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Confessioni di un fotografo sessantino

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Tempo di lettura: due minuti. Test di leggibilità ***.

Una cosa che oggi, da “giovananziano”, trovo fastidiosa è l’inconcludenza, come le cose ripetute fino alla noia, che non portano valore.

Me ne accorgo nei momenti in cui cerco di indurre un bambino a variare la monotematica di un gioco virtuale, di un’applicazione digitale o di un altro gadget alla moda. E ciò, anche se mi rendo conto che per loro, che sperimentano le cose, è una necessità formativa ripetere le azioni, per assimilarne le logiche e impadronirsi delle regole sottostanti.

Le necessità di un soggetto maturo per riconoscere un qualcosa, sia essa una melodia, un’opera d’arte, per concettualizzare una lettura o un discorso, presuppongono invece quantità d’informazioni assai minori. Repetita non adiuvant. Le cose ripetute stancano, non aiutano.

In proposito, ricordo come da giovane degli anni settanta mi gratificava l’ascolto di un brano musicale degli Hotlegs che – a quel tempo e nella sola Italia – ebbe un clamoroso successo, scalando le classifiche della hit parade: “Neanderthal Man”.

La canzone inglese di un certo Mac Devis in verità non diceva nulla di particolare, anzi ripeteva ossessivamente queste semplici parole:

I’m a neanderthal man
You’re a neanderthal girl
Let’s make neanderthal love
In this neanderthal world

I’m a neanderthal man
You’re a neanderthal girl
Let’s make neanderthal love
In this neanderthal world

I’m a neanderthal man
You’re a neanderthal girl
Let’s make neanderthal love
In this neanderthal world.

A quel tempo lo cantavo e ricantavo tra me. Ero ragazzino, vestivo strasandato e portavo i capelli lunghi. Come è normale che sia, i miei gusti di oggi sono cambiati del tutto. Di recente ho riascoltato quel brano e subito l’ho trovato fastidioso.

Non ci crederete, ma oggi, quando sono associato ad altri in affollati gruppi su Whats App, Messanger o altra diavoleria social, mi sembra di essere ripiombato in quella fase “ancestrale”.

Con la differenza che mentre ieri la ripetitività aveva un aspetto goliardico non vincolante, libertario, se si vuole, oggi nelle griglie mediatiche emerge presto un senso di ingabbiamento, quasi di soffocamento.

Frasi smozzicate, in codice, risposte obbligate, spiritosaggini forzate, faccette gialle di condimento delle più banali interlocuzioni. Guai a non metterle nei tuoi messaggi! Come sono guai se non rispondi, anche se non hai nulla da dire! Che vuol dire, invece, che te la tiri!

L’eventuale abbandono del gruppo poi può determinare nei componenti più suscettibili manifesta irritazione, fino a suscitare offesa per l’ideatore dell’aggregazione.

E’ l’ennesima riprova che ogni innovazione comporta un dosaggio sapiente e un’accorta gestione.

Se installi un confort o un qualsiasi marchingegno nel contesto fisico o virtuale in cui ti muovi, sarebbe opportuno chiedersi se il suo utilizzo continuo (e invadente) sia sempre una soluzione gradita.

A pensarci bene è tutt’altra cosa di quello che avviene in fotografia, per la quale hai sì un obbligo, financo paradossale. Quello di cercare sempre, attraverso migliaia di scatti, la diversità dell’angolazione, della prospettiva, del caso che, per una frazione di secondo, ti presenta un’immagine. Non puoi essere assolutamente ripetitivo. Non c’è niente di più esiziale della ripetitività in fotografia.

Buona luce a tutti!

 

 

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