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Tasse su contante e conti correnti non ci porteranno da nessuna parte

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Tempo di lettura: 5’. Leggibilità **.

Tante proposte, poche idee

Fa sempre bene a qualcuno avanzare iniziative di tassazione dei vari prodotti bancari. Il sistema bancario conserva nelle cassaforti il risparmio degli italiani e quindi, pronta cassa, è possibile prelevare qualcosa. Non si resta mai a mani vuote.

Pochi giorni fa abbiamo criticato lo studio della Confindustria che proponeva di tassare i prelievi da ATM o presso gli sportelli con una aliquota del 2 per cento. Oltre ai già numerosi balzelli si aggiungeva una vera e propria tassa sul contante. Non sappiamo se l’ipotesi sia stata scongiurata.

Per ora abbiamo salutato con piacere l’iniziativa organica presentata dall’APSP per incentivare le transazioni elettroniche senza tassare il contante, seguendo il modello del credito di imposta applicato con successo in Grecia.

In questa materia, siamo bravi a disfare di notte ciò che si è provato a fare di giorno, un pò come la tela di Penelope. E’ una conferma di quel che si diceva all’inizio. Bisognerebbe avere linee di intervento più chiare e durature, invece che pretendere di avere ognuno l’idea geniale per la soluzione di problemi complessi.

I dati ci condannano

Il 20 settembre sono stati resi noti dalla Banca d’Italia i risultati della consueta rilevazione annuale sul costo complessivo del conto corrente in Italia. Con sorpresa esso è aumentato di oltre 7 euro tra il 2018 e l’anno precedente. Con sorpresa, perché lo studio non lo spiega, ne’ risulta che vi sia stata una ripresa dell’inflazione, ne’ che sia aumentato il numero e/o migliorata la qualità dei servizi bancari a famiglie e imprese.

Nella prosa asciutta di chi guarda il mondo in modo asettico, leggiamo quanto segue:

Nel 2018 la spesa per la gestione di un conto corrente è cresciuta di 7,5 euro rispetto all’anno precedente, attestandosi a 86,9 euro: si tratta di una netta accelerazione rispetto al precedente biennio, durante il quale era complessivamente cresciuta di 2,9 euro. Variazioni di ampiezza analoga, ma di segno opposto, si sono verificate nel 2015 (5,8 euro) e nel 2013 (6,9 euro). Anche per i conti correnti postali la spesa di gestione è sensibilmente aumentata (4,9 euro oggi, 2,1 nel 2017); per i conti bancari on line essa è rimasta sostanzialmente invariata e pari a 15,5 euro annui.

Le spese sono aumentate principalmente per effetto dell’incremento dei canoni di base e dei canoni delle carte di debito. Ha contribuito in modo significativo anche la crescita congiunta del numero di operazioni e delle corrispondenti commissioni applicate sui pagamenti automatici, sulle spese di scritturazione e sui bonifici on line (questi ultimi sono rimasti comunque su livelli significativamente più bassi dei bonifici effettuati presso gli sportelli).

Va pure segnalato che ogni anno su questi numeri si addensano le inevitabili critiche delle associazioni dei consumatori in quanto sostengono che il costo dei conti è molto più alto di quanto riportato dalla rilevazione e anche i commercianti, tramite le proprie organizzazioni di categoria, lamentano il livello delle commissioni sui pagamenti a mezzo Pos.

Evitiamo di entrare nella diatriba. Ci limitiamo ad evidenziare due aspetti. 7,5 euro in più sono da moltiplicare per i 40/50 milioni di conti correnti per capire la portata davvero immoderata della manovra sistemica posta in essere dalle banche in un solo anno. Si tratta di una cifra che oscilla tra i 300 e i 380 milioni, che sono andati ad aumentare i ricavi del sistema.

La seconda osservazione la ricaviamo dal grafico a fianco, dal quale si evince che periodicamente si assiste a questi prelievi, del tutto ingiustificati. In modo apparentemente inspiegabile, in 8 anni tra il 2011 e il 2018, si registrano 4 riduzioni e 4 aumenti. Tale dinamica fa sì che un conto corrente nel 2018 costa quanto costava nel 2010, senza che si avvertano gli effetti dell’automazione (home banking, Sepa etc.). Appena si registra una riduzione, l’anno dopo viene compensata da un aumento. Sembrano prezzi erratici, eppure si applicano al prodotto più importante che le banche offrono a famiglie e imprese. La tendenza è notevole: da 77 euro del 2015 la spesa aumenta sempre ogni anno fino a 87 euro dell’ultimo: + 13%.

