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Il pensiero di Einaudi su crisi bancarie e vigilanza. L’errore da evitare

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Dalla fotogallery dell’evento sul sito web della Banca d’Italia

Tempo di lettura: tre minuti. Test di leggibilità ***

Ieri vi è stata in Banca d’Italia la presentazione del primo volume dell’Edizione Nazionale degli scritti di Luigi Einaudi alla presenza del Capo dello Stato e del Capo del Governo. Officiava il Governatore Ignazio Visco. L’occasione per lui è stata proficua per chiarire quello che sta accadendo in Italia con le banche. Proviamo a seguire il suo ragionamento. Abbiamo scelto tre punti che vi proponiamo. Il primo chi è stato Einaudi. Il secondo che cosa pensava della vigilanza bancaria e della necessità di dare soldi alle banche (terzo punto).

Chi era Einaudi

In questa sede non è certo necessario sottolineare l’importanza di Luigi Einaudi nell’analisi economica e nell’esame dei maggiori snodi della politica economica italiana nella prima metà del Novecento, testimoniata dalle funzioni istituzionali da lui ricoperte: Governatore della Banca d’Italia, Ministro del Bilancio, Deputato dell’Assemblea Costituente, Presidente della Repubblica.

I dubbi sulla vigilanza di Einaudi

Einaudi considerava “con diffidenza estrema e con scetticismo profondo” anche la vigilanza delle banche da parte dello Stato, ritenendo elevato il rischio che essa potesse costituire l’anticamera di una assunzione pubblica di responsabilità nell’attività creditizia. Il rischio paventato da Einaudi è concreto, ma l’esperienza della Grande Depressione degli anni Trenta e dei fallimenti bancari che ne seguirono ha mostrato che la vigilanza bancaria è essenziale e che quel rischio va corso per sventarne altri ben più gravi. L’esperienza di quegli anni ha posto le basi per la costruzione dei sistemi di vigilanza degli intermediari creditizi nella loro accezione moderna.

Le certezze di oggi sulla vigilanza

La vigilanza bancaria riduce la probabilità che si verifichino episodi di dissesto, ma non può annullarla. Per questo sono necessari anche strumenti adeguati e procedure ben definite che, nel nuovo contesto regolamentare europeo, consentano di intervenire in modo rapido ed efficace nelle situazioni di crisi, limitandone le conseguenze sul tessuto economico.

Il dare, dare, dare

Tuttavia, egli stesso ricordava, in un articolo del 1921, che per una banca in crisi di liquidità ma ancora solvibile, “tutti i pratici e tutti i teorici sono concordi nel canone: dare, dare, dare. Dare subito, dare senza esitazione, dare largamente e in modo da persuadere il pubblico che la banca presa di mira ha le spalle sicure”. Solo così, proseguiva Einaudi, “si impedisce che il panico si allarghi come una macchia d’olio e distrugga tutto, istituti buoni e cattivi, e perfino il credito pubblico”.

Cosa possiamo capire da queste considerazioni? Serve o non serve la vigilanza?

E’ una domanda che oggi non ha più significato, dopo i tanti fallimenti di banche che ci sono stati. Semplicemente è anacronistico porsi la domanda, se cambiamo punto di vista.

Accanto ai metodi e alle prassi di vigilanza, oggi vi è il riconoscimento di qualcosa che prima non esisteva. La tutela del consumatore, che è l’unica guida che davvero interessa a chi ha un pò di risparmio da salvaguardare. Essa si è sviluppata soprattutto negli ultimi 20 anni ed ignorarla è un errore prospettico da non compiere. Per fortuna, i tempi cambiano e il passato a volte ci offre una visione datata e superata.

Al risparmiatore oggi interessa solo sentirsi al sicuro in banca. Esigenza legittima e difficilissima da realizzare. E comunque non può essere assicurata dalla sola vigilanza. Da questo punto di vista, la tutela del consumatore merita di essere conosciuta e analizzata in profondità. E’ difficile che possa avvenire ad opera di una banca centrale che ha anche altri obiettivi. Per questa ragione c’e molto bisogno di informare, comunicare, insomma parlarne. Non c’è più necessità di ricevere lezioni accademiche dopo quello che è accaduto. Rischieremmo di essere cattivi maestri. Perché mancherebbe sempre la risposta alla domanda più irrinunciabile. Perché non ha funzionato la prevenzione? Molte situazioni erano sotto gli occhi di tutti. Non erano un mistero glorioso. E ovviamente non può soddisfare il sofisma del che cosa di peggio sarebbe accaduto se non ci fossero stati i controlli di vigilanza.

Infine, una chiosa al pensiero di Einaudi sul tema. Meglio non farla la vigilanza – pensava – perchè può ingenerare un affidavit pubblico a una banca. Interessante, perchè introduce nella discussione la questione del Moral Hazard. Pensare che le banche siano solide perchè qualcuno vigila su di esse è estremamente rischioso. I risparmiatori sono portati a fidarsi, salvo poi ricredersi in caso di crisi. Quando questo accade, si scopre che il Moral Hazard all’interno del sistema è stato altissimo, come pure l’affanno per correre ai rimedi. E torniamo allo stesso problema di prima. Perché del rischio che andava accumulandosi prima e durante i lunghi anni della crisi non ci si è accorti, proponendo in tempo interventi per attenuare i danni?  Nemmeno questo appartiene alla Vigilanza?

D’altro canto la funzione è stata separata dalla risoluzione delle crisi affidata ora alla apposita unità in seno all’Unione. È il compimento della riflessione sui tanti conflitti di interesse interni alla Vigilanza.

Questo Einaudi non lo dice. Ma neanche le spiegazioni, invero poco convincenti, che si cerca di dare a posteriori.

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