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La situazione forestale italiana.
In Italia il bosco è stato oggetto di grande sfruttamento durante e dopo le due guerre con un prelievo di massa legnosa calcolabile in due/tre volte superiore ad una ottimale utilizzazione forestale.
La montagna appenninica è da decenni trascurata anche nelle buone intenzioni. Non esiste un presidio selvicolturale ed idraulico come si dovrebbe. Circa il 50/60% dei boschi sono abbandonati, soprattutto i boschi cedui che rappresentano il frutto di vicende economiche e sociali di secoli e secoli. Si tratta di ecosistemi estremamente fragili che bisognano di cura e manutenzione continua da parte dell’uomo. Altrimenti non si evolvono ma degradano.Paradossalmente si importa legname da ardere dalla Slovenia e dalla Croazia.
Tuttavia, di recente si è ricominciato in parte a tagliare questi boschi ma spesso non sembra che vengano rispettate le normative forestali, sia per i boschi cedui che per le fustaie, con errori tecnici presumibilmente sfuggiti se non addirittura ammessi nelle autorizzazioni dell’attuale Autorità forestale. Si impiegano, altresì, pesanti mezzi di esbosco assolutamente inadatti ai nostri cedui, ma anche alle fustaie, che non sono certamente, ad esempio, quelle planiziali nordiche di grande estensione. I danneggiamenti del suolo e della rimanente vegetazione sono notevoli talvolta dando addirittura origine a ruscellamenti ed erosioni.
Sempre più frequente la regressione a cespugliati, come un tempo, dei rimboschimenti invecchiati per non aver avuto le indispensabili pratiche tecniche per la perpetuazione del bosco spesso mediante sostituzione con specie definitive: la progressiva rovina delle opere idrauliche, comprese quelle più importanti realizzate dal Genio Civile, i dissesti idrogeologici, il minore assorbimento della CO2, l’alterazione del paesaggio bene economico.
Le sistemazioni idraulico forestali ed i rimboschimenti iniziati dal Real Corpo delle Foreste verso la fine del 1800, intensificati dal 1910 con la Legge Luzzatti con cui si creò anche il Demanio forestale dello Stato e si dette dignità a tutti i livelli alla istruzione forestale, continuati con la Legge forestale del 1923, con il R. D. 13 Febbraio 1933, numero 215, poi con la Legge della Montagna di Fanfani nel 1952, con i Piani verdi e ad altre Leggi, sono abbandonati a sestessi.
Si calcola che sull’Appenino ma anche in piccola parte del settore alpino vi siano 5/6 milioni di ha. di terreni a forte dissesto idrogeologico con gravi pericoli sulla sottostante pianura. Perché nessuno ne parla?
Si è iniziata una politica di coltivazione di specie legnose di pregio (arboricoltura da legno) per sopperire, almeno in parte, alle importazioni ma per errori tecnici e per la sopravvenuta globalizzazione, sono sorti problemi nel mercato del legno nazionale. Un certo interesse si è avuto nel settore dei prodotti scippati e del pellet richiesti per produrre energia con nuove tecnologie.
Dai 20 ai 24 mila ettari rimboschiti annualmente dal Corpo Forestale dello Stato fino agli inizi degli anni ’70, cifra comunque modesta, rispetto ai 200/300 mila ettari necessari di interventi compreso le ricostituzioni boschive e le decine di migliaia di ha. percorsi annualmente da incendi, superfici anche queste dimenticate e in preda all’erosione, al ruscellamento, alle frane, si è passati a cifre irrisorie.
Il “buon governo” nella gestione del sistema idrogeologico montano (precipitazioni, foresta, deflussi). Foto A. Gradi.