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Le allettanti promesse del Piano del Governo per il Sud

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La copertina de Il nostro caro Angelo di Lucio Battisti (1973)

Prologo

Era il 1973 e Lucio Battisti sorprendeva tutti con un Lp straordinario, Il nostro caro Angelo. Cambia la sua musica, fonde il suo rock e le sue magiche melodie con i ritmi latino americani. Una contaminazione inattesa da grande musicista. I testi sono dissacratori, corrosivi ci parlano di povertà, consumismo, diseguaglianze. Con la canzone Allettanti Promesse, contenuta nell’Lp, crea un quadro fatto di contrapposizioni tra la vita in campagna, autentica e genuina, e la vita ruffiana e conformista della borghesia cittadina.

Mi è venuto in mente il cantautore reatino e questa sua graffiante canzone leggendo la corposa documentazione del piano per il Sud 2030, presentato il 14 febbraio a Gioia Tauro dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e dal Ministro per il Sud e la Coesione sociale, Giuseppe Provenzano.

Senza dilungarci in noiose rievocazioni del dualismo Nord Sud, il piano è una apertura sostanziale a coloro che invocano un livello di spesa pubblica, variamente definita, nel Mezzogiorno che sia pari al 34 per cento del totale (contro il 20 per cento degli ultimi anni). Quota 34 è indefettibilmente incardinata in convinzioni granitiche. Il Meridione ha il 34 per centro della popolazione italiana: ne discende che la ripartizione delle risorse debba andare di pari passo. In effetti nei dieci anni che terminano nel 2018 la spesa per gli investimenti ordinari della PA si è dimezzata, da 21 a 10 miliardi di euro.

Il Piano o meglio i piani

Il piano, a dispetto della sua unitarietà di intenti, contiene una pluralità di piani. Mette insieme tutte le risorse attualmente disponibili, non ancora stanziate e che non rispondono a criteri predeterminati.

La Legge di Bilancio 2020 ha rafforzato la «clausola del 34%», operando una piccola «rivoluzione copernicana» rispetto alla formula precedente introdotta nel 2016 (articolo 7 bis, comma due, del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243). Si passa, infatti, da un sistema di mero monitoraggio ex post di aderenza al principio di riequilibrio territoriale, senza reale cogenza, a un vincolo normativo stringente per l’amministrazione.
In particolare, la nuova norma stabilisce che «ogni ripartizione di fondi, comunque denominati, finalizzati alla crescita o al sostegno degli investimenti da assegnare sull’intero territorio nazionale che non abbiano criteri o indicatori di attribuzione», deve essere disposta ex ante in conformità all’obiettivo di destinare agli interventi nel territorio delle otto regioni meridionali un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale almeno proporzionale alla popolazione di riferimento. Da qui al 2030 l’ordine di grandezza delle risorse attivabili è tra i 120 e i 150 miliardi di euro.

Questo è il pilastro finanziario che regge il piano, poco più di un semplice principio che riguarda dozzine e dozzine di interventi minuziosamente elencati nei documenti del piano medesimo. Gli interventi, inoltre, non fanno capo ad un unico soggetto responsabile, ma hanno una pluralità di interlocutori oltre a regioni ed enti locali.

L’ambizione del progetto

Il progetto è ambizioso nella sua vasta magnitudine, non certo nelle risorse aggiuntive che destina. Esse sono pari, estrapolando dalle varie leggi di bilancio e dagli allegati che il piano presenta,  a poco più dell’1 per cento della spesa pubblica complessiva. Anche l’impatto sul PIL meridionale è modesto; a stento arriva all’1 per cento l’anno nel decennio fino al 2030.

La natura degli interventi è talmente frammentata che è di difficile lettura. Si va dalla rete ferroviaria e stradale con l’Alta Velocità fino a Bari e a Reggio, al trasporto locale, ai comuni piccoli per valorizzare l’ultimo miglio e l’intermodalita’.Si passa a infrastrutture da rigenerare, ad esempio quella energetica per attuare la svolta ecologica e l’economia sostenibile e circolare.Si punta verso la rigenerazione ambientale senza trascurare scuola e lavoro, e occupazione femminile. Centrale è anche la riqualificazione di alcuni centri storici (Cresci Taranto) con l’istituzione di ZES- Zone Economiche Speciali. Strumento indispensabile in questa programmazione è la rigenerazione amministrativa delle procedure che dovrebbe velocizzare e rendere più corretto l’operato della PA sul territorio.

Scorrere l’indice ci aiuta a definire la dimensione dei progetti, c’è davvero tutto: Le risorse e l’impegno per il decennio 2020-2030, Le missioni (sono 5 in tutto), Le prime azioni nel 2020 (svolta ecologica, frontiera dell’innovazione,Sud aperto al Mediterraneo, ecc.), Politiche strutturali e misure urgenti per l’impresa e il lavoro, Un nuovo metodo. Una rigenerazione amministrativa, La prossimità ai luoghi. Una nuova politica territoriale (Rigenerazione dei contesti urbani), Le alleanze.Partecipare al Sud 2030.

Stranamente tace sulle banche e sulla finanza di impresa nel Sud, la cui importanza per lo sviluppo è ovviamente essenziale. Analogamente, fenomeni come la corruzione e la illegalità sono auspicabilmente da sradicare come una mala pianta che impedisce lo sviluppo.

La gaffe della slide introduttiva del piano per il Sud con foto della baia di Duino  a Trieste

Allettanti promesse

L’aspetto volontaristico e pieno di lodevoli intenzioni del piano è il suo principale limite, come già altre volte è capitato. Sono annunci, promesse che dovranno essere implementate e soprattutto realizzate. Vi è tuttavia un valore di politica spiccia, a mio modo di vedere, non trascurabile.Serve a togliere gli alibi a una classe politica meridionalista che chiede da sempre maggiori risorse e che si dichiara scontenta delle scelte del governo. Con il piano invece è sempre possibile dimostrare che queste risorse da impegnare ci sono e che l’impegno di intervenire per il Sud è stato rispettato.

Le premesse del piano riguardano i ritardi del Sud. I ritardi, in estrema sintesi, sono così resi espliciti a pag.9 in modo drammatico. E’ un vero de profundis di decenni di politica meridionalista e di risultati del tutto insoddisfacenti.

Il Sud vive da troppi anni in condizioni di persistente emergenza sociale. Dopo aver subìto con maggiore intensità gli effetti della Grande recessione (un settennio ininterrotto di crisi 2008-2014), ha fatto registrare nel triennio successivo una ripresa in linea con il resto del Paese ma assai distante dalla media Ue e dell’Eurozona, che non ha consentito un pieno recupero produttivo e occupazionale. La spinta di una ripresa troppo debole si è presto esaurita: nel 2019 è previsto il ritorno del segno meno nell’andamento del Pil meridionale. I livelli di attività economica nel Mezzogiorno risultano così inchiodati a quelli dei primi anni Duemila: due decenni perduti per lo sviluppo, che hanno innescato dinamiche sociali profonde. La fuoriuscita migratoria di massa, in particolare delle nuove generazioni, anche delle componenti più qualificate, è il fenomeno più allarmante per le prospettive future dell’area.

Questo è il quadro complessivo cui andrebbero comparati i progetti del piano, poco più di semplici programmi, buoni a fare propaganda politica senza minimamente intervenire sulla classe dirigente che è chiamata a gestire questi aiuti. L’immagine che ne esce è perlomeno appannata e si scurisce non poco se pensiamo che riguarda il futuro del nostro Paese.

Potrai avere un giorno anche dei figli!
Per farli diventar così preferisco allevar vitelli e conigli!

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