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Lettera ai soci dal Presidente di una banca fallita

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Care socie, cari soci,

l’anno appena passato ha visto la fine della nostra, della vostra banca. Fondata nel lontano 1892 oggi non esiste più e quindi l’anno che arriva non ci porterà proprio nulla, se non rabbia e recriminazioni. La mia lettera è dunque inusuale.

Sono stato con voi per quasi sei mandati, molti dei quali lusinghieri e floridi, quanto a risultati. Poi il botto finale agli inizi del 2019 con quel tragico ultimo consiglio di amministrazione che mi ha costretto alle dimissioni, perché la banca era fallita lasciando un enorme buco. Oggi mi ritrovo rinviato a giudizio per truffa, false comunicazioni sociali e ostacolo alla vigilanza di Bankitalia.

È la prima volta che un Presidente di una banca fallita scrive alla propria ex compagine sociale per ringraziare della fiducia sempre accordata e per scusarsi.
In genere, i miei sodali preferiscono stare zitti per farsi dimenticare. Io, no. Non sembri una provocazione, siete oltre centomila uomini e donne ad aver creduto incondizionatamente in quello che facevo. E vi devo dare conto di come sono andate realmente le cose. Pensate, che ho ispirato perfino dei romanzi e un film.

Innanzitutto, sfatiamo alcuni miti. La crisi economica c’entra come il cavolo a merenda. Quando personaggi del massimo lignaggio ti dicono che dal banchiere locale dipendono le sorti dell’economia, bisogna esserci e correre, anche all’impazzata dietro ogni affare. E io, o meglio la banca ha corso sempre più velocemente, perché se si fermava era bella che morta. È la condanna del banchiere che deve assecondare tanti bisogni. Bisogna dire di sì. Non si può dire no. Non è una scusante, ma nessuno sembra capirlo quando si è ancora in tempo. Per dire di sì a tutti, dovevamo solo crescere, a tutti i costi, in tutti i modi.

La banca è tempo e io dovevo comprare tempo, senza badare al prezzo. Cioè dovevo rinviare i problemi, o meglio dovevo coprire un rischio, assumendo rischi sempre maggiori, fino a quando il giuoco non è stato più sostenibile. Dovevo evitare che qualcuno rimettesse il conto troppo presto. È possibile che ci sia ancora qualcuno che crede che quando si corre all’impazzata, si possa frenare in tempo? E noi tutti, e quando dico tutti, dico tutti volevamo credere che questa volta fosse diversa dalle altre. Che noi banchieri locali avessimo trovato la pietra filosofale? Non poteva essere così e non è stato. È come credere che gli asini volino.

La cattiva gestione, il credito agli amici degli amici è indubbiamente una causa di una certa rilevanza. E sono colpevole anche di questo. Eppure, non sarei sincero fino in fondo se non vi dicessi che c’è molto altro. La vostra immensa, sconfinata fiducia mi ha inorgoglito, mi ha fatto sentire dotato di un potere immenso che ho inteso mettere a servizio di tutti. Grazie alla vostra forza sono stato osannato da banchieri, autorità di controllo, politici e giornalisti.

Mi inebriavo ad essere l’arbitro delle più importanti iniziative economiche della regione, purtroppo anche di quelle più strampalate. La cerchia degli amici era a tal punto compiaciuta che mi spingeva ad espandere gli affari in altri territori, poco conosciuti e lontani dalla nostra sede. Grazie a voi eravamo diventati davvero invincibili, in regione, in Italia e finanche all’estero. Ero come un imperatore romano, al quale nessuno recitava però il memento mori.

Io sono quel che voi volevate che fossi: una macchina per fare soldi e se qualcosa è rimasta attaccata alle mie mani non è gran cosa. Non è questo il problema. Sono ricco di mio.

Mi fanno sorridere le discussioni metafisiche del tipo: la Banca d’Italia non è la magistratura ed ha fatto quel che poteva. Infatti non l’ho mai pensato e, mi ripeto, fermare quel treno in corsa non era possibile. Voi stessi li avreste sbranati coloro che si fossero permessi di sollevare dubbi, fossero finanche gli ispettori di Bankitalia o di CONSOB.

D’altro canto ci sanzionavano per qualche irregolarità e tutto rimaneva come prima. Eravamo tutti appagati. Nessuno aveva l’ardire di chiedermi un passo indietro. La magistratura arriva dopo e Bankitalia non è riuscita a prevenire pur avendo fatto, come periodicamente ci racconta Visco, tutto il possibile.

Siamo tutti colpevoli, allora? No, sarebbe troppo comodo. Io pagherò qualcosa a livello penale se la magistratura riesce a concludere in tempo i processi che mi riguardano. Mi assumo tutte le responsabilità, ma vi dico subito che sul piano civilistico coloro che hanno subito un danno patrimoniale riceveranno ben poco.

