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Domande e silenzi su Cassa Centrale Banca e Carige

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In un recente articolo Marco Bindelli, esponente di spicco del Gruppo Bancario Cooperativo Trentino, manifesta una serie di perplessità circa l’ipotizzato intervento della Capogruppo Cassa Centrale Banca (CCB) nella soluzione della crisi bancaria di Carige.

I dubbi sono d’ordine tanto giuridico, quanto di strategia e di rischio d’impresa, aprendo uno iato ai vertici del secondo gruppo bancario cooperativo, impegnato a dare avvio alla nuova configurazione voluta dalla riforma del 2016.

Le argomentazioni di Bindelli sono serie e chiamano in causa le Autorità di vigilanza su un’operazione che distoglierebbe 500 milioni per il sostegno delle attività bancarie cooperative e degli investimenti in tecnologia, quanto mai necessari.

Anche Economia&FinanzaVerde ha dedicato alla vicenda della banca genovese alcune riflessioni, centrate sui rischi per i risparmiatori dovuti tanto all’anomalo prolungarsi del salvataggio, quanto alla eterogeneità dei veri o supposti cavalieri bianchi. Anche a noi è balzata agli occhi l’iniziativa di CCB, che si propone di divenirne azionista di maggioranza.

Il rapporto dimensionale tra i due soggetti è netto: sei miliardi gli impieghi del gruppo CCB contro 14 di Carige. A nostra memoria, mai vi è stata un’operazione di aggregazione bancaria rilevante a numeri tanto rovesciati.

E ciò senza nulla dire della complessità di integrare le rispettive specializzazioni e competenze, tanto distanti tra loro. Clientela corporate di grandi dimensioni Carige, piccole e medie imprese il raggruppamento Cassa Centrale. Alcune forti specializzazioni la prima (ad es. nello shipping), business bancario tradizionale e semplificato la seconda. Inoltre il risanamento della banca genovese appare, per essere eufemistici, complicato, stante la montagna di crediti malati accumulati. Il boccone potrebbe essere fatale.

Ciononostante non vogliamo seguire questo ragionamento, quanto quello di capire se il passaggio di cui si parla faccia parte di un disegno più articolato, che punti a creare un soggetto diverso da quello che ha improntato la recente riforma del credito cooperativo nostrano.

Come si sa, essa è fondata su un contratto di coesione, con una capogruppo con poteri di indirizzo e coordinamento e la rete delle Bcc associate che mantengono identità e autonomie differenziate sui territori di insediamento.

Prima domanda

La domanda è se con l’operazione Cassa Centrale Banca-Carige si vada invece verso la creazione di un intermediario unico, secondo il modello cooperativistico di altri paesi come la Francia del Crédit Agricole o l’Olanda di Rabobank.

È da chiedersi anche se la direzione trovi conferma nelle numerose e rapide fusioni tra BCC già promosse e in alcune dichiarazioni secondo le quali il Gruppo Trentino punterebbe ad un massimo di 30 soggetti (dagli oltre 100 di partenza) e alla aggregazione di altre realtà (piccole banche popolari e spa).

Se questo fosse, la prima questione sarebbe di trasparenza e di rispetto verso le basi sociali che, dopo anni di amletiche indecisioni e di laceranti contrasti, hanno appena votato l’adesione a uno dei tre gruppi bancari cooperativi (Iccrea, CCB, Raiffeisen). Sarebbe il primo silenzio da rompere.

Seconda domanda

La seconda domanda riguarda la posizione delle Autorità di settore, le quali dovrebbero declinare in uno dei loro tanti speech, nei quali è ricorrente il riferimento alle condizioni del credito cooperativo, se prima ancora della partenza definitiva della riforma, si debba già pensare ad un altro modello di governance e, in tal caso, per quale motivo.

Il Gruppo Bancario Cooperativo non da’ forse sufficienti garanzie di stabilità e di efficienza al sistema? La vigilanza della BCE ha ancora dubbi?

Al più presto le nostre Autorità dovrebbero anche esporre la propria posizione circa l’intervento in Carige. Siccome i rischi sono tutt’altro che remoti, i depositanti delle banche di credito cooperativo dovrebbero essere informati, con dovizia di autorevoli particolari, che l’operazione ha tutti i crismi della sana e prudente gestione. Non si ha invece notizia di comunicati ufficiali. E le informazioni nebulose non possono rafforzare la fiducia.

Terza domanda

Una terza domanda va rivolta ai competitors del CCB, chiedendo a Iccrea e Raiffesen che cosa ne pensino. Dopo tutto sono anch’essi i custodi di un modello bancario per il quale si sono tanto battuti. Il loro silenzio ufficiale non va a vantaggio del movimento, dato che l’operazione non sarebbe mera questione di concorrenza.

Insomma ci sembra che essa non possa inquadrarsi in una, per quanto complessa, operazione di mercato, intorno alla quale il Fondo Interbancario di Tutela dei depositi, che vi ha già impegnato alcune centinaia di milioni, si affanna a trovare la quadra. Essa assume, se vera e responsabile, i crismi di un’operazione di sistema.

L’ultima domanda sarebbe quindi da rivolgere alla politica. Ma è bene fermarsi qui.

Quanto al risparmiatore cooperativo, ripristinando una frase divenuta famosa in altre circostanze, non resta che chiedersi:

“Che c’azzecca il Credito Cooperativo Trentino con lo sfascio della Cassa di Risparmio di Genova e Imperia?”, restando nella fiduciosa attesa che qualcuno glielo spieghi.

Anche questo, dopo tutto, è argomento da educazione finanziaria!

 

 

 

 

 

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