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Breve storia delle foreste 3/4

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Da Duhamel Du Monceau
Tempo di lettura 6’. Leggibilità **. Precedenti puntate nella Categoria Sostenibilita’.
La situazione forestale italiana.

In Italia il bosco è stato oggetto di grande sfruttamento durante e dopo le due guerre con un prelievo di massa legnosa calcolabile in due/tre volte superiore ad una ottimale utilizzazione forestale.

La montagna appenninica è da decenni trascurata anche nelle buone intenzioni. Non esiste un presidio selvicolturale ed idraulico come si dovrebbe. Circa il 50/60% dei boschi sono abbandonati, soprattutto i boschi cedui che rappresentano il frutto di vicende economiche e sociali di secoli e secoli. Si tratta di ecosistemi estremamente fragili che bisognano di cura e manutenzione continua da parte dell’uomo. Altrimenti non si evolvono ma degradano.Paradossalmente si importa legname da ardere dalla Slovenia e dalla Croazia.

Tuttavia, di recente si è ricominciato in parte a tagliare questi boschi ma spesso non sembra che vengano rispettate le normative forestali, sia per i boschi cedui che per le fustaie, con errori tecnici presumibilmente sfuggiti se non addirittura ammessi nelle autorizzazioni dell’attuale Autorità forestale. Si impiegano, altresì, pesanti mezzi di esbosco assolutamente inadatti ai nostri cedui, ma anche alle fustaie, che non sono certamente, ad esempio, quelle planiziali nordiche di grande estensione. I danneggiamenti del suolo e della rimanente vegetazione sono notevoli talvolta dando addirittura origine a ruscellamenti ed erosioni.

Sempre più frequente la regressione a cespugliati, come un tempo, dei rimboschimenti invecchiati per non aver avuto le indispensabili pratiche tecniche per la perpetuazione del bosco spesso mediante sostituzione con specie definitive: la progressiva rovina delle opere idrauliche, comprese quelle più importanti realizzate dal Genio Civile, i dissesti idrogeologici, il minore assorbimento della CO2, l’alterazione del paesaggio bene economico.

Le sistemazioni idraulico forestali ed i rimboschimenti iniziati dal Real Corpo delle Foreste verso la fine del 1800, intensificati dal 1910 con la Legge Luzzatti con cui si creò anche il Demanio forestale dello Stato e si dette dignità a tutti i livelli alla istruzione forestale, continuati con la Legge forestale del 1923, con il R. D. 13 Febbraio 1933, numero 215, poi con la Legge della Montagna di Fanfani nel 1952, con i Piani verdi e ad altre Leggi, sono abbandonati a sestessi.

Si calcola che sull’Appenino ma anche in piccola parte del settore alpino vi siano 5/6 milioni di ha. di terreni a forte dissesto idrogeologico con gravi pericoli sulla sottostante pianura. Perché nessuno ne parla?

Si è iniziata una politica di coltivazione di specie legnose di pregio (arboricoltura da legno) per sopperire, almeno in parte, alle importazioni ma per errori tecnici e per la sopravvenuta globalizzazione, sono sorti problemi nel mercato del legno nazionale. Un certo interesse si è avuto nel settore dei prodotti scippati e del pellet richiesti per produrre energia con nuove tecnologie.

Dai 20 ai 24 mila ettari rimboschiti annualmente dal Corpo Forestale dello Stato fino agli inizi degli anni ’70, cifra comunque modesta, rispetto ai 200/300 mila ettari necessari di interventi compreso le ricostituzioni boschive e le decine di migliaia di ha. percorsi annualmente da incendi, superfici anche queste dimenticate e in preda all’erosione, al ruscellamento, alle frane, si è passati a cifre irrisorie.

Il buon governo nella gestione del sistema idrogeologico montano (precipitazioni, foresta, deflussi). Foto A. Gradi.

Il “cattivo governo” (abbandono) nella gestione del sistema idrogeologico montano (precipitazioni, foresta, deflussi). Foto A. Gradi.

Un secolo di foreste demaniali

Il demanio forestale italiano è nato nel 1871, quando 54000 ha. di foreste statali furono dichiarate inalienabili.

