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L’Italia e la Via Marittima della Seta

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L’Italia è diventata la prima economia sviluppata a firmare con la Cina un programma di Investimenti che ha creato sconcerto tra gli alleati occidentali per il timore di una nuova e crescente influenza geopolitica cinese.

Si tratta di 29 accordi commerciali per 25 miliardi di euro, definiti durante la recente visita a Roma del presidente della Repubblica Popolare Cinese Xi Jinping. Il progetto è visto come una nuova “Via della seta”, che come la vecchia strada di commerci e di cultura, potrà unire Oriente e Occidente nel XXI^ secolo.

Ma quale è il progetto cinese, che ha il nome di Belt and Road Initiative? Esso comprende la messa in campo di generosi fondi, erogati attraverso le maggiori banche cinesi, per importanti infrastrutture logistiche nell’intento di velocizzare le spedizioni dei prodotti cinesi. Dobbiamo negoziare le condizioni di reciprocità perché le merci e i servizi italiani (prodotti agricoli, finanza, ingegneristica ed altri) possano avere a loro volta ingresso sui mercati di quello sterminato paese.

La Via Marittima della Seta è una parte del più complesso programma di compenetrazione commerciale ed ha già visto la costruzione di strade, porti e ferrovie in paesi africani come Uganda, Kenia e Tanzania, nel percorso di avvicinamento al nostro continente.

In azzurro la Via Marittima della Seta

In particolare in Tanzania, una piccola citta’ costiera diventera’ il più grande porto dell’intera Africa. In Europa, le aziende cinesi posseggono già il 51% del Pireo, acquistato nel 2016 approfittando della crisi greca. Avranno ora accesso anche al porto di Trieste.

Nei documenti politici cinesi sono richiamati i rapporti tra Impero Romano e Impero Cinese dei primi secoli dell’era volgare e, ovviamente, i viaggi di Marco Polo. Non si trova invece traccia nè del gesuita del ‘600 Matteo Ricci, che stabilì importanti relazioni culturali con la Cina, nè dell’offensiva cinese verso l’Occidente del XV^ secolo.

Vi sono sempre motivi di opportunità nel ricordare certe storie e nel non ricordarne altre!

Una grande impresa marinara

Quella iniziativa di sei secoli fa, seppur fallita nonostante l’impiego di enormi mezzi, aveva lo scopo di aprire già allora nuovi sbocchi alle merci cinesi.

Lasciò invece, inaspettatamente ai noi occidentali, un grande bagaglio di conoscenze in campo geografico, che agevolarono le successive esplorazioni oceaniche, a cominciare da quella di Cristoforo Colombo.

Dell’impresa cinese si trova il racconto in un bel libro di Marco Conti dal titolo Intorno al Pozzo dei Toscanelli, 2017, Edizioni Libreria Salvemini, pagg. 200, €13, che rievoca la vita del maggior geografo italiano del primo Umanesimo: Paolo dal Pozzo Toscanelli (1387-1482).

Nell’ultima parte, si narra infatti della grande spedizione navale cinese dei primi decenni del ‘400, che riuscì a tracciare una mappa dell’orbe terraqueo comprendente tutti i continenti. Se ne può vedere sopra una copia ricavata nel 1763.

Il fautore dell’impresa, chiamata Flotta del Tesoro, fu l’imperatore Zhu Di. Comportò tre anni di navigazione dal 1421 al 1423.

Composta di oltre 100 navi e 30.000 persone, la flotta era suddivisa in cinque sotto flotte al comando di altrettanti ammiragli imperiali.

Zheng He, uno degli ammiragli

Le navi più grandi erano lunghe 122 metri e larghe 9, avevano quattro alberi e vele di seta rossa. Costruite in legno di tek, erano imponenti al punto che il timone di una di esse, ritrovato secoli dopo, era alto ben 11 metri.

Uno degli ammiragli costeggiò la costa del Messico, tracciò le isole dei Caraibi, circumnavigò la Groenlandia e costeggiò tutta la costa orientale americana.

Un altro ammiraglio perlustrò la costa africana e l’Oceano Indiano. Un terzo costeggiò l’Australia, raggiungendo l’Antartide. Quindi navigò lungo la costa dell’America meridionale.

Africa del Sud (Mappamondo di Fra’ Mauro, 1459)

Il quarto ammiraglio diresse la flotta attraverso il Pacifico, sbarcando in California. Proseguì poi verso sud fino in Perù.

L’ultimo dei cinque rimase a presidiare la costa del continente asiatico e l’estuario del fiume Yangtze.

Tutte e cinque le flotte tornarono in patria decimate di uomini e di mezzi, ma con conoscenze che consentirono, tra l’altro, il disegno della mappa di Piri Reis, dal nome dell’ammiraglio della flotta turca che ne era entrato in possesso, almeno per la parte atlantica.

Quando, nel 1492, Colombo partì alla ricerca delle Indie disponeva probabilmente di una mappa dei Caraibi, ricavata, da materiale cinese, da Paolo dal Pozzo Toscanelli. Sembra che egli lo avesse ricevuto da un mercante veneziano, Niccolò de’ Conti, che viaggiava tra l’India e la Cina fin dal 1415.

I cinesi e noi

Di quella maestosa impresa rimangono memorie scolpite in alcune steli cinesi dell’epoca.

Una recita: “Abbiamo traversato oltre centomila lì di immensi spazi d’acqua e abbiano veduto nell’oceano onde enormi innalzarsi al cielo come montagne. Abbiamo posato gli occhi su regioni barbare lontanissime, celate in un’azzurra trasparenza di vapori luminosi, mentre le nostre vele, spiegate superbamente come nuvole, giorno e notte, seguivano la loro rotta veloce come quella di una stella”.

Un’altra riporta “…affinché trattassimo popoli lontani con gentilezza,…siamo andati nelle regioni occidentali tutti insieme, più di tremila paesi, grandi e piccoli”.

E una terza stele dichiara: “Noi dominiamo tutto ciò che si trova sotto il cielo e pacifichiamo e governiamo cinesi e barbari con imparziale benevolenza e senza distinzione di ciò che è mio e di ciò che è tuo. Seguendo il modo di operare di saggi imperatori… noi desideriamo che a paesi lontani e a domini stranieri sia concesso a ciascuno di raggiungere il posto che gli è stato assegnato sotto il cielo.”

Erano tutti fattori di una moderna strategia politica e commerciale, fondata su entusiasmo, innovazione, chiarezza di obiettivi.

Perchè la spedizione non produsse all’epoca le conseguenze di integrazione economica che volevano i cinesi? Perchè gli eredi dell’imperatore di allora non capirono la portata di quel grandioso evento e non ne coltivarono le implicazioni, facendolo dimenticare presto.

Oggi è difficile pensare che coloro che prenderanno in futuro il posto di Xi Jinping possano commettere lo stesso errore, abbandonando l’impresa della Via della Seta da lui avviata.

Sta a noi occidentali dimostrare la stessa ampiezza di vedute, affinché la loro pacifica offensiva non si traduca in colonizzazione economico-culturale, ma si sviluppi tramite negoziati a somma positiva per tutte le parti coinvolte.

Questa volta gli ammiragli della flotta cinese non si accontenteranno di tornare a casa con i rilievi dei contorni delle nostre frastagliate società.

 

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