In un evento organizzato da Italia Fintech con la collaborazione dell’Osservatorio del Politecnico di Milano si è fatto il punto sullo stato e sulle prospettive del Fintech nel nostro paese, anche in comparazione con altre esperienze europee. Dal Report presentato nella circostanza, è emerso un quadro non proprio rassicurante. L’Italia occupa una delle ultime posizioni in termini di indicatori Fintech.
Anche il dibattito succedutosi si è concentrato su molte criticità (difficoltà del funding, scarsità di incentivi, ridotto interesse del banking tradizionale, eccessi della burocrazia, deboli politiche industriali), individuando alcune linee di intervento promesse o auspicate, tutte ben articolate e condivisibili. Qui il comunicato stampa emesso al termine dell’evento.
In aggiunta a questo quadro, espongo qualche considerazione sulla base della esperienza di chi ha partecipato all’avvio di una start up innovativa, che a un certo punto ha deciso di diventare ente vigilato da Banca d’Italia, quale istituto di pagamento e più specificamente Third Party Provider: FlowPay.
Il primo punto riguarda il contesto nel quale dovrebbe con più chiarezza di obiettivi muovere il Fintech, che non può prescindere dai bisogni della PMI. Essa rappresenta l’asse produttivo portante del paese, che negli ultimi anni ha subito, causa le crisi, la falcidia di circa un milione di entità e l’impatto delle restrizioni creditizie. Ecco perché le risposte innovative debbono concentrarsi sulla razionalizzazione dei processi gestionali dell’impresa e su fonti di sostegno finora poco esplorate. Ciò porta a focalizzarsi su iniziative del Fintech che possono incidere sulla ottimizzazione del capitale circolante, del capitale fisso e del capitale umano. Qui un articolo che espone le esperienze di tre start up innovative su questi fronti (oltre a FlowPay, Paradigmix e Welfin). Trovare valide modalità di orientamento delle scelte appare di rilevanza assoluta.
Il secondo tema riguarda la possibilità di sviluppare applicazioni Fintech volte a migliorare l’informazione economica che si estrae dall’impresa. Qui bisogna mettere in atto nuove tecniche. I servizi di accesso ai conti possono alimentare basi di dati tratte dalle singole operazioni di incasso e pagamento, per essere ricomposte in schemi previsionali circa i bisogni di liquidità dell’impresa. Oltre a fornire indicazioni volte a ottimizzare i flussi finanziari, la data analytics qui proposta può aiutare a costruire modelli di valutazione del merito creditizio nelle richieste da sottoporre alle banche.
Sinergie nello sfruttamento di informazioni analitiche potrebbero inoltre intervenire tra imprese fintech operanti nell’open banking e consorzi di garanzia fidi, per poterne aiutare le scelte con maggior consapevolezza dei rischi di controparte. Le analisi dei bilanci si arricchirebbero di siffatta informazione e dare maggiore contezza dei punti di forza e di debolezza finanziaria dell’impresa.
Un altro argomento riguarda la semplificazione e più specificamente l’applicazione di criteri di proporzionalità da parte delle Autorità di settore verso le start up innovative che decidano di dotarsi di licenze per svolgere servizi sotto vigilanza. Gli adempimenti sono tuttora assai complessi (e quindi costosi), senza una concreta modulazione in funzione sia della dimensione d’impresa (ovviamente assai ridotta nelle prime fasi di vita di una start up) sia delle peculiarità dell’avvio (che si traduce in un forte peso iniziale dei beni immateriali sul totale attivo).
Nel mondo del Fintech una più bilanciata composizione tra soggetti vigilati e non vigilati può aiutare nella messa a terra di progetti che si rapportano a servizi che, stante l’interesse di carattere generale, richiedono il controllo di autorità pubbliche. Oggi start up innovative in possesso di licenza, come FlowPay, non si contano nemmeno sulle dita di una mano. Una diversa politica regolamentare può senza dubbio incentivare nuove iniziative Fintech vigilate.
Non può non destare perplessità poi il ridotto interesse del sistema bancario verso gli investimenti nel digitale e ciò anche in previsione di direttive quali Micar e Psd3, che trasformeranno radicalmente le relazioni di clientela. All’evento organizzato da Fintech Italia era presente il rappresentante di una sola new bank. D’altro canto alcune recenti crisi di operatori bancari appartenenti a questo segmento fa intravedere le difficoltà ad istaurare solide prospettive di collaborazione tra operatori Fintech e new banks, se non si stabiliscono adeguati presidi dei rischi e credibili progetti industriali.
Aggiungo, senza voler entrare in eccessivi tecnicismi, talune incertezze che contraddistinguono ancora il pieno utilizzo dell’open banking e il ruolo di stimolo, se non di vero e proprio traino, che dovrebbero svolgere le infrastrutture di sistema verso le Fintech. Nel caso del TPP che ho portato ad esempio l’acquisizione da parte di Bancomat, il maggior circuito bancario nazionale di pagamento, realizzerà una sinergia importante per l’offerta di servizi a valore a imprese e consumatori individuali.
A sostegno di questa osservazione, faccio al contrario presente che FlowPay continua ad essere l’unico TPP connesso alla rete di PagoPa, la maggiore infrastruttura italiana dei pagamenti verso la Pubblica amministrazione, per la diffusione di servizi account to account.
Mi auguro che l’evento organizzato da Fintech Italia sia il primo di una serie, per rappresentare con determinazione le istanze a favore della diffusione del Fintech, affinché il paese possa recuperare la posizione del tutto secondaria ora occupata, contribuendo ad offrire all’impresa soluzioni volte al suo ammodernamento digitale.