Home Art Gallery Se queste pietre potessero parlare…

Se queste pietre potessero parlare…

1579
0

Inizia oggi la collaborazione con Economia&FinanzaVerde Nino Pillitteri, matematico, scrittore, fotografo (vedi di più su Chi siamo), raccontando una divertente vicenda personale di alcuni anni fa. Buona lettura!

Tempo di lettura: quattro minuti. Leggibilità ***.

Un pomeriggio di maggio del 1996 ricevo una telefonata da un amico scenografo, Nino Quartana, che assieme ad un altro amico e docente di Lettere con una seconda laurea in Scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Palermo, Peppe Puntarello, mi invitano a dare una mano per l’allestimento di una mostra fotografica allo Spasimo.

La chiesa dello Spasimo o SantaMaria allo Spasimo si trova nel quartiere della Kalsa, una delle parti più antiche di Palermo. L’edificio è degli inizi del 1500.

La navata centrale è a cielo aperto, ma l’abside, raccolta e al coperto, offre una grande acustica che si presta benissimo anche ai concerti Jazz o di musica classica.

<<Ci devi aiutare a montare una mostra di fotografia … >> .

<<Ma quando?>> chiedo io.

<<Ieri>> la risposta sarcastica di Nino.

Arrivato in moto in pochi minuti trovo gli amici in compagnia di un americano; capelli bianchi lunghi, abbigliamento casual, polacchini marron e jeans, una giacca di tweed, un foulard.

Mi chiedo subito se il tipo lo conosco, mi sembra di sì, certo l’ho già visto, il volto mi è familiare.

Il sole penetra di taglio nella struttura e noi ci ritroviamo nella parte in ombra.

Nino non è granchè in inglese e temporalmente siamo prima dei suoi otto anni di permanenza nelle Filippine, al seguito della moglie che insegnava inglese all’Università di Manila.

Sì, ma questo era prima. Peppe già al meglio riusciva a farsi capire e fare domande sull’allestimento. Io ero da poco tornato dall’Università di Lund, in Svezia, e avevo alle spalle 11 anni di lingua inglese.

Insomma ero l’interprete, oltre che addetto al facchinaggio, al ritaglio ed incollaggio.

Mentre lo guardo e mi ripeto: <<ma io questo l’ho visto da qualche parte>> …

<<E’ Richard Gere!>>, mi dice subito Peppe.

<<Ma certo>> rispondo io, Pretty woman, American Gigolò.

Richard Gere era stato accolto quella mattina dal Sindaco Leoluca Orlando. Era al suo secondo mandato e riceveva nella sua prima visita, oltre che Richard Gere, che esponeva una mostra fotografica al complesso dello Spasimo su tema del Tibet, anche sua Santità il quattordicesimo Dalai Lama Tenzin Gyatso.

Quindi c’erano da allocare una trentina di immagini in quel sito suggestivo, da appendere su improvvisati cavalletti, nobilitati dalla cornice della struttura di grande suggestione anche loro.

In verità il lavoro non era particolarmente impegnativo e calcolavamo di terminare entro le fatidiche “sedicizerozero”.

Nessuno di noi chiese all’attore nulla, né di Hollywood, né delle attrici .

Gli sguardi in poco tempo diventarono complici: metti un chiodo li, passami del nastro adesivo. Richard si dava da fare alla pari, come noi; ogni tanto chiedeva un parere a Nino Quartana sulla disposizione delle tavole: <<Questa prima o dopo?>>

Vestiva dimesso, si muoveva sciolto. Era molto naturale, accogliente, ma come fai a non esserlo ponendoti a lavorare “gomito a gomito” con noi?

Sì, certo io ho anche lavorato con grandi artisti che si limitavano però a dirigere, rimbrottare, lamentarsi e sgridare. Richard Gere, no. Si girava verso noi, sorrideva, era sereno e la sua pacatezza contagiava tutti. Insomma, noi quattro riuscimmo a finire anche prima del tempo previsto.

