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Fintech dei pagamenti: è il rimedio giusto ai nostri ritardi?

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Milano, Fintech District
Tempo di lettura: tre minuti. Test di leggibilità **.
L’Europa dei pagamenti ci chiama.

Il principale campo di applicazione del Fintech è quello dei pagamenti. È importante che anche in Italia si sviluppino soluzioni d’ordine tecnologico, per utilizzare a pieno le novità introdotte con la Seconda Direttiva Europea sui servizi di pagamento.

Si è in presenza di una crescente vivacità nell’offerta da parte sia di operatori già affermati sia di start up per facilitare le transazioni. È ampio terreno per dibattiti ed il Fintech District di Milano è una concreta realtà.

I cambiamenti introdotti dalla PSD2 consistono nella condivisione delle informazioni sulla clientela e nella inizializzazione dei pagamenti. Sono diretti ad aumentare competitività ed efficienza a vantaggio del consumatore finale, anche attraverso la nascita di nuovi intermediari specializzati.

Ovviamente queste innovazioni regolamentari trovano i sistemi nazionali in condizioni fortemente differenziate. Il mercato dei pagamenti italiano soffre di situazioni che lo svantaggiano.

È  arretrato, per il peso soverchiante del contante rispetto ai pagamenti elettronici, come ogni anno ci ricordano impietosamente le statistiche della BCE.

È disperso tra operatori anche di piccola dimensione, cosa che non consente lo sfruttamento di economie di scala, essenziali nell’industria dei pagamenti. La sfida lanciata dall’Europa è per noi doppia.

Strategie cercansi

E’ difficile inoltre intravvedere strategie dirette a una maggiore penetrazione del mercato da parte delle nostre banche che sono gli operatori di maggior peso. Esse sembrano impegnate a sfruttare rendite di posizione piuttosto che a sviluppare nuove iniziative di business. Ne sono significativi esempi:

a) la mancata proposta del conto di pagamento, strumento sul quale è centrata una specifica Direttiva europea (Payment Accounts Directive, 2014), che ne prescrive l’offerta in versione di base,

b) il disinteresse per masse di operazioni omogenee, quali le rimesse degli emigranti, che totalizzano circa 10 mld di euro annui (e assicurano lucrose commissioni). Esse sono prerogativa di Poste Italiane e dei micro operatori degli Internet point e simili, che si servono di reti internazionali,

c) l’assenza di politiche di inclusione finanziaria verso le parti economicamente più deboli della popolazione (migranti, cittadini a basso reddito o espulsi dai circuiti bancari per effetto della crisi economica), con offerta di servizi a basso costo e a basso rischio.

Ne consegue che i costi dei servizi di pagamento si mantengono alti, non potendo spalmarsi su adeguati volumi di transazioni.

Questi costi sono in particolare di tre ordini: i costi della regulation (per il rispetto di normative europee su trasparenza, privacy, antiriciclaggio), i costi di alcune peculiarità nazionali (come l’OAM, organismo per il controllo delle reti di agenti e mediatori) e i costi della innovazione (per investimenti in tecnologia).

Un circolo vizioso da spezzare

Tali maggiori costi sono un freno alla crescita e la scarsa crescita delle operazioni diverse dal contante rispetto ai nostri concorrenti è causa del mantenimento di alti costi per il consumatore.

Rompere questo circolo vizioso è la vera sfida che attende il paese nel suo percorso di digitalizzazione dei pagamenti.

Il sistema pubblico, attraverso politiche di incentivazione e eliminazione di distorsioni anche fiscali e l’inserimento dei propri servizi di erogazione e di esazione nel circuito dei pagamenti digitalizzati, può segnare la differenza rispetto al passato.

Dobbiamo vedere un’opportunità anche nella nascita di nuovi Imel (Istituti di moneta elettronica) di origine non finanziaria, operanti nelle utilities e nel welfare. Essi possono differenziare l’offerta, trasferendo sui pagamenti le economie di scala generate dalle loro attività principali.

Segnali di crescente interesse verso il nostro mercato provengono da operatori esteri dell’e-commerce e da banche che operano sul web.

Altro punto sul quale far leva è il decollo di piattaforme di sistema, come è da ultimo TIPS promossa dalle banche centrali. Il Target Instant Payments Settlement è stato creato per i pagamenti inferiori a 15.000 euro cadauno, in grado di chiudersi in dieci secondi, a costi di due millesimi di euro ciascuno. Scarsa è stata finora la propaganda fatta a questa nuova infrastruttura, entrata in funzione a novembre scorso e contenuto ne è finora l’utilizzo.

È da augurarsi che questi positivi segnali abbiamo tempi veloci di affermazione. In caso contrario vi è il rischio di un Fintech come fattore di costo piuttosto che come effettivo supporto per lo sviluppo di pagamenti sempre più evoluti.

Un’offerta di implementazioni tecnologiche di grande varietà come quella alla quale stiamo assistendo, per quanto avvincente, sembra talvolta inseguire mode e sollecitare bisogni non sempre avvertiti da parte della massa degli utenti.

Se il Fintech dei pagamenti si affermasse definitivamente in questi termini, eserciterebbe di per sè un’azione poco efficace per dare soluzione ai nostri ritardi. È necessario continuare ad analizzare a fondo le modalità del suo manifestarsi, prima di proclamarne entusiasticamente le magnifiche sorti e progressive.

 

 

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