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Fenomenologia del fotografo

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Tempo di lettura: due minuti. Leggibilità ***.
Qual è l’ambizione del fotografo, se non di raccontare in una sola immagine un’intera storia? È la sua recondita vanità. Chi è dunque il fotografo?
Il fotografo ha il dono della sintesi kantiana o dell’arte socratica della maieutica? È un filosofo intento a estrarre il vero mediante la dialettica degli scatti, in analogia o in contrappasso con ciò che inquadra? È essere e non essere?
Oggi poi che sono sempre di meno coloro che leggono, il suo territorio si allarga a dismisura. Il fotografo è un missionario della immagine e dell’immaginazione?
Il fotografo non è mestiere moderno, a prescindere dalla tecnologia di apparecchiature sempre più sofisticate. È ancestrale e primitivo. Riporta ai primi uomini. Quelli appartenenti ai cacciatori/raccoglitori. Non ai pastori, ne’ tantomeno ai produttori e alle prime organizzazioni sociali degli agricoltori e degli artigiani.
È, come i primi abitanti della Terra, un solitario, in cerca di quello che il mondo offre. Per cogliere e raccogliere. È così che sopravvive. Il fotografo è hunter and gatherer.
Il fotografo è un innamorato. È  innamorato dell’umanità tutta. Segue il famoso detto latino “homo sum, nihil humani a me alienum puto”. Tutto ciò che è umano mi appartiene, perché può essere ritratto. Uomo tra gli uomini, non alieno. Nè alienato, soprattutto.
Ed è pure innamorato della natura. Non distrugge l’ambiente, non spreca, non sporca. Il fotografo è ecosostenibile. Magari riprende la non ecosostenibilità altrui.
Il fotografo è medico. Cura le depressioni, che nascono dalle ossessioni. Il fotografo regala punti di vista, angoli visuali, prospettive di osservazione sempre diverse. Dalla diversità nasce la molteplicità, dalla molteplicità viene la sconfitta dell’uno, della monade, dell’isolamento, della chiusura al mondo. Dell’io sono io e voi non siete nulla. Il fotografo è un benefattore dell’Umanità.
Ho letto che Van Gogh andasse in giro accompagnandosi con una cornice, per inquadrare ciò che avrebbe poi dipinto. Concentrarsi su porzioni di realtà ci aiuta a non farci travolgere dai contesti, sempre più generali e confusi. Non si deve ne’ si può sempre contestualizzare. Il fotografo e’ un pacificatore dell’anima acontestuale.
Allora io che faccio fotografie, sono davvero tutto questo? Andiamoci piano! Però un pochino di tutto questo mi sento di essere. Supponenza e perdita del senso della misura, la mia? Spero di no.
Anzi il fotografo è uno che accetta di mettersi continuamente in gioco, che non si nasconde. È uno che si espone ed espone. Nessuno sorrida della battuta. È un continuo esporsi ai giudizi degli altri, intendevo. Il fotografo non nè narcisista, nè esibizionista. È semplicemente fotografo, cioè colui che, come dice la parola, scrive servendosi della luce. Fiat lux e la luce fu la lingua universale dell’Universo. Noi fotografi siamo contro i buchi neri, che inghiottono tutto, anche la luce. Sono la negazione della nostra essenza costitutiva. Ora che abbiamo la prova fotografica della loro esistenza, dobbiamo essere molto, molto preoccupati.
Ma adesso basta davvero, con tutte queste sciocche elucubrazioni. Il fotografo non pensa, spara. Spara scatti, a ripetizione. Poi si vedrà. Se non vi ho annoiato troppo, metto tre foto.
E se a qualcuno di voi viene in mente di scriverci intorno una breve storia, sarà per me un piacere pubblicarla sul mio blog, per un inedito concorso foto-letterario. Titolo: storie di genere! Vi va?
Buona luce a tutti.

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