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Le sfide ancestrali del credito cooperativo. Due libri a distanza di vent’anni

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Tempo di lettura: quattro minuti. Test di leggibilità ***.

Un libro vecchio, eppure nuovo

Alla fine degli anni 90’ CISCRA, la casa editrice del credito cooperativo, pubblicò una ricerca condotta da esponenti della vigilanza bancaria e dei Nuclei di Ricerca Economica della Banca d’Italia.

Il libro, con prefazione della Prof.ssa Elisabetta Montanari dell’Università di Siena, era intitolato “La redditività delle BCC del Nord-Est (1993-1996)”. L’importanza di quel lavoro fu duplice. Sul piano organizzativo era la prima volta che un team di esperti così numeroso si occupava di un sistema bancario locale. Sul piano dell’analisi economica si mettevano in evidenza i punti di forza e di debolezza delle BCC, per affrontare l’area monetaria dell’Euro appena nata.

Mi piace ricordare con affetto che questa iniziativa fu dovuta alla lungimiranza dell’allora Direttore della Banca d’Italia di Venezia, Michele Bonaduce, scomparso nel 2017.

Il lavoro si occupava del credito cooperativo in tre aree importanti della sua tradizione: Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Per il peso che queste banche minori avevano all’epoca significava che i risultati potevano estendersi all’intero sistema.

Molti di quei risultati testimoniano a distanza di un ventennio la complessità delle sfide ancora irrisolte per le BCC.

La sintesi dello studio era la seguente.

La strategia vincente del credito cooperativo deve condurre al superamento della frammentazione delle singole realtà aziendali per sfruttare le economie di scala e innalzare la dimensione minima dell’intermediazione per renderla compatibile con l’innovazione tecnologica e per sostenete l’erosione dei margini reddituali. L’elevato sviluppo economico raggiunto in molte aree di operatività delle BCC non è pertanto motivo sufficiente a ritardare l’assunzione di queste decisioni.”

Queste parole ritornano oggi in mente per inquadrare meglio la condizione del movimento che vede ancora presenti quelle criticità d’ordine strutturale. Non fosse altro che per la prolungata recessione dell’economia italiana e i tanti fallimenti che hanno riguardato proprio le banche del territorio.

Gli anni dell’euforia e quelli della crisi

Che cosa è accaduto dunque in questi venti anni? Sostanzialmente due fenomeni.

Il primo (2000-2012) è stata la corsa alle dimensioni operative, accompagnata da un crescita abnorme delle strutture che ha sopravanzato quella pur cospicua di impieghi e depositi. Essa è continuata quando la crisi era già in atto da tempo. Il rapporto tra quota degli sportelli e quota di mercato è più che doppia e il cost/income è molto più elevato del resto del sistema. Lo stesso dicasi per la produttività misurata dal rapporto tra numero complessivo dei dipendenti e volumi operativi.

La crescita della redditività tramite economie di scala non è stata dunque la strada seguita. Il perseguimento di obiettivi quantitativi ha inoltre allentato il vincolo rischio/rendimento.

Il secondo fenomeno è intervenuto tra il 2013 e il 2017, periodo durante il quale quest’ultimo scompenso si è manifestato tramite concentrazione dei rischi individuali e per settore, comportamenti azzardati e conflitti di interesse. Ciò ha provocato numerose crisi di Bcc, anche di dimensione medio grandi, al Centro e al Nord del paese. Particolarmente colpiti sono stati i sistemi regionali del Veneto, dell’Emilia Romagna, della Toscana. Nelle crisi osservate non si rinvengono cause d’ordine cooperativo, bensì di natura speculativa.

Dopo venti anni i motivi di preoccupazione sono pertanto più o meno gli stessi.

Il tentativo di imprimere una svolta è rappresentato dalla faticosa riforma attuata con la pubblicazione della Legge n. 49 dell’8 aprile 2016, che deve ancora andare a regime.

Nella fase di definizione dei Gruppi Bancari Cooperativi, il processo è stato completato dal Decreto Legge n.91 del 24 luglio 2018.  Sulla base di questo quadro regolamentare i provvedimenti autorizzativi alla costituzione a Gruppo sono stati emanati dalle Autorità, rispettivamente, l’11 luglio 2018 per Cassa Centrale Raiffeisen (gruppo provinciale alto atesino); il 24 luglio per Iccrea Banca; il 2 agosto per Cassa Centrale Banca. Questi ultimi di caratura nazionale.

Sono in corso stringenti negoziati con la BCE per stabilire i livelli di assorbimento patrimoniale dei rapporti infragruppo.

Nuove regole o nuovo business?

