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Medioriente in fiamme e delitto Matteotti

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Mentre scrivo questo articolo riguardante la storia degli eventi mediorientali dalla fine della prima guerra mondiale a oggi, mi arriva la notizia che il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan ha incontrato il presidente dell’Ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. L’incontro è nato per ribadire la disponibilità turca a creare lo Stato indipendente di Palestina, che è la chiave, per Erdogan, per la pace regionale e per portare una pace permanente nella regione. Uno scandire di date dal 1914 a oggi ci lascia finora solo una scia di fallimenti alle spalle.

La storia serve a comprendere il presente; ma dal presente nasce il bisogno di risalire storicamente al passato, perché è nell’intelligenza storica che il passato si fa a sua volta presente e la storia è anche scienza di ciò che non è stato risolto.

Benedetto Croce sosteneva che: “Solo un interesse della vita presente ci può muovere a indagare un fatto passato; il quale, dunque, in quanto si unifica con un interesse della vita presente, non risponde a un interesse passato, ma presente”.  

Nella ricerca delle cause delle azioni di questa guerra perenne forse comprendere è impossibile, ma conoscere è necessario.

La fine della prima guerra mondiale, dal Trattato di Versailles del 1919 in poi, vide i rappresentanti delle quattro potenze vincitrici, Regno Unito, Italia, Francia e Stati Uniti, esclamare all’unisono che non si trattava di un accordo di pace, bensì di un armistizio, visione poi avveratasi nei successivi cento anni. Al tavolo delle trattative si era formato un nodo gordiano, da una parte vi era la Francia che lottava per mantenere le sue colonie, dall’altra il Regno Unito che stava arroccato nel suo british style, ma con un occhio vigile a mantenere saldi i propri possessi. Gli Stati Uniti entrati nel conflitto solo pochi mesi prima della fine erano intenti a difendere l’autodeterminazione, per un progetto di costruzione di un ordine mondiale liberale e democratico animato da presupposti universalisti, che aborriva gli accordi e la diplomazia segreta tra potenze, dichiarandosi di affidarsi al diritto per porre fine al vecchio “balance of power europeo”.

L’Italia come si dimostrò con il mancato soddisfacimento di ogni sua rilevante aspirazione aveva un peso indubbiamente minore.

Va detto subito che il disegno USA non ebbe il successo sperato. Anche se con questo ideale venne redatto l’accordo di Sykes-Picot, un accordo segreto, che tale sarebbe rimasto se il bolscevico Lenin, trovandone una copia nella cassaforte dello zar, non ne avesse fatto pubblicare la notizia, creando un immenso scandalo mondiale.

L’accordo fu stipulato mentre ancora si combatteva e già si prefigurava la spartizione delle spoglie dell’Impero ottomano, precisamente tra il novembre del 1915 e il marzo 1916, per poi essere firmato nel maggio del 1916, tra Regno Unito e Francia. Esso definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente, con le due potenze che divenivano le protettrici di un futuro Stato Arabo. Al Regno Unito fu assegnato il controllo delle zone comprese tra la Giordania, l’Iraq e una parte intorno ad Haifa. Alla Francia andava la parte settentrionale dell’Iraq, la Siria, il Libano e una zona a est della Turchia. La parte che successivamente fu riconosciuta come Palestina doveva essere governata da un’amministrazione internazionale coinvolgente anche l’Impero russo e altre potenze. Si era costituita un’area geo-politica strategica, ma “esplosiva”, della quale a distanza di cento anni non riusciamo a vedere soluzione.  Con Sykes-Picot era nato il “groviglio” del Medio Oriente.

Nel 2014 quando fu fondato l’Isis, gruppo terroristico creato sulle ceneri di Al Qaeda, il capo Abu Bakr al-Baghdadi nell’unico discorso pubblico che fece dalla moschea di Mosul disse enfaticamente: «Non ci fermeremo fino a che non avremo piantato l’ultimo chiodo nella bara della cospirazione di Sykes-Picot».

