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Dino Campana, il direttore del mondo

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Andrea Manzi, scrittore e giornalista, immagina di incontrare il poeta Dino Campana e chiedergli dei giocattoli della sua infanzia. Si aprono confini impensabili che travalicano i nostri territori.  I recinti in cui siamo, noi normali, ad essere reclusi.
Sono il direttore del mondo”, dichiara il grande e visionario poeta. La poesia che nasce dalla febbre elettrica del selciato notturno. Che è acqua e vento per essere trasportati in alto, in un paese di giudici e non di mercanti. Ed è proprio Campana che dal chiuso del manicomio di Marradi ci da una occasione, se non una autentica lezione, di libertà.

Per gentile concessione dell’autore che oggi con Barbara Ruggiero coordina RESISTENZE QUOTIDIANE, magazine on line con cui Economia&FinanzaVerde ha proficui rapporti editoriali. (N.d.R.).

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A colloquio con il grande poeta Dino Campana (1885-1932) che ebbe un rapporto di straordinaria fedeltà con la letteratura e la creazione artistica. Nei suoi versi, recuperati in questo scritto sotto forma di risposte all’intervistatore, c’è il respiro della poesia visionaria e profetica. Campana morì in manicomio dopo un ricovero di anni. Dal suo luogo di degenza, parlava confusamente dell’Italia come del “fuori”, dello spazio ormai sconosciuto per il quale auspicava la venuta di “un direttore”. Un’aspirazione anche attuale che, purtroppo, vive sempre più frequentemente in menti non sfiorate dalla sofferenza.

 “oh, il giocattolo”

anche pupazzi, bambole.

“via, andate via. ho bisogno di diluirmi in questa pioggia che arriva da londra”.

da londra?

“portata qui dal radiofono suggestivo”.

i suoi giocattoli dove sono? in soffitta?

“they were all torn and cover’d with the boy’s blood. ricorda withman? si macchiarono tutti del sangue del fanciullo”.

del suo sangue, campana?

“la mia infanzia fu una gabbia, ne temo il ricordo”.

una gabbia? un gioco, dunque?

“una guerra”.

una guerra vinta da lei?

“oh sì, vinta da me sull’onda eroica dell’ideale”.

lei, è un onnipotente?

“ero il direttore dell’italia”.

ed ora?

“dirigo anche lì tutto”.

e vince?

“salgo e scendo quando voglio. lo sa lei che io volo sull’ala battagliera della poesia?”.

e ne discende per gioco quando vuole?

“macché”.

campana, lei piange!

“è che ho smarrito la mia poesia nella boscaglia”.

sarà finita in un dirupo?

“la cerco da giorni. forse si è disciolta nell’acqua, nella melodia docile dell’acqua che si stende tra le forre fino all’ampia rovina del letto”.

non disperi. la poesia, dopotutto, è gioco, un gioco.

“la mia poesia sorge su dalla febbre elettrica del selciato notturno, la riconoscerò, saprò catturarla”.

per portarla dove?

“nel polline, tra i filari del glicine”.

non con lei, lassù.

“lì è un grande luna park. la lascerò qui dove il mio pensiero balzava e irrompeva nella stanza dei venti”.

e dove la sua libertà finì in manicomio?

“una pirandellata, nulla di più”.

venga a giocare con noi. abbiamo auto e treni di latta, plotoni di soldati e cavalieri a cavallo.

“giocare?”.

sì giocare!

“come tutti i fanciulli?”.

tutti noi giochiamo…

“sì, il mondo gira per il fanciullo, l’acqua scorre per il fanciullo e i fiumi riprendono la loro cantilena stanca di accordi secchi, tra le rocce”.

campana, provi a rivedersi fanciullo. ricorda un giocattolo?

“oh, l’acqua… l’acqua corre piana nella gora… ecco, eccolo il fanciullo disteso sull’erba. quanto tempo è trascorso da quando le stelle mi dissero dell’infinità delle morti”.

ma che fanciullo fu lei?

“immobile come il mio cadavere”.

una catastrofe?

“tutto anela alla distruzione”.

nietzsche.

“lui era il wagner del pensiero”.

ma venga a giocare con noi. c’è una trottola!

“ora sono solitudine mistica”.

lei non seppe giocare nemmeno quando ebbe un corpo.

“un povero corpo mortificato in attesa che qualcuno lo prendesse”.

inerte.

“e povero”.

i poveri non giocano?

“i poveri odono canzone bronze, sono tutti in una cella bianca”.

ma possono fare i poeti.

“per vendere, poi, i loro canti da paszkowski o alle giubbe rosse. venderli agli infami”.

quanto basta per vivere di poesia.

“vivere, vivere… io per vivere tempravo falci, ferri, accette”.

però la gente nei vicoli recitava i suoi versi.

“e già! ma io ero un poeta, i miei versi erano meravigliosi”.

vede questa bambola, è una sfinge di gomma, le labbra ruffiane. la tenga.

“no, sorride”.

le bambole non piangono mai.

“a me piacciono i sorrisi dei volti notturni”.

ma che fa, campana? la scopre? ne esplora il suo corpo?

“io rivedo manuelita, la piuma di struzzo, la cipria sparsa sul viso, la sua pelle ambrata”.

manuelita?

“la notte era galeotta delle nostre anime oscure”.

campana, ma lei si allontana con la testa tra le mani. cosa le accade?

“silenzio! un revolver annuncia e chiude un altro destino”.

l’ho raggiunta per parlare di giocattoli, vendergliene qualcuno, e lei lancia messaggi minacciosi, oscuri.

“la vita mi lacerò, poi un vento forte mi spinse verso il mondo”.

piange?

“la mia parola ha diritto di essere ascoltata”.

ma questa è un’intervista sul giocattolo.

“non li ricordo, i giocattoli”.

ma lei, campana, chi è?

“sono l’acqua e l’acqua è il nettare dei miei versi”.

ora, però, ha smarrito la poesia.

“e chissà se riuscirò a ritrovarla nell’acqua che scende tra le curve regali, nell’acqua in circolo tra luoghi senza strade”.

attenda un attimo. la bambola è caduta nel ruscello,gliela recupero.

“corro io. sono il vento, aspetterò la bambola laddove il letto rovina”.

campana, campanaaa, campanaaaaa!

“eccola, l’ho presa: bagnata, senza scarpe”

perché sorride?

“è gonfia, ha bevuto l’acqua dov’era disciolta la mia poesia. eleganza, arco teso della bellezza”.

ma è soltanto una bambola. lei l’accarezza!

“povera piccolo armonia. la porterò con me, l’ultimo germano d’italia ha ritrovato la poesia ed ora s’invola cercando un paese dove vi siano giudici e non mercanti”.


Quest’intervista inedita evoca le atmosfere di un testo teatrale di Andrea Manzi dal quale fu tratto lo spettacolo che debuttò, nel 1984, al Festival Città Spettacolo di Benevento, diretto da Ugo Gregoretti. “Dino Campana poeta”, per la regia e l’adattamento drammaturgico di Lorenzo Cicero, si rivelò un successo e fu proposto in una lunga tournée che toccò importanti città (Milano, Roma, Napoli ecc.). L’intervista ripropone il tema del controverso rapporto tra il grande poeta e l’esistenza e rilancia, attraverso la finzione del colloquio postumo, il pensiero, i messaggi e le stesse parole della poesia visionaria e “folle” più inimitabile del Novecento, che Carmelo Bene non senza motivo accostava ai versi di Friedrich Holderlin.

 

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