Nelle rappresentazioni delle scelte istituzionali, ci sono decisioni che, pur legittime, lasciano un retrogusto amaro.
La presentazione del bilancio 2024 della Banca d’Italia rientra perfettamente in questa categoria.
Come già accaduto nel 2023, l’Istituto chiude l’anno con una perdita operativa lorda significativa – 7,3 miliardi di euro maggiore, seppur di poco, a quella dell’anno precedente –, riuscendo tuttavia a riportare un utile netto di 844 milioni. L’utile di bilancio è stato possibile grazie all’utilizzo di fondi rischi accantonati negli anni passati e a riprese fiscali. Cioè è frutto dell’attingimento a mezzi patrimoniali.
Nulla da eccepire sul piano formale: la presenza di fondi in grado di assorbire gli shock riflette una gestione ispirata, in passato, a lungimiranza e prudenza.
Tuttavia, la decisione di distribuire 340 milioni di euro di dividendi agli enti partecipanti – tra cui numerose banche (https://www.bancaditalia.it) – riaccende una domanda già sollevata dodici mesi fa (si veda “Banche centrali, banche commerciali e la ciliegina sulla torta” su questo sito): è davvero opportuno distribuire utili quando l’attività ordinaria genera perdite?
Il paradosso è evidente: le stesse banche che hanno già beneficiato dell’aumento dei tassi e della remunerazione delle riserve presso la Banca centrale, contribuendo cioè al risultato negativo di quest’ultima, incassano nuovamente dividendi.
Un corto circuito gestionale che solleva perplessità e interrogativi specie sotto il profilo etico?
Emblematica, in questo senso, è la scelta di distribuire ai partecipanti l’intero importo: 200 milioni provenienti dall’utile contabile realizzato come detto sopra e 140 milioni attinti da una “posta speciale di stabilizzazione”, ora completamente esaurita, per raggiungere l’ammontare in linea con quello degli esercizi passati. Una mossa formalmente ineccepibile, di sicuro, ma che rappresenta una forzatura evidente, dettata dal desiderio di non interrompere un rito istituzionale.
Eppure, lo stesso Governatore nella Relazione ha chiarito che in base alla politica di distribuzione “valori inferiori sono possibili in presenza di andamenti particolarmente negativi della redditività”, come quelli registrati proprio per due anni consecutivi. Sull’andamento per il 2025 si prospetta un ritorno all’utile.
In altre parole, una riduzione – se non una sospensione – del dividendo era non solo possibile, ma forse doverosa.
Si potrebbe obiettare che l’interruzione del dividendo da parte di una Banca centrale potrebbe essere percepita come segnale di incertezza o difficoltà, con effetti reputazionali negativi.
Ma nel contesto attuale, una sospensione ben spiegata e motivata avrebbe probabilmente rafforzato l’immagine dell’Istituto, dimostrando coerenza con la sua missione: non la redditività, ma la tutela della stabilità finanziaria e della fiducia nel sistema, come conferma nella Relazione lo stesso Governatore. Ora che tra l’altro il sistema, avendo conseguito profitti record, non aveva bisogno di aggiunte.
Rinunciare temporaneamente al dividendo, a fronte di una perdita operativa così rilevante, avrebbe trasmesso un messaggio forte di sobrietà e adesione ai principi di prudenza che storicamente hanno sempre guidato l’azione dell’Autorità monetaria e di Vigilanza.
Invece, si è fatta una scelta che – pur pienamente conforme allo statuto – appare più attenta a soddisfare aspettative consolidate che a rafforzare la coerenza economica e istituzionale.
Così si alimenta un paradosso che ormai si ripete: la Banca centrale che perde distribuisce comunque; le banche che guadagnano incassano ancora.
E allora, la vera questione non è se tutto questo sia permesso, essendo anche invocato il beneficio della quota spettante allo Stato.
È se sia giusto, sapendo che l’autorevolezza dipende anche da questo valore.
E infine: la BCE e le altre Banche Centrali Nazionali hanno adottato la stessa politica? Forse sarebbe stato bene precisarlo. Anche per spiegare meglio ai non addetti il senso della decisione assunta. Anche questo dopo tutto è Educazione Finanziaria.
Tanto per sopire dubbi e domande che in realtà non sono stati esplicitati da nessun organo di informazione, per quel che mi risulta. Riporto qui sotto la dichiarazione della BCE sui risultati di esercizio. Forse una interrogazione parlamentare a chiedere spiegazioni al Ministro dell’Economia e delle Finanze non ci starebbe male sul perché in Bankitalia hanno seguito una strada diversa, per il secondo anno di seguito. Quel che fa male è l’iperbole (per contrasto) del Governatore Panetta:
“Negli ultimi cinque anni, l’importo cumulato effettivamente attribuito
ai Partecipanti risulta pari a 1.633 milioni, mentre la somma destinata allo
Stato sotto forma di utili ammonta a 14.406 milioni, cui si aggiungono 3.361
milioni versati a titolo di imposte correnti, ai fini Ires e IRAP.”
Come a dire abbiamo dato tutti sti’ sordi allo Stato (ma sono davvero tanti in ben 5 anni ?), abbiamo pure pagato le tasse e quindi possiamo proseguire a fare del bene agli azionisti.
L’impressione personale, forse pure sbagliata, è che in Italia siamo noi a mantenere le banche e non viceversa. Strano modo di intendere l’intermediazione finanziaria nel nostro terribile mondo alla rovescia.
Il bilancio 2023 della Banca centrale europea (BCE), sottoposto a revisione, mostra una perdita di 1.266 milioni di euro (zero nel 2022), che sarà portata a nuovo nello stato patrimoniale della BCE e coperta con gli utili futuri. Questo risultato tiene conto dell’intero utilizzo del fondo rischi finanziari, pari a 6.620 milioni di euro, a parziale copertura delle perdite dell’esercizio. Non avrà luogo alcuna distribuzione di utili alle banche centrali nazionali (BCN) dei paesi dell’area dell’euro per il 2023.