L’accordo di Sykes-Picot, che puntava al controllo della fonte energetica del petrolio da parte di Regno Unito e Francia, con l’Italia a fare da conduttore dei flussi stante la favorevole posizione geografica,  aprì la strada ai successivi trattati di Balfour, del Mandato della Palestina, del Trattato di Losanna, del Mandato della Società delle Nazioni e alla Conferenza di Sanremo.

Con il primo, Balfour, cessavano le ostilità con la Turchia e si assegnava la Palestina al Regno Unito, con il secondo, il Mandato della Palestina, il Regno Unito ottenne di governare la Palestina dal 1920 fino al 1948; con il Trattato di Losanna si sanciva la pace tra la Turchia e le Potenze dell’Intesa, determinando la fine di ogni pretesa turca su Cipro, sul Regno iracheno e sulla Siria. Successivamente, con il Mandato della Società delle Nazioni, che operò fino alla sua abolizione nel 1946, e con la Conferenza di Sanremo del 1920, si determinavano i mandati con i quali Francia e Regno Unito avrebbero operato nei territori derivati dalla spartizione dell’Impero ottomano. Esse si spartirono le terre e le ricchezze minerarie del Medio Oriente, come disse suggestivamente Arnaldo Cipolla nel libro pubblicato a Firenze nel 1937 da Bemporad, con il titolo “Sino al limite segreto del mondo” nel quale in un estratto si legge: «Così dal cuore dell’Asia arriva in Europa il sangue della guerra, l’essenza dionisiaca della velocità, il petrolio di Kirkuk. Arrivare e combattere per il petrolio. Strike oil! Grido dell’americano del 1860, grido attuale di tutti gli uomini, grido delle brigate inglesi inviate in Palestina a salvaguardare il 30 per cento d’interesse netto che il petrolio largisce agli azionisti della City.»

L’accordo di San Remo finì per attribuire ai francesi la parte germanica della produzione, cioè il quarto dell’Irak Petroleum, mentre altri due quarti erano assegnati al Regno Unito e l’ultimo quarto agli Stati Uniti d’America. Inglesi e francesi avevano fatto grandi promesse all’Italia ma all’improvviso si trovarono di fronte a un bivio: mantenere gli accordi presi col patto di Londra oppure seguire la nuova linea americana dell’autodeterminazione dei popoli voluta dal Presidente Wilson, relativamente alla nascita di altre nazioni.

Wilson era intervenuto con i suoi famosi “14 punti” , nei quali dovevano essere i popoli a decidere in che Stato volessero vivere piuttosto che farlo decidere ai governi. Questo fece sì che si appoggiassero le rivendicazioni jugoslave favorite anche dai francesi che temevano un’eccessiva influenza italiana nei Balcani.

Il resto lo fece la scarsa capacità della diplomazia italiana, guidata dal premier Orlando e dal ministro degli esteri Sonnino.

Le promesse degli Alleati non vennero mantenute e ci furono date soltanto Trento e Trieste per raggiungere i nostri confini naturali. Orlando e Sonnino, offesi e umiliati, lasciarono Versailles, in segno di protesta, ma facendo sì che la spartizione avvenisse solo tra inglesi e francesi. 

All’Italia mancava una fonte energetica per poter essere competitiva con le altre potenze; una grande limitazione per l’autonomia politica ed economica.

Con la fine della guerra il Paese stentò nella riconversione dell’industria bellica, scoraggiando nuovi flussi di capitale. Si aprì la fase che sul piano politico portò alla marcia su Roma e all’insediamento del primo governo Mussolini.

Nel 1922, quasi l’80% del mercato petrolifero italiano era gestito dalla  Standard Oil, la prima società americana, che, a causa della sua posizione di mercato, aveva spinto gli Stati Uniti a emanare leggi antitrust, presto aggirate, smembrando la Standard Oil in nuove società come la Mobil Petroleum, la Chevron, la Exxon, la Amoco, la Conoco, la Arco e la Sun.