Il 2 Giugno 1910 questo patrimonio, con l’aggiunta di altri terreni, fu affidato in gestione ad una speciale azienda di Stato che doveva conservarlo, migliorarlo, ampliarlo (Azienda di Stato Foreste Demaniali attualmente soppressa).

L’ annessione, nel 1919, delle foreste giuliane, atesine e tridentine, ed i graduali acquisti di terreni condotti nel trentennio, portarono il demanio a raggiungere, verso il 1940, circa 257000 ha. Nel dopoguerra, con i terreni ceduti alla Jugoslavia e con quelli trasferiti alle Regioni autonome, le foreste demaniali dello Stato si ridussero a 129000 ha.

Dopo il 1952 le leggi per la montagna, per la Calabria, per il Secondo Piano verde, insieme alle economie di bilancio della ex Azienda, hanno permesso di riprendere l’ampliamento del demanio forestale fino a raggiungere gli attuali 350 mila ha.

Oltre alle foreste dello Stato, l’ex A.S.F.D. gestiva anche, con apposite convenzioni, terreni di altri Enti, come la foresta di Tarvisio e i demani comunali del Catanzarese.

Il demanio forestale nel 1970

Il demanio interessa le zone montane (Prealpi lombardo-venete, Appennino centro settentrionale, massicci calabri lucani) ed alcuni importanti litorali marini (Ravenna, Toscana, Lazio, Golfo di Taranto).

I 350000 ha. complessivi comprendono 210000 ha. di boschi in piena efficienza protettiva e produttiva, 32000 di terreni rimboschiti nel dopoguerra, 15000 di boschi ad esclusiva funzione protettiva, estetica, naturalistica. Il resto sono pascoli (40000 ha.), prati, seminativi, incolti, rocce nude, acque.

Il bilancio, per Legge sempre a pareggio, oscilla sui 2 miliardi l’anno: l’entrata è fornita dai prodotti venduti o da concessioni di terreno; l’uscita è data da investimenti (rimboschimenti, infrastrutture, impianti tecnici, ampliamento territoriale) e spese generali. Leggi speciali (per la montagna, per il Secondo Piano Verde, ecc.) finanziano ulteriori investimenti straordinari.

Nelle zone dove predominano pascoli o prati che non si prestano al rimboschimento, l’A.S.F.D promuove anche l’ allevamento zootecnico e l’ incremento della selvaggina, costituendo apposite unità pilota a scopo dimostrativo.

Quanto sopra prima della soppressione della A.S.F.D. ed il trasferimento agli Enti destinati di cui non conosciamo gli aspetti tecnico-economici nelle varie gestioni dei territori demaniali forestali.

Il bosco, incendi e disinformazione

Migliorano le tecnologie ed i mezzi antincendio ma gli incendi, quasi tutti dolosi, continuano a provocare ingenti danni ambientali. La domanda sorge spontanea: perché?

Banale disinformazione è affermare che i boschi sono aumentati di superficie dato l’abbandono di aree agricole. Non è infatti corretto attribuire significato di “bosco” a tali superfici sulle quali in tempi lunghissimi e solo in pochi casi la natura, con una precisa sequenzialità floristica, ricostituisce il bosco inteso nella sua specifica struttura e giusta definizione.

Si giunge ad affermare su riviste e mass media vari che in Italia la superficie forestale aumenta annualmente addirittura di 70 mila ha. e che il bosco, dopo un incendio, si ricostituisce da solo! Sono notizie che si commentano da sole;basti pensare che anche un fuoco passante distrugge gli humus forestali, la microfauna, la microflora, importantissimi per le piante. La cenere che deriva viene subito dilavata dalle prime piogge e si danneggiano quindi le proprietà fisiche e biologiche dell’orizzonte superficiale instaurandosi subito fenomeni erosivi.

La preesistente fisionomia cambia e la foresta si trasforma. Nell’ambiente mediterraneo si propagano arbusti ed erbe, alimentando così nuovi incendi che rendono difficile ogni nuova evoluzione del bosco. Basti pensare che un tempo il Corpo Forestale dello Stato redigeva progetti di ricostituzione dei boschi incendiati applicando anche particolari tecniche atte a favorire processi evolutivi altrimenti non verificabili in natura.