Saranno state le quattordici e trenta e lo stomaco si faceva sentire. La bottiglia d’acqua era stata incautamente lasciata in un punto, subito raggiunto da un raggio di sole, che, come per dispetto, l’aveva surriscaldata e resa imbevibile. Il guardiano del sito aveva da tempo chiuso il portone.

<<Do we go to a restaurant?>> disse Richard con una voce calda e leggermente roca, calda come a farci capire che avrebbe offerto lui.

Sia a me che a Nino la cosa non piacque e si propose subito la classica, per noi, “mafalda” con la mortadella o “mortazza” come dicono a Roma.

Ora non ricordo bene chi andò, ma dopo poco tempo un sacchetto di plastica con tutto l’occorrente da picnic da muratori fu già lì.

Richard si sedette lì, su quella pietra, mentre con Peppe e Nino si farcivano le mafalde con la mortadella e almeno il succo di un limone intero spremuto a panino. Peppe stappò 2 Forst “attorronate” che dividemmo in anonimi bicchieri di plastica.

A primo morso fummo curiosi della reazione di Richard Gere che in effetti sgranò gli occhi e accompagnò con un mugugno fortemente sonoro: <<Mmmmmh>>.

Qualcuno accese poi una sigaretta e, appoggiati con la schiena alle fresche colonne, distendemmo le gambe, per riposarci in quel caldo pomeriggio.

Erano quasi le fatidiche “sedicizerozero”, quando Richard si alzò e pronunciò: <<Now it’s the time to be Richard Gere>>.

Si ravvivò in un rapido gesto i capelli, diede un paio di colpetti ai jeans per scrollarsi quel po’ di polvere, si aggiustò il foulard e si diresse verso il portone dall’atrio interno con fontana, per attendere l’apertura del portone d’ingresso al pubblico.

L’arrivo dell’onda d’urto di un migliaio di donne fu un turbinio e in un blitz lo circondarono. Qualcuna delle fans si aggrappò alla giacca, qualcun’altra tentò di strappargli il foulard.

Ci rimasi male, veramente male, per lui.

<<Amunì>>, disse Nino Quartana.

Girando “muro muro”, dall’esterno del cortile, Richard si girò verso noi come a salutarci, ma con uno sguardo che non era quello di un attore, di uno che recita una parte. Uno sguardo che voleva forse dirci: <<ragazzi, tutto ciò fa parte dell’essere Richard Gere>>.

Proprio in questi giorni, con altri amici, abbiamo allestito ancora una volta una mostra , Un Eden di immagini per “Il Giardino allo Spasimo”: una mostra collettiva a cura di Dario Guarneri con opere degli amici Emanuela Albiolo, Rosario Barone, Gregorio Bertolini, Salvo Cacicia, Pietro Calabrese, Giulia Capasso, Salvatore Clemente, Pippo Consoli, Alberto Criscione, Angela Di Blasi, Giuliana Di Piazza, Eugenia Lo Presti, Vincenzo Montalbano, Gianni Nastasi, Angela Raffiti, Antonio Sambataro, Rosalia Siciliano, Pippo Trecarichi, dello stesso Dario Guarneri e mie.

Ora sì, sono dall’altra parte, ma ritrovandomi in quello stesso scenario, la visione di quel Richard Gere uomo, che ho avuto la fortuna di conoscere, mi è rimasta dentro.

Per sciogliere questo mio ricordo, quasi quasi, come ad esorcizzarlo, mi sa che mi faccio una “mafaldina” con mortadella. Devo però assicurarmi un succoso limone. Volete favorire?

———

Le foto che seguono, esposte nella mostra allestita nel maggio 1996 nella Chiesa di Santa Maria allo Spasimo di Palermo, rappresentano momenti della vita dei monaci tibetani. Sono scatti realizzati nel corso delle sue permanenze in Tibet da Richard Gere. In quella stessa circostanza il Sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, consegnò al Dalai Lama Tenzin Gyatso, leader spirituale del Tibet, la cittadinanza onoraria.

 

Previous articleEnergie alternative è paralisi globale: ecco le vere ragioni
Next articleI contenuti interattivi sono il futuro dei media?

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here