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Elisabeth (Lee) Miller Penrose, non solo fotografa

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Quando si dice di essere prevenuti e ci si crede immuni da pregiudizi in verità si manifesta una supposizione di superiorità che non si rivela solo in astratto.

Casualmente, leggendo qua e là, ad un certo punto è saltato fuori un libro che avevo pure visto presentare in una trasmissione tv, ma al quale non avevo dato particolare importanza, devo riconoscere, in ragione dell’autore. Specie per i personaggi dello spettacolo, quasi automaticamente si associano le loro produzioni al ruolo mediatico ricoperto, salvo poi scoprire lati che si ritenevano impensabili per preconcetto.

Giorgio Faletti è stato un eclatante esempio di questa sottovalutazione iniziale. Palesatosi a lungo nella televisione berlusconiana come artista dalla comicità surreale, coi suoi romanzi gialli manifestò, in tempi più maturi, un’abilità narrativa fino ad allora impensabile. E anche la sua comparsa al Festival di San Remo con la canzone “Minchia, signor tenente”, commovente dedica alle vittime delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, fu un colpo nello stomaco. Il successo meritatamente riconosciuto annullò le peculiarità del personaggio televisivo, collocandolo in una dimensione più complessa.

Tanti altri personaggi hanno mostrato, in momenti diversi delle loro stagioni, poliedricità nascoste e solo occasioni o maturità raggiunte hanno fatto affiorare capacità fino ad allora inespresse.

Leggendo la storia romanzata scritta da Serena Dandini su Elisabeth (Lee) Miller Penrose esce fuori una imprevedibile scrittrice, che con abile narrazione – scorrevole e asciutta – riesce a raccontare un personaggio che, di per sé, costituisce una sintesi di quello che può raccontarsi di una caleidoscopica figura complessa e impegnata.

La didascalia dell’edizione originaria descrive così Lee Miller: “Modella, fotografa, reporter di guerra, viaggiatrice appassionata, è stata una donna libera ed emancipata in un tempo in cui esserlo era pressoché impossibile. Nel giro di pochi anni, dall’essere icona della moda, la più bella ragazza d’America, è passata a ispirare grandi artisti e a produrre arte lei stessa.”

Il libro inizia con la descrizione della vasca del Fuhrer nella quale la protagonista si imbatte e si immerge dopo aver avuto la traumatica esperienza di scoprire l’orrendo campo dì concentramento di Dachau, una versione della banalità del male in chiave piccolo borghese. L’uomo più vituperato della Storia era circondato da arredi comuni, da un bagno anonimamente piastrellato e altre comodità come un semplice impiegato pubblico. Da questa esperienza di Lee Miller, che incuriosisce la Dandini, nasce forse anche la storia.

Riconosco che dopo i primi capitoli del romanzo, non mi sono più ricordato della Serena Dandini del mondo dello spettacolo.

Con una scrittura efficace e coinvolgente, infatti, traspariva una passione per il racconto intrapreso che immergeva in una interessantissima storia di un personaggio con tanti aspetti dell’intimo umano, che si relaziona con tanti artisti del suo tempo.

Tra Man Ray e Picasso, in un arco temporale vasto e alquanto travagliato quale può essere la prima metà del novecento sfilano celebrità e figure umane molto interessanti che fanno da sfondo – e talvolta esaltano – la figura della protagonista, descritta a volte quasi come eroina e come modello di riferimento di un femminismo sempre tenuto represso anche nel mondo occidentale più evoluto.
Con un abile intreccio narrativo ed essenzialità espositiva l’autrice riesce a mantenere nel racconto un ritmo appassionante che induce il lettore ad andare avanti senza sosta, per vedere cosa saprà ancora mostrare quell’imprevedibile personaggio che, in breve, costituisce il mito su cui si incentra il romanzo.

Accenni alle due guerre, alla depressione economica degli anni trenta e a vicende legate alla seconda guerra mondiale e all’olocausto, contestualizzano i tempi e i luoghi che danno notevole valenza alle vicende vissute dalla protagonista.

Il mondo della fotografia e dell’arte che emerge dalle pagine del libro, costituisce la classica ciliegina sulla torta dell’intero romanzo.

Il libro della Einaudi, ora anche in commercio in edizione economica, si intitola appunto “La vasca del Fuhrer” e consta di circa 250 pagine che scivolano leggere e veloci, inseguendo la ragguardevole mole di avvenimenti e delle storie dei personaggi che racchiude.

Concludo con un significativo periodo che Serena Dandini riporta: “Si dice che si dovrebbe scrivere solo di quel che si è sperimentato in prima persona, ma sottovaluterei il fascino delle esistenze che non abbiamo avuto il coraggio di percorrere fino in fondo, accarezzandole da lontano e restando spettatori dei nostri sogni. A volte l’unico modo per trovare un senso nel nostro percorso è rivolgerci alle vite che non ci appartengono: alle brutte ci saremo almeno distratti dalla nostra.”
Delle considerazioni che riescono a concettualizzare a pieno l’essenza di questo bel romanzo che, per i tanti aspetti e non solo letterari, invito vivamente a leggere.

Buona luce a tutti!

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