Fine di un monopolio 

Le autorità preposte alla tutela del risparmio che ne pensano? Pensano che i movimenti dei prezzi siano effetti del sano giuoco della concorrenza o di una disperata ricerca di fonti di ricavo dell’intero sistema?

La conclusione è che gli oneri sui conti, in specie gli aumenti annuali, si configurano come una vera tassa. Impossibile sottrarvisi a meno di non ricorrere ai conti di pagamento che costano quasi nulla e per tal motivo nessuno ne parla. Erano previsti fin dalla prima direttiva europei sui pagamenti (PSD1) del 2010 e l’obbligo della loro offerta da parte delle banche è stato inserito nella Direttiva sui Conti di Pagamento (PAD) del 2014. Come abbiamo più volte ricordato su questa piattaforma, il conto di pagamento è invece pressoché ignorato nell’offerta degli intermediari italiani e così lo sono i benefici sulle tasche dei cittadini.

Ora se è pur vero che le banche non guadagnano quasi nulla dalla intermediazione primaria, nonostante i tassi innaturalmente negativi della BCE e non fanno nuovo credito per non incorrere in eccessivi rischi, è anche vero che la catena del valore dei servizi bancari ha trovato negli ultimi anni nuove opportunità con margini di guadagno diversi dagli aumenti unilaterali di prezzo. Tali opportunità si riassumono nel fintech, che come noto riguarda il trattamento informatico di attività di prestito, di pagamento, assicurative, di gestione del risparmio, con nuove modalità di governo dei rapporti con la clientela.

Come reagire

Nei servizi di pagamento, esempi di queste innovazioni che appartengono tanto ai nuovi business quanto ai nuovi processi di banking sono state introdotte con la Seconda Direttiva europea sui Pagamenti (PSD2). Non ci risulta che nessuna grande banca italiana abbia finora declinato con chiarezza la propria strategia per fare da aggregatore di informazioni sui conti della clientela (AISP), né per reagire all’impatto delle piattaforme di inizializzazione dei pagamenti (PISP).

I nuovi scenari vedranno rapidamente il rafforzamento anche sul nostro mercato delle piattaforme del web.

Se le nostre banche vorranno tentare di resistere, dovranno rispondere aumentando la propria capacità di competere.

Ciò vuol dire essenzialmente tre cose a) investire in tecnologia con finalità strategiche, b) ricercare alleanze unendosi a operatori non bancari con ampie basi di clientela (le grandi utilities, gli operatori dell’intrattenimento, e così via), c) penetrare mercati dei servizi da sempre lasciati ad altri, come le rimesse degli emigranti (per volumi siamo ai primi posti al mondo), o quelli lasciati a se stessi, come il mercato della popolazione non bancarizzata (le stime parlano del 10/15%).

Gli stimoli allo studio del governo per sviluppare i pagamenti elettronici potranno essere l’incipit per politiche mai curate con la dovuta convinzione.

Soltanto compiendo scelte di rinnovamento di massa il sistema bancario potrà restare un’industria importante per i bisogni finanziari degli italiani.

Se invece interpreteremo il new banking soltanto come campo di azione di ogni piccola banca che si auto proclami innovativa o delle miriadi di start up, le cui invenzioni spesso ci ricordano lucciole e falene piuttosto che i pilastri di un nuovo assetto, non andremo da nessuna parte. Perché un conto sono le nicchie di mercato, un conto sono i cambiamenti del mercato.

Senza una decisa accelerazione nelle strategie di business degli intermediari creditizi maggiori nella direzione avanti indicata, rischiamo di rinunciare, in favore di più agguerriti concorrenti internazionali, a un’industria che ha nelle mani la maggiore risorsa del Paese: i nostri risparmi.

 

 

 

 

 

 

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1 COMMENT

  1. Come l’oracolo di Delfi, ieri il Governatore di Bankitalia ha enunciato le sue previsioni. Tristissime e disperate: cala tutto, produzione,investimenti, prezzi. I cittadini italiani non hanno speranze, non così le banche che in un solo anno hanno aumentato il costo dei conti correnti di ben 7,5 euro. Un vero Eldorado per chi amministra il nostro risparmio. Dobbiamo aiutarle perché,poverine, con i tassi negativi non guadagnano più niente. Ed allora quando hanno bisogno prelevano direttamente senza neanche chiedere più di tanto dal nostro conto.Di questo nessuno parla forse per ragioni di privacy.

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