Fu proprio grazie a questa divisione che il suo proprietario Rockfeller divenne l’uomo più ricco e potente d’America. Nel 1891 era stata costituita a Venezia una società per azioni al portatore, avente come scopo il commercio del petrolio e similari. Era nata la Società Italo Americana pel Petrolio, SIAP, che come detto arrivò a fornire l’80% del fabbisogno nazionale, mentre il restante 20% faceva capo all’inglese Royal Shell con una filiale italiana della Anglo-Iranian Oil Company.

La società petrolifera del governo britannico era divenuta potente grazie ai negoziati del 1901 avvenuti con lo Shah Pahlavi, il fondatore della dinastia persiana e grazie all’intuito per gli affari di Winston Churchill il quale voleva esercitare una forte concorrenza verso la Standard Oil. L’ambasciatore italiano a Washington doveva trattare la delicata questione dell’annullamento dei debiti di guerra italiani verso gli Stati Uniti. Era l’aristocratico romano Gelasio Caetani, che divenne il sostenitore della alleanza con la Sinclair Oil, e riuscì in breve tempo ad assicurarsi una convenzione con il governo Mussolini a un prezzo superiore, e non di poco, rispetto all’offerta presentata dalla Anglo-Iranian Oil.

La Sinclair Oil si aggiudicava l’esclusiva per la ricerca e lo sfruttamento di tutti i giacimenti petroliferi sul territorio italiano, segnatamente Emilia e Sicilia, ed una concessione di novant’anni con esenzioni dalle imposte per scavi in tutta la penisola, oltre all’astensione dell’ente petrolifero italiano dal trivellare il deserto libico, che era diventata colonia italiana nel 1911.

La Anglo-Iranian Oil rimase spiazzata e credette che la Sinclair Oil avesse ottenuto la convenzione pagando tangenti al governo, precisamente al fratello di Benito Mussolini, Arnaldo.

La Anglo-Iranian e lo stesso governo britannico videro negli accordi tra Italia e Stati Uniti un vero e proprio attacco al Regno Unito. Fu così che la stampa inglese rese pubblica la convenzione italoamericana e nell’indignazione si trovarono d’accordo sia i laburisti che i conservatori.

La notizia ebbe grande risonanza in Italia. Così il 30 maggio del 1924 l’Onorevole Giacomo Matteotti, nel suo ultimo discorso alla Camera, denunciò illegalità e abusi commessi dal Governo Mussolini. Undici giorni dopo fu assassinato.

Giacomo Matteotti era da sempre molto vicino agli ambienti inglesi e aveva minacciato di portare davanti alla Camera dei Deputati documenti compromettenti. Il periodico «English Life» e il «Daily Herald» pubblicarono un articolo postumo del deputato, nel quale egli denunciava la presunta corruzione tra il governo Mussolini e la società petrolifera Sinclair Oil. Lo scandalo fu tale che la Sinclair Oil si ritirò dall’Italia e fece annullare tutte le convenzioni stipulate.

Guerre asimmetriche e non convenzionali quelle petrolifere, anche tra nazioni amiche, a volte persino alleate. Rapporti corruttivi che coprono accordi segreti da cui scaturiscono effetti anche a distanza di decenni. Spesso i “retroscena”  della storia ci rivelano che essa è fatta più di strette di mano segrete che di battaglie, di ideali e proclami e che le strade, anche se lastricate di buone intenzioni, finiscono troppo spesso nel cinismo di patti meno confessabili. Sono metodi al giorno d’oggi a noi del tutto estranei, in nome della democrazia? O segnano ancora il sistema più seguito quando è in ballo la risorsa energetica più vitale per il dominio del pianeta? E’ un grande interrogativo, ma siccome si vive anche di utopie, il trionfo, quando avverrà, dell’energia da fonti rinnovabili non sarà solo la soluzione del maggior problema ambientale, ma anche quello del maggior problema politico nel rapporto tra gli stati moderni. Ci aiuterà la storia dei disastri del passato a guidarci nel futuro? Ah, saperlo!

 

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