Tuttavia, devo concludere che la fiducia incondizionata e smisurata che mi avete riservato per tanti anni doveva fare aprire gli occhi a coloro che dovevano controllare. Vale a dire costoro dovevano rafforzare al massimo le difese possibili previste dall’ordinamento, perché il vulnus, il serpente dell’onnipotenza si era già insinuato e stava consumando la banca con operazioni scorrette di credito malato e risparmio tradito.

I danni sarebbero arrivati nel tempo e sarebbero stati ovviamente mortali. Evidentemente questo non è avvenuto, se sto scrivendo questa lettera. E se questo fosse avvenuto, dispiace dirlo, non saremmo in Italia. Quando si diventa troppo forti un sistema sociale deve avere i giusti anticorpi per capire quel che sta veramente accadendo. Il primo a essere mancato è stato il controllo sociale, quindi sono mancati i controlli istituzionali, per non parlare di quelli degli organi interni e dei revisori, che appena nominati facevano manifestazioni di sudditanza nei miei confronti.

Io non potevo essere il controllore di me stesso. Per la contraddizione che non lo consente, avrebbe detto il sommo poeta.

Cinicamente, ma anche consapevole di quanto mi aspetta, ho il diritto di affermare che se di un potere concesso in misura praticamente illimitata, non si abusa, che potere è?

Carissimi e carissime chiudo qui questa terribile lettera. Terribile perché dagli arresti domiciliari provo rabbia a sentire le tante e inutili discussioni sulle cause del fallimento della nostra banca. Siete stati in tanti a creare un mostro avido e tentacolare, del quale nessuno si è accorto e tanto meno ha provato a contrastare negli anni dei miei ripetuti e vittoriosi mandati.

Che gli auguri non appaiano, dopo il danno, la beffa. Così non ve li faccio. Ne ho bisogno per me.

P.S.: Vi dovrebbe essere chiaro ora cosa è una banca. Un’impresa? Ma quando mai! La banca è potere, brutale o raffinato, ma sempre potere. Una prova? Quando hanno deciso di liquidare la nostra,la vostra banca – per quanto non c’era più granché – molti personaggi che se ne sono occupati hanno ricevuto pubbliche lodi dalle massime cariche dello Stato per l’ottimo lavoro svolto e sono stati gratificati con prestigiosi incarichi. La sana e prudente gestione non c’entra proprio nulla, è solo potere. Hanno scaricato il deficit patrimoniale della banca sui contribuenti, su di voi ancora e nessuno si è indignato. Ed è solo la forza del potere che dal marcio riesce a trovare altro potere in nome e per conto dei propri interessi. Come capita durante una guerra, conta solo chi vince.

 

 

 

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3 COMMENTS

  1. Un lettore dell’articolo di oggi mi ha ricordato che il Vangelo di Luca al capitolo 16 parla dell’amministratore disonesto, parabola non semplice da capire oggi se non per il fatto che chi ha un potere tende ad abusarne. L’amministratore astuto, scoperto dal padrone, pone rimedio alle sue malefatte, salva il suo posto e limita i danni ma rimane un cattivo esempio. Purtroppo, nelle banche fallite e’ mancato anche questo.

  2. Ho letto l’articolo con molto interesse e mi sono chiesto chi poteva veramente essere questo presidente che con lucidità esplicativa ed estrema chiarezza ha spontaneamente scritto a questo portale WEB. Certo ne avrebbe da raccontare sui giochini da palazzo, suoi e dei suoi “amici di merenda”.
    Mi interrogavo pure se già la magistratura si fosse attivata per acquisire copia della missiva pervenuta, forse anche per capire quale sia, fra i tanti, questo presidente che ha trovato il coraggio di rivelarsi e spiegare con apparente innocenza i veri termini delle questioni.

  3. Gentile signore Gennaro, la lettera è immaginaria e immaginifica. I fatti sono purtroppo veri ma non credo interessino i tribunali. Il j’accuse è politico e quindi non può essere una denuncia. Forse per questo è ancora più grave. Il medico ha somministrato le cure ma il malato è morto perché la malattia non è stata curata in tempo, forse non è stata neanche capita nella sua dimensione. In breve, oggi sono scomparse quasi tutte le banche del territorio.
    Posso consentirmi una siffatta analisi per i seguenti motivi:
    – 40 anni quasi di onestà attività in Bankitalia occupandomi a vario titolo di banche;
    – 30 anni quasi di stazionamento nella Sede di Venezia, epicentro di diverse ondate di crisi bancarie, tra cui l’ultima, cioè la terza da me vista, che ha spazzato via tutto;
    – ore e ore di discussioni interessanti e a volte stantie con giornalisti, accademici, parlamentari che mi chiedevano sempre le stesse cose (meglio non scendere nei dettagli);
    – i tanti tentativi (vani e vanagloriosi) di fermare un treno in corsa all’impazzata che ha finito per travolgermi, oltre a tutto il resto;
    – da ultimo, la rappresentazione teatrale qui al Teatro Goldoni di Venezia de “Una Banca Popolare” lo scorso dicembre.
    Continui a seguirci e grazie. Gerardo

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