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Dottor Panetta, sul Sud non ci ha convinti!

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Vi è un gran ritorno di fiamma della questione meridionale da quando e’ stato formato il nuovo governo. In occasione della inaugurazione di Valoridicarta spa di Foggia, societa’ partecipata dallo Stato e da Bankitalia, vi e’ stata una approfondita relazione del Direttore Generale di quest’ultima sui ritardi del Meridione. Analisi molto documentata e ricca di tabelle e figure che e’ stata intitolata da vari commentatori alla rinascita di una nuova stagione del meridionalismo. Con il supporto anche del premier Conte che ha dichiarato che a Foggia finalmente si assume. Tale approccio si inserisce anche nella questione dell’autonomia differenziata richiesta da alcune Regioni del Nord, che va un po’avanti e un po’ indietro. Le oscillazioni dipendono da chi è al governo.

Il quadro che emerge del Meridione e’ un po’ scontato, se messo cosi’. E’ la parte piu’ debole del paese e quindi se l’Italia soffre, il Sud soffre due volte. I ritardi sono strutturali e riguardano investimenti pubblici, mercato del lavoro, credito, turismo ecc.

Vorrei sofferrmarmi pero’ su due punti che trovo interessanti perché forse vanno in direzione opposta rispetto a ciò che il relatore vorrebbe dimostrare. Le intenzioni sono nobili quanto si vuole, ma rischiano di alimentare il peggiore meridionalismo, nella forma di un continuo assistenzialismo, che credevamo ormai sepolto sotto il maglio della storia.

I due grafici tratti dalla relazione del dr. Panetta raccontano pressoché l’intera storia dal dopoguerra ad oggi. L’andamento del PIL al Sud in rapporto a quello del Centro Nord è impressionante. Dagli anni ‘50 in poi e in media, a parte alcune oscillazioni temporanee, è intorno al 60 per cento rispetto a quello del Centro Nord. Il Meridione viaggia nel mondo dell’economia con il freno a mano tirato,a metà o quasi della velocità delle Regioni Settentrionali.

L’altro grafico ci dà conto degli investimenti pubblici per capite nelle due aree. Il periodo di riferimento è a partire dal 2000 ma le dinamiche sono comunque illuminanti. E’ realistico pensare che gli investimenti pubblici siano stati sensibilmente più bassi anche del 20/30 per cento del Centro Nord per gli anni dal 2000 al 2010. Poi, negli anni successivi, convergono su valori ridotti in tutte le aree a raffronto.

Estrapolando questi dati con qualche approssimazione, si può concludere che anche se gli investimenti pubblici fossero stati uguali tra Sud e Nord il contributo al PIL annualmente sarebbe stato al massimo del 4/5 per cento in più. Il divario prima segnalato in termini di PIL a malapena sarebbe salito intorno al 65 per cento, dal 60 che ci portiamo dietro dal dopoguerra.

A prescindere da altre importanti considerazioni, che farò nel prosieguo dell’articolo, il risultato sarebbe stato modesto. Non cambierebbe in modo sostanziale la poco invidiabile situazione di un terzo degli italiani che produce solo un quarto del PIL nazionale.

Oggi, inoltre, siamo in grado, a differenza del dopoguerra, di valutare la qualità della spesa pubblica sul territorio. Dati e analisi abbondano e quindi bisogna pur capire se i finanziamenti pubblici arrivano a destinazione o si perdono in mille rivoli improduttivi, a tacer d’altro.

A questo proposito soccorre l’ottima analisi di due economisti che abbiamo commentato poco tempo fa su questo sito.

Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche al Sud (e come evitarli) è il libro pamphlet di Antonio Accetturo e Guido De Blasio per i tipi di IBL Libri. Riapre la questione meridionale con la forza dei numeri e la passione civile degli autori.

I risultati fallimentari delle politiche meridionaliste degli ultimi 25 anni sono evidenti. Scarsa efficacia degli interventi di spesa, pubblica amministrazione poco attenta o peggio, infiltrazioni criminali sono i fattori che hanno determinato la dèbacle. Il Nord non è l’Eldorado, ma è un passo avanti o forse di più rispetto al Sud.

Nella prefazione al libro, Nicola Rossi non può essere più chiaro su cosa fare disvelando che il meridionalismo di facciata e di propaganda ha prodotto più danni che vantaggi.

Suggerisce “…di dissentire circa l’opportunità di ipotizzare una nuova stagione di politiche territoriali.

Da meridionale tendo a pensare che l’unico futuro possibile per le politiche territoriali–se si ha a cuore il Mezzogiorno–sia la loro eliminazione tout court almeno fino a quando, privata dell’acqua in cui vive e prospera, l’attuale politica locale unitamente alle rilevanti burocrazie locali e nazionali non si saranno estinte e con esse la sottocultura che hanno giorno dopo giorno contribuito a diffondere. Fra i tanti titoli di merito del volume di Accetturo e de Blasio questo va sottolineato fino alla nausea: diversamente da quanto spesso si vuol fare credere, l’evidenza empirica ci mostra che da una scelta di questo tipo i meridionali non avrebbero nulla da temere e nulla da perdere. Al contrario.”

Ragionare del Sud a prescindere da queste considerazioni, invocando la manna dal cielo vuol dire continuare senza tempo ad ingrassare i comitati d’affari e le organizzazioni criminali che stringono in una morsa mortale la società meridionale, e forse non solo quella. Vogliamo continuare a far questo?

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