Gli eventi di crisi, tuttavia, generano forti reazioni anche tra le BCC all’applicazione delle regole comunitarie. E’ molto chiaro al riguardo Ignazio Visco, nella prefazione al volume di Rainer Masera “Community banks e banche del territorio: si può colmare lo iato sui due lati dell’Atlantico?” (Ecra, 2019)

Come nota inoltre Masera, l’approccio one size fits all prescelto a livello comunitario comporta la costituzione di riserve di passività (MREL), con l’emissione di strumenti da collocare sul mercato (non al dettaglio), in grado di assorbire le perdite in caso di crisi. Per evidenti motivi (legati questi sì alla scala, oltre che alla diversificazione degli attivi) ne possono derivare oneri più difficili da sostenere per le banche di minori dimensioni. In questo contesto la revisione del quadro normativo dovrebbe mirare a rendere gestibile l’uscita di intermediari dal mercato, anche con l’intervento, in situazioni di crisi, dei fondi di garanzia dei depositi. L’esperienza statunitense in questo campo merita senz’altro di essere considerata con la dovuta attenzione.”

In termini più generali, Masera va alle radici della regolamentazione prudenziale di Basilea per enunciare la tesi dello iato tra regole per le grandi banche versus le piccole banche.

“La spiegazione ufficiale fornita a sostegno del modello di sorveglianza one size fits all, adottato nella trasposizione degli standard di Basilea negli ultimi trent’anni asserisce che ciò è stato necessario per assicurare un campo di gioco livellato per tutte le imprese bancarie nel mercato unico. Tale dogma è falso”.

“Può essere mostrato che è vero l’opposto: le banche piccole e medie locali/regionali sono state penalizzate sotto il profilo competitivo per quattro ragioni distinte, ma concomitanti: i costi di compliance sostanzialmente fissi derivanti da una regolazione ipertrofica sempre più complessa, articolata e in continuo cambiamento; il mancato/insufficiente riconoscimento della diversa impronta sistemica delle banche locali rispetto alle grandi banche internazionalmente attive; il vantaggio in termini di costo di finanziamento delle banche sistemiche, considerate troppo grandi per fallire, prima dell’introduzione dello schema di risoluzione per le banche europee dal 2014; l’impossibilità per le banche locali di “game the Basel rules” e di abbassare artificialmente il rapporto di densità”.

Sembra che le questioni del credito cooperativo siano quindi soprattutto di natura regolamentare.  Una selezione normativa avversa starebbe lentamente annientando le piccole banche. Il rischio di simili ragionamenti è di perdere le tracce dei tanti fallimenti avvenuti in Italia proprio tra le banche più piccole prima dell’avvento dell’Unione Bancaria nel 2014.

Sulla capacità di confrontarsi con un mercato in evoluzione risuonano ancora le conclusioni di allora della Prof.ssa Montanari. “È illusorio pensare, scriveva, che l’urto delle tensioni competitive derivanti dall’unificazione monetaria si limiterà al ristretto gruppo delle grandi banche”.

Chi scrive ritiene che anche oggi siano le questioni di mercato e non solo di regole ad essere determinanti.

Il nuovo quadro dei Gruppi Bancari Cooperativi e del contratto di coesione appare come condizione necessaria, al punto in cui è arrivata la situazione. Non è affatto detto che sia anche sufficienti a tenere dinamicamente in equilibrio il credito cooperativo.

Le strategie

La sfida delle strategie diventa essenziale. Le capogruppo debbono impegnarsi rapidamente nell’individuare e nel dettare nuove linee di business alle Bcc aderenti. Intorno ad esse vanno riorientate le attività per riaffermarne la peculiarità.

I campi della sfida sono ampi e possono offrire opportunità, anche per nuove alleanze di partnership, a condizione che vengano definitivamente affrontati con ottica imprenditoriale (cosa che non significa massimizzazione dei profitti), piuttosto che associativa. I servizi potranno rilanciare il banking cooperativo, come pure potrà fare un’azione aderente alla più recente evoluzione della società, segnata da forti scompensi nella distribuzione del reddito. Bisognerà provare che esiste anche spazio per un “fintech cooperativo”.

D’altro canto, l’avvio dell’assetto post riforma dovrà essere fin da subito attentamente monitorato, per verificarne i benefici. Ove emergessero incongruenze, non sarà possibile tornare alla precedente configurazione, di piccole banche autonome, con legami di integrazione deboli tra di loro e con gli organismi centrali.

In questa prospettiva, ha senso domandarsi anche se la costituzione dei gruppi bancari cooperativi, un unicum in Europa, possa rappresentare una fase di transizione verso modelli societari che prevedono la perdita della natura di azienda bancaria da parte delle singole BCC per conferimento delle attività in un solo ente redditizio. È l’esperienza di successo di altri sistemi bancari cooperativi europei, che hanno creato campioni fondandoli sulle economie di scala.

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2 COMMENTS

  1. Ero a Rovigo nella sede del Ciscra 20 anni fa quando fu presentato il libro. Tutto vero, realistico e condivisible quel che ha scritto il dr. Coppola. Aggiungerei solo che oggi recuperare il tempo perso e’ impensabile.

    • Caro Aldo grazie per il ricordo. Il credito cooperativo soffre di sarcopenia, sindrome degli organismi vecchi che rende la vita fragile e precaria. Bisognava pensarci prima, almeno 20 anni fa appunto. Gerardo Coppola

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