Le caratteristiche e le conseguenze degli incendi non possono poi essere generalizzate poiché bisogna considerare molti fattori e molte variabili. Per prima cosa occorre distinguere se si tratti di un bosco ceduo o di una fustaia, la forma di trattamento, la specie dominante, la geopedologia dell’area interessata. Non solo, se siamo in presenza di un bosco mediterraneo (macchiabassa o alta e suo dinamismo), di un bosco preappenninico, appenninico, prealpino od alpino, se il bosco appartenga ad un piano di assestamento forestale.

La generalizzazione, inoltre, disinforma l’opinione pubblica la quale può credere che “tutto sommato” gli incendi non siano distruttivi come sembra. Così, calcolando che dopo gli incendi i boschi si rinnovino naturalmente, forse induce i politici a non investire nelle ricostituzioni boschive, nei rimboschimenti, nelle manutenzioni, nella difesa del suolo, ecc. nonostante gli impegni forestali assunti dall’Italia nel protocollo di Kyoto.

Una domanda, ad esempio, sorge spontanea: si fece un gran parlare del mega incendio sui Monti Pisani. Dopo nessuna notizia per cui il bosco nella sua vera struttura e identità (non cespugliati) nelle varie parti e realtà ambientali si rinnova naturalmente o si provvede a rimboschire?

L’ azione del fuoco può favorire l’apertura degli strobili di alcune specie (Pinuspinaster, Pinus radiata, Pinus halepensis, Pinus brutia, Pinus nigra, ecc.) ma la temperatura non deve durare molto e salire oltre 50/55 ⁰C per evitare forti riduzioni se non totale perdita della facoltà germinativa dei semi. Inoltre, è da chiarire quanto si dice e cioè che i coni sigillati da cere o resine si scioglierebbero con il calore con la liberazione dei semi(Grazia Pellizzaro ed altri: Dopo il fuoco, rivista Focus del Marzo 2020 n. 329).

Non è così poiché le squame dello strobilo con il calore dell’incendio si divaricano verso l’esterno presentando la loro parte esterna un ritiro maggiore della parte interna lasciando così fuoriuscire il seme da esse trattenuto che si disperde sul terreno anche a distanza grazie all’ azione portante dell’ala, se posseduta, mossa dal vento. Si tratta quindi di un processo tipico del legno quando perde, per qualsiasi causa, umidità.

Quindi, se il seme trova condizioni favorevoli per la germinazione (fascia fitoclimatica ottima per la specie, umidità, temperatura) dà luogo ad una giovane piantina la quale però, per sopravvivere, deve poi competere con il notevole

sviluppo della vegetazione erbacea ed arbustiva che può tendere ad assetti più xeromorfi. (A. Gradi, Vivaistica forestale, Preparazione delle sementi, Moderne tecniche vivaistiche, Legislazione vivaistico sementiera, Boschi da seme, Edagricole, 1994)

Predominante l’azione del fuoco sul dinamismo dei popolamenti, ma nessun adattamento al fuoco

Nei suoi più drastici scatti all’ indietro il processo involutivo è comandato dall’ incendio: in secondo ordine come fattori di degradazione, il pascolo ed i tagli vandalici con un ruolo, quindi, subordinato.

Il fuoco agisce come possente fattore di selezione dando il predominio a certe specie, morfo-fisiologicamente meglio attrezzate, eliminandone altre. Ma non c’ è un adattamento al fuoco del popolamento, anzi il grado di combustibilità delle successioni secondarie aumenta via via che, con il ripetersi degli incendi, ne esalta il livello di degradazione (semplificazione).

Nell’ ambiente mediterraneo, quindi, il fuoco rende estremamente problematica ogni nuova evoluzione dei popolamenti, anche per periodi lunghissimi. Già ai tempi dei Greci e dei Romani molte delle originarie foreste di sclerofille del Peloponneso, della Magna Grecia o della Maremma e dell’Arcipelago toscano erano ridotte a macchie. Dove, previa distruzione da incendi, le ritroviamo ancor oggi in forme di bassa vegetazione non molto diverse da quelle di duemila anni fa (per esempio nel Lazio ed in Toscana)” (Lucio Susmel, Problemi di ecologia applicata, Università di Padova, cattedra di Ecologia, Istituto di Selvicoltura, 1973). 3. Continua

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