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Raffaello tra Roma e Firenze

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Il 6 aprile 1520 muore a Roma, a trentasette anni, Raffaello Sanzio, il più grande pittore del Rinascimento. La città sembra fermarsi nella commozione e nel rimpianto, mentre la notizia della scomparsa si diffonde con incredibile rapidità in tutte le corti europee. S’interrompeva non solo un percorso artistico senza precedenti, ma anche l’ambizioso progetto di ricostruzione grafica della Roma antica, commissionato dal pontefice, che avrebbe riscattato dopo secoli di oblio e rovina la grandezza e la nobiltà della capitale dei Cesari, affermando inoltre una nuova idea di tutela. Sepolto secondo le sue ultime volontà nel Pantheon, simbolo della continuità fra diverse tradizioni di culto, forse l’esempio più emblematico dell’architettura classica, Raffaello diviene immediatamente oggetto di un processo di divinizzazione, mai veramente interrotto, che ci consegna oggi la perfezione e l’armonia della sua arte.

 

Ho visitato la mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, grazie alla passione per l’arte e di chi la ama. Un evento mondiale a distanza di 500 anni dalla morte del divin pittore. La pandemia ha bloccato tutto ma alla ripresa l’organizzazione è davvero perfetta, i visitatori sono distanziati e hanno a disposizione cinque minuti per ogni sala, con una durata complessiva di poco più di un’ora. Resterà aperta fino al 20 agosto.Una cinquantina di capolavori in massima parte di provenienza dagli Uffizi di Firenze e con un percorso a ritroso, dai quadri degli ultimi giorni della sua vita ai primi della tenera età. La sua vita racchiusa in meno di 40 anni in cui diventa uno dei principi assoluti del Rinascimento, a servizio di due papi, Giulio II e Leone X, quest’ultimo figlio di Lorenzo dei Medici.

Perchè ancora ci commuove dopo tanti anni ? Ci parla della società dell’epoca e reinventa i miti della cristianità con l’amore per la figura femminile, come nel mondo classico attribuendole il significato di elevazione del platonismo. La Madonna è al centro della sua ricerca pittorica, la figura è plastica e molto terrena adorna di pizzi, sete, ornamenti. E’ sensualità femminile che l’Urbinate abbraccia per rimanerne incantato e dipingerla per i nostri sguardi dopo secoli.

C’è altro che la mostra ci fa capire. Egli era il punto di riferimento di una intera schiera di artisti che reciprocamente si ispiravano, scultori, arazzisti, altri pittori, disegnatori, architetti. E tutto si svolgeva tra Roma, Firenze e altre capitali europee. Per un giovane pittore non era da poco, un sogno interrotto chissà per quale misterioso sentiero della provvidenza, dalla morte improvvisa.

Resta l’amore per la vita che traluce dalla sua grande pittura, straordinaria nei ritratti dei potenti, delle sue amanti, della Madonna, dei papi che lo ingaggiavano. E ci vedo un monito per noi. Che siamo altro da quel che pensiamo o immaginiamo. Siamo fatti di sogni, d’amore e di bellezza immersi nella contemplazione munifica della natura. In tutto il suo percorso umano e artistico quel che mi ha colpito è che mancano nella sua pittura il senso di colpa e il peccato. La morte del Cristo, la crocifissione, i toni cupi sono fuori dal suo orizzonte spirituale e dai suoi dipinti.E’ l’esaltazione dei fermenti del Rinascimento di Lorenzo dei Medici che influenzerà la storia del mondo e consacrerà la visione dell’uomo al centro della storia. Noi veniamo da lì e la mostra ce lo ricorda a che non si disperda l’eredità.

 

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