialismo
Inizia per lui a una nuova fase, certamente più pericolosa e infida del suo normale tran tran: intraprende la strada del socialismo, della lotta per la liberazione e il riscatto dei più miseri, degli emarginati, degli sconfitti, degli ultimi della vita.
Chi nella sua condizione anche finanziaria, avrebbe percorso lo stesso cammino? Cosa c’è di “deamicisiano” anche in questa conversione al verbo socialista, con quello che tale fede politica significa ed evoca in quegli anni?
Addirittura compone un romanzo che è stato pubblicato solo di recente, nel 1980, Primo maggio, nel quale egli abbraccia le tematiche del socialismo scientifico, come ha rilevato un grande intellettuale come Sebastiano Timpanaro.
Non solo, ma a questa lotta dedica gli ultimi anni della sua non lunga esistenza. Con conferenze, incontri, opuscoli, scritti vari, affronta la questione sociale con grande coraggio e determinazione.
E basta qualche titolo a evidenziarlo: Sulla questione sociale, L’imbecillità progressiva della borghesia così detta colta, Lavoratori alle urne, Osservazioni sulla questione sociale, Nel campo nemico: lettera a un giovane operaio socialista, Socialismo e patria, I nemici del socialismo, Socialismo in famiglia: la causa dei disperati ed altri ancora.
Altro che amore “deamicisiano”, altro che romanticismo languido e buoni sentimenti da salotto, altro che “Edmondo dei languori”. De Amicis diventa un coraggioso combattente della lotta dei poveri per il loro riscatto e un deciso assertore e diffusore del nascente verbo socialista.