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Autore-editore: una coppia di fatto?

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Tempo di lettura: tre minuti. Test di leggibilità **.

Ma quanto si scrive?

Un ritornello classico del dibattito culturale è che la gente legge poco, o meglio, legge pochi libri. Può anche essere, ma succede che l’umanità non ha mai scritto e letto tanto quanto adesso.

Il magazine “Wired”, che non difetta di senso dell’umorismo, si è preso la briga di calcolare in equivalente-libri la quantità di parole che ogni giorno vengono pubblicate nel mondo. È uscito un numero che fa veramente sorridere: nove miliardi.

Ora bisogna dire che il libro è una forma ben determinata e specifica di trasmissione del pensiero e della creatività. Essa non può essere in alcun modo scambiata con altre forme di espressione venute in auge con l’avvento dei nuovi media, anche se sempre di scrittura si tratta.

In ogni caso si può senz’altro affermare che i nuovi media sono piombati come un meteorite nel placido stagno dell’editoria libraria che reiterava i propri riti come Kant le proprie giornate.

Prima di Amazon l’unica grande innovazione dell’industria libraria, da ricordare a patto di essere ottuagenari, era l’invenzione del tascabile avvenuta negli anni Trenta del Novecento ad opera di Penguin books.

In verità era stato Aldo Manuzio, con la sua Aldus, ad averli inventati già agli albori del XVI^ secolo.

Si fa presto a dire innovazione. Stando all’opinione di chi se ne intende, come Jeff Bezos, il libro è una tecnologia di per sé perfetta. Come affermò durante la presentazione del Kindle 11 anni fa “Che cosa di può aggiungere a Guerra e Pace? Niente!” Forse è questa la ragione per cui, come ha osservato su “Wired” lo scrittore Craig Mode, l’interattività dei Kindle è simile a quella di una patata.

Eppure con il Kindle qualcosa di veramente importante è accaduto, non tanto nel contenuto, quanto nel rapporto tra pubblico, scrittori ed editori, qualcosa che assomiglia veramente alla nascita di un nuovo paradigma. In che senso? Ce lo dice sempre Craig Mode, osservando che il Kindle non ha per niente ucciso libro, anzi ha dato il là a un’esplosione di attività attorno al libro.

Ad esempio, è molto più semplice e molto più economico pubblicare un contenuto di quanto non lo fosse 20 anni fa. È venuta meno ogni barriera tra scrittore e pubblico. L’editore ha dovuto ripensare il suo ruolo, che era simile a quello di un giudice della corte suprema.

C’è stato soprattutto il boom degli audiolibri che cresceranno a dismisura quando gli smart speaker, come Amazon Echo, diventeranno ubiqui nelle case.

EDautori alle prime armi

Vogliamo provare ad analizzare brevemente in che cosa e come è cambiato il rapporto autore-editore in questi anni: editoria tradizionale, editoria a pagamento, self publishing sono i passaggi che hanno traghettato il rapporto autore-editore verso un sodalizio rinnovato e amplificato.

Il frontespizio dell‘edizione del 1913 della “Recherche” che Proust pagò di tasca sua dopo svariati rifiuti.

Da circa oltre decennio sono proliferate numerose piattaforme editoriali che pubblicano libri a pagamento. Il fenomeno è diffuso anche in Italia, ma nasce oltre oceano. Non che l’editoria a pagamento sia proprio una novità. Marcel Proust, dopo due sonori rifiuti della Recherche, nel febbraio del 1913 si rivolse al giovane editore Bernard Grasset offrendosi di pagare le spese di pubblicazione e di pubblicità. Grasset accettò senza aver nemmeno letto il manoscritto. Qualcosa di simile capitò a Joyce che dovette andare a Parigi per pubblicare l’Ulisse che i linotipisti francesi nel copiare il manoscritto arricchirono di nuovi e avvincenti neologismi. Due delle più grandi opere del novecento nacquero dunque fuori dai circoli dell’editoria maggiore.

Il concetto tra le righe è: “Sei un autore che non riesce a sfondare? Nessun agente ti ha scoperto o peggio tutti ti hanno rifiutato, ma tu sei così ostinato da voler pubblicare i tuoi libri? Bene ecco un nuovo editore disponibile per te: dimmi quante copie vuoi stampare del tuo libro, le paghi e puoi tranquillamente regalarle o venderle ai tuoi amici.”

L’autore cade nella trappola narcisistica della pubblicazione, come se il suo libro avesse realmente passato il vaglio di un agente e l’editing di una competente redazione e si ritrova pubblicato. Non a caso gli americani hanno chiamato questo tipo di pubblicazione Vanity Press.

Lo scrittore Indie
Questa pratica ha tolto ai nuovi scrittori non solo una cospicua somma in denaro ma anche la possibilità di far crescere un reale rapporto autore-editore che contribuisse al successo del libro.
Ha creato un falso rapporto indebolendo via via la fiducia nel ruolo, eppure fondamentale, di un esperto del mondo editoriale che potesse guidarlo nei passi necessari di produzione e commercializzazione di un prodotto editorialmente valido.

Poi la tecnologia ha permesso la nascita di una nuova identità d’autore l’“indie”. È l’autore self-publisher, editore di se stesso che perciò diventa auto-agente, auto-distributore, auto-promotore e investitore. Diventa uno scrittore-imprenditore.

Questa nuova strada è diventata per molti autori debuttanti o marginalizzati da una cosa da ultima spiaggia a qualcosa che assomiglia a un’importante opportunità. Per loro sono stati di esempio i numerosi grandi autori di best seller, peraltro non molti, che hanno compiuto il passo dell’autopubblicazione salutando felicemente i propri editori. Ma questo non è così facile per tutti.

Pubblicare il proprio libro sulle nuove piattaforme digitali supera completamente il problema di trovare un editore disposto a farne un testo cartaceo. Sicuramente è meno costoso di quanto poteva esserlo per un autore a pagamento, ma questo non garantisce assolutamente la vendita del libro.

Diverso è ovviamente il discorso per autori già noti al pubblico, per chi ha già migliaia di fan in attesa dell’uscita dell’ultimo imperdibile “capolavoro”.

La strada per chi è sconosciuto ai più, per chi deve creare una propria rete di seguaci e fan è tutta in salita.

Ciononostante in un prossimo articolo vi daremo un piccolo manuale d’uso.

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