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I Big Data che abbiamo e non usiamo

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Traccia del problema

Non sembri strano ma noi italiani siamo tra i più schedati e sorvegliati al mondo. Una quantità enorme e sconosciuta di banche dati, spesso in mano pubblica, si occupano di noi e delle nostre abitudini, ma molte volte rimangono inutilizzate proprio quando sarebbero utili per scovare evasori, riciclatori e creditori inadempienti. Alcuni esempi chiariranno meglio in che mondo surreale viviamo.

L’argomento del giorno su tutti i giornali è la riforma dell’IRPEF per apportare giovamento ai redditi medio bassi. Molti studiosi scommettono che, se si farà e sarà di una certa consistenza, sarà fatta con una manovra in deficit.

Ma non è questo il punto. Attualmente il sistema dei controlli delle dichiarazioni dei redditi può andare indietro fino a 5 anni obbligando il dichiarante  a conservare fatture, scontrini e carte varie per poi esibirle alla bisogna. Se nel frattempo non ha perso le carte. Eppure con l’introduzione della fattura elettronica, il fisco ormai ha tutte le informazioni su entrate ed uscite per ciascun contribuente. Nel giro di qualche giorno, dopo la fine dell’anno, dovrebbe essere in grado, lui per noi, di fare la nostra dichiarazione dei redditi, presentarcela per la liquidazione di eventuali saldi, a debito o a credito,  e così renderla definitiva.

Invece, viviamo con l’ansia di un possibile controllo da qui ad anni dopo che, in caso di banali errori, ci potrebbe costare caro, tra sanzioni ed interessi. Non è trascurabile il risparmio per le famiglie che si potrebbe ottenere da una dichiarazione elettronica precompilata con tutte le entrate ed uscite. Oltre a un pò di ansia si risparmierebbero gli onorari del CAF o del commercialista, in attesa di più consistenti benefici, rivenienti dalla auspicata riforma IRPEF. Ci auguriamo di andare al più presto verso l’integrazione digitale di tutte le informazioni fiscali.

Le banche dati nella finanza

Questo paradosso, i dati ci sono ma non esistono per usarli, raggiunge picchi inimmaginabili per chi ha la responsabilità dei controlli sugli intermediari bancari e finanziari. Ex post, cioè al verificarsi di una crisi nessuno si è accorto di nulla.

Eppure esistono banche dati enormi che vanno dalla Centrale Rischi, alla Centrale di Allarme Interbancaria su assegni e carte di pagamento, alla Centrale dei Bilanci delle imprese manifatturiere, all’Archivio unico informatico per la individuazione di operazioni sospette. Senza nulla dire per le informazioni ricavabili mediante accessi ispettivi in loco, utilizzando il potere dell’articolo 14 della Costituzione, secondo il quale gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali e derogano alla inviolabilità del domicilio personale. Negli ultimi anni altre quantita’ di dati sono rintracciabili negli Archivi degli Arbitri Bancari e Finanziari. Decine e decine di migliaia di fattispecie che da sole potrebbero delineare il controverso mondo della finanza contemporanea.

Come sono usate queste basi dati comunque ricavate? Sono ancora utili o sono desuete? In una parola, a che servono, visti certi risultati e lo scaricabarile cui assistiamo ogni volta che crolla una banca?

Per restare nel settore, quanto ai nostri risparmi, non esiste nulla al mondo paragonabile al Grande Fratello italiano.

Il Dl “Salva Italia” (Dl 201/2011) ha introdotto l’obbligo, per gli operatori finanziari, di comunicare all’Anagrafe tributaria – denominata Archivio dei rapporti con operatori finanziari – le informazioni sui saldi e sulle movimentazioni dei rapporti attivi. La comunicazione, effettuata attraverso una specifica infrastruttura (SID) in linea con quanto indicato dall’Autorità Garante per la protezione dei dati personali , si affianca a quella relativa all’Anagrafe dei rapporti finanziari, regolata dai provvedimenti del 19 gennaio 2007 e del 29 febbraio 2008.

A partire dal 1° gennaio 2016, le comunicazioni delle informazioni mensili (aperture e cessazioni di rapporti) e annuali (saldi, movimenti e altri dati contabili) sono effettuate in base al tracciato e alle specifiche tecniche stabilite dal provvedimento del 25 gennaio 2016 tramite la predetta infrastruttura.

Conclusioni sconcertanti

La tenaglia di informazioni che ci avviluppa e burocraticamente ci asfissia è dunque inesorabilmente votata a confonderci.

Invece sono bollate come fake news da parte delle Autorità e del Governo le attribuzioni di responsabilità dei mancati controlli, per il danno che inducono alla fede pubblica.

La domanda che andrebbe rivolta alle medesime autorità è di dare conto dell’avvenuto utilizzo delle informazioni possedute e del perché non siano mai esaustive per essere utilmente usate.

Nel contempo assistiamo alla linea di difesa, secondo la quale la mancanza di qualche norma ha di volta in volta impedito un pronto ed efficace intervento per prevenire i più dolorosi dissesti finanziari.

E la verità? Dobbiamo forse concludere che in un mondo siffatto non esiste, ma sarebbe deludente.

Il cittadino sarebbe più propenso ad accettare le conseguenze negative di certi disastri davanti alla ammissione degli errori di valutazione compiuti. Nel combattere con reiterati comunicati stampa, le asserite fake news a loro danno le Autorità non fanno che alzare la considerazione dell’opinione pubblica. Con i poteri e gli archivi di dati a loro disposizione dovrebbero essere i veri numi tutelari delle verità del nostro mondo contemporaneo.

A loro dire, tuttavia, manca sempre qualcosa per raggiungere il migliore dei mondi possibili, assicurando di avere sempre agito al massimo delle loro prerogative. Non vorremmo che alla fine fosse proprio la fiducia a mancare definitivamente.

 

 

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