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La Frizione

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Tempo di lettura: tre minuti. Leggibilità ***.

Mio figlio è stato promosso e l’anno prossimo frequenterà il terzo anno del Liceo Scientifico.

Un bel risultato un anno vissuto molto pericolosamente e tra tante vicissitudini dolorose. Una bella pagella.

E’ chiaro che, visto l’impegno, l’attenzione dimostrata ci vuole un bel regalo di promozione.

Avevo pensato a jeans e magliette, dei soldi, ma Francesco ha scelto un treno di gomme nuove per la sua motocicletta, un Beta RR 50 enduro, ruote tacchettate Pirelli.

Va bene, mi piace questa idea così ci rechiamo dal venditore, Francesco con la sua moto ed io con la mia. Lasciamo la sua moto e inforchiamo la mia.

Dopo qualche kilometro in prossimità di una rotonda lungo la circonvallazione di Palermo si sgancia all’improvviso il filo della frizione della mia Suzuki 750 Inazuma, 280kg di pure Motorcycle Concept. La moto con cui ho seguito il quarto viaggio di S. Paolo, da Brindisi fino a Damasco, passando per le “Meteore”, Salonicco, Troia, Efeso, Tarsu e così via.

Realizzo subito che vicino c’è il concessionario Suzuki; spingiamo in 2, saranno 500 m. Alla fine di una discesa lunghissima, per sfortuna pensando che se non fossero stati in grado di ripararla avremmo dovuto spingere Marta (si chiama così, dopo averla battezzata al Santuario di Tagliavia, nel mezzo della campagna infuocata di un’estate corleonese) tutta in una salita infinita. E così fu.

La deve lasciare, bisogna fare un preventivo, vedere se poi ci sono i pezzi al deposito di Milano e in quanti giorni arrivano … poi sa, c’è di mezzo l’estate … riaggiorniamoci a domani, intanto lasci la motocicletta qui, domani smontiamo il carter e decidiamo sul da farsi.

No. Non si fa così ad un motociclista.

Pure Motorcycle Concept implica una risoluzione immediata e che per iniziare mi tolga dalla strada.

Poi, al meccanico la si lascia per le riparazioni serie.

Non so se avete letto Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta di Robert Pirsig.

Un libro, una storia on the road, un padre ed un figlio adolescente che attraversano l’America, tra discorsi, filosofia seria che parte da riflessioni sulla natura, da un merlo da una piccola rottura di una BMW, un bullone da serrare: viaggiare è un’occasione per sgombrare i canali della coscienza, «ormai ostruiti dalle macerie di pensieri divenuti stantii… qual è la differenza fra chi viaggia in motocicletta sapendo come la moto funziona e chi non lo sa? In che misura ci si deve occupare della manutenzione della propria motocicletta?». Mentre guarda smaglianti prati blu di fiori di lino, gli si formula già una risposta: «Il Buddha, il Divino, dimora nel circuito di un calcolatore o negli ingranaggi del cambio di una moto con lo stesso agio che in cima a una montagna o nei petali di un fiore».

Il destino è segnato e spingo la moto in quella salita infinita. La fortuna però protegge gli sciocchi, i bambini e gli ingenui, lo sappiamo tutti.

Uno stradone in discesa è il primo segno. Poi d’un tratto una traversina mai notata prima – eppure sarò passato da lì centinaia di volte – e una insegna: “Officina Meccanica Fuori Giri”. Spingo Marta fin lì.

Ad attendermi sulla soglia una Honda 1000 Goldwing del 1977, una Honda 500 Four del 1972 ed un Moto Guzzi 1000SP del 1978. Decisamente motociclette più anziane della mia che ha solo 20 anni, ma praticamente nuove come uscite dalla fabbrica ieri.

Sono le mie dice il ragazzo che ci viene incontro.

La frizione, dico io.

Ma nemmeno il tempo di spiegare cosa è accaduto che già il meccanico ha svitato i 6 bulloni che tengono il carter e la leva del cambio.

No, non è la frizione, ma lo snodo che si aggancia alla testa del cavo con la sua contromolla.

Devo lasciarla, vero? Si devono forse ordinare i pezzi?

Mmmh… no, risolvo subito.

Prende dalla tasca un calibro, misura lo spessore del lamierino e prende delle misure che annota su un foglietto che tiene in tasca. Si dirige poi verso un banco di lavoro e da un cassetto tira fuori un rettangolo metallico. Ne misura lo spessore, saggia la durezza poi comincia a disegnare cerchi, punti, linee e in un paio di minuti quel foglietto metallico, stretto da una morsa, tagliato da un frex, levigato e sagomato, forato e rifinito è diventato il mio pezzo mancante. Così la molla spezzata. In tutto avrà impiegato quindici minuti.

Mentre gli do i trenta euro richiesti, “non si romperà più” mi dice.

L’ho richiamato nel pomeriggio per un aperitivo. Ha accettato. Si chiama Alessandro.

“Vuoi farti un giro in moto con me adesso?”.

 

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