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Un napoletano a Parigi Gennaro Villani (1885-1948)

Tempo di lettura: tre minuti. Leggibilità: ***.

Francia&Italia.

I recenti contrasti con la Francia hanno riportato alla mente tutti i controversi rapporti con il nostro maggiore vicino, da due secoli a questa parte.

Dal trafugamento delle opere d’arte italiane da parte di Napoleone (primi Ottocento), alla istituzione sul nostro territorio di strutture di eccellenza come la Scuola Normale Superiore (1808), dall’aiuto alla formazione del nostro stato unitario (1859), all’affronto per l’acquisizione della Tunisia (1881), dall’alleanza ritrovata della prima guerra mondiale (1915), alla corresponsabilità francese per la vittoria ‘mutilata’ (1919), dalla guerra d’aggressione italiana del 1940, all’afflato del Trattato di Roma (1956), primo nucleo dell’Unione Europea voluta da Schuman e De Gasperi. Fino a giungere alla questione libica (2011) e ai più recenti schiamazzi su migranti, gilet gialli, TAV, mire di potentati economici d’oltralpe e antimacronismi vari.

In questi giorni si sono aggiunte le “onte” dell’acquisto da parte di Lactalis di una società di produzione del simbolo assoluto del Made in Italy, il Parmigiano-Reggiano, e il rifiuto dell’accordo Fca-Renault, appena avanzato.

Inoltre la Commissione europea sostiene che i nostri sforamenti dei parametri di Maastricht sono strutturali, mentre quelli dei francesi sono soltanto congiunturali.

Insomma di contrapposizioni ce ne sono quante se ne vuole. Amore e odio perpetuo tra cugini!

Un libretto di tanto tempo fa

Con curiosità mi sono dunque accinto a leggere un libretto degli Anni Quaranta dal titolo Sulla Francia di Emile Cioran (Libri Piccoli Voland, traduzione di G. Rotiroti, 2014, € 13, pagg. 110) scritto da un grande intellettuale europeo, protagonista di una storia di integrazione culturale al più alto livello.

Emil Cioran (1911-1995), emigrato dalla Romania in Francia, ne assorbì, quando era già adulto, la cultura e la lingua, con tanta profondità da essere in grado di scrivere, con raffinatezza e senza remore, del suo paese ospitante.

Così facendo si addentrò anche in inevitabili confronti storico-culturali con altri popoli europei: tedeschi, italiani, inglesi, russi. Ne uscì un quadro composito, divertente, intelligente, mai banale. Secondo la critica, un quadro per certi versi feroce, lucido e nel contempo pieno di ammirazione.

Riporto alcune frasi tra quelle che mi sono apparse più significative. Sono lapidari aforismi sulle grandiosità e sulle meschinità di una nazione.

La cultura della noia

”Non credo che avrei avuto a cuore i francesi se non si fossero tanto annoiati nel corso della loro storia…È la noia profonda della chiarezza. È la fatica delle cose comprese”.

“Il XVIII^ secolo è il secolo più francese. È il secolo che si è annoiato di più, che ha avuto troppo tempo, che ha lavorato solo per far passare il tempo…Non è ancora contaminato dall’idea del progresso: l’universo è una farsa dello spirito”.

”Cosa ha amato la Francia? Gli stili, i piaceri dell’intelligenza, i salotti, la ragione, le piccole perfezioni…Siamo di fronte a una cultura della forma, che ricopre le forze elementari e che, sopra ogni impulso passionale, stende la vernice elaborata della raffinatezza”.

”La vita é gioco. Dobbiamo essere riconoscenti alla Francia per averlo coltivato con maestria e ispirazione. La sua grande arte e la sua distinzione è la grazia della superficialità”.

Il Gusto e la realizzazione di se stessi

“La divinità della Francia: il Gusto. Il buon gusto”.

”Il gusto si colloca agli antipodi del senso metafisico, è la categoria del visibile”.

”La sua intelligenza non ammette nè il tragico, nè il sublime. Non è un caso che la Germania li abbia coltivati entrambi come categorie ai limiti della cultura e dell’anima”.

“Il gusto è bellezza soppesata, elevata a raffinatezza categoriale. I pericoli e le violenze del Bello appaiono al gusto come delle mostruosità…Se Dante fosse stato francese, avrebbe scritto solo il Purgatorio. Dove avrebbe trovato in sè la forza per l’Inferno e il Paradiso e abbastanza audacia per gli estremi sospiri?”

“L’ uomo medio è più realizzato in Francia che altrove. Il suo livello supera quello dell’inglese, del tedesco, dell’italiano”.

“La Francia è il paese più realizzato, che non ha mai perso un’occasione, che ha avuto un Medioevo, un Rinascimento, una Rivoluzione, un Impero. E una decadenza.”

Socievolezza, vitalità e decadenza

“Il peccato e il merito della Francia consistono nella sua socievolezza.”

“Un popolo ha vitalità finché accumula forze pericolose per sé e per gli altri. Ma quando squilibrio e rivolta cominciano a neutralizzarsi…la sua tensione non oltrepassa la soglia del tempo.”

“Il fenomeno della decadenza è la conclusione definitiva della maturazione storica.”

“Avere coscienza del momento storico della decadenza non è una gran cosa; ma è estremamente difficile trarne le conseguenze, accettare la verità che ci è imposta dall’evidenza.”

“Le decadenze sono tranquille, galoppanti o verticali.”

“Un paese è grande non tanto per l’innalzamento del livello di orgoglio dei propri cittadini, ma per l’entusiasmo che ispira agli stranieri, per la febbre che trasforma in satelliti dinamici coloro che sono nati sotto altri cieli.”

Conclusione

Servirebbe un Cioran italiano che compisse la stessa emblematica e realistica operazione sul nostro Paese? E non fosse commedia dell’arte, trionfo di qualunquismi, di vittimismi e, tanto meno, di bolsi sovranismi.

Potrebbe farci riflettere un po’ di più su noi stessi, sui nostri sbandamenti, sulle nostre irrequietezze, sui nostri squilibri, sulla nostre endemiche contraddizioni? Per capire soprattutto se siamo davvero sull’orlo del burrone dal quale quelli di turno dicono che sapranno sicuramente allontanarci e quelli che aspettano il loro turno dicono che nel baratro siamo già precipitati.

Tra i tanti migranti, uno di valore culturale dovrà pur esserci per dirci finalmente chi siamo. Perché è un fatto che delle spiegazioni dei nostri soloni, scompostamente urlate o banalmente esposte, abbiamo piene le tasche.

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