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Viaggiamo in Italia: il castello di Racconigi e i vini delle Langhe

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Dopo lo slide show sulla Val d’Orcia (Siena), pubblico quello sul Castello di Racconigi, (Cuneo) che fa parte della serie di come ho visto l’Italia con la mia macchina fotografica. Mi auguro che possa far trascorrere qualche minuto in serenità e dia qualche idea per riprendere a viaggiare in Italia, ora che è stato rimosso anche il vincolo allo spostamento infraregionale e si fa pressante l’invito alle vacanze nazionali.

Lo completo con il brano di una poesia e la descrizione della zona da fonte web.

« […] Adagiata pigramente / nella verde campagna / disegna al sole / camini del tempo / tra campanili di fede / e porge ai passanti / il Castello reale, / biglietto da visita / di giorni di fama. / Quando l’inverno / stempera i colori / lacrimando nel viale / le ultime foglie / s’avvolge nella nebbia / ovattando le vie sognanti / dell’antico borgo […] »
(Costanzo Liprandi, Racconigi)

Racconigi (Racunis in piemontese) è un comune italiano di 10.094 abitanti della provincia di Cuneo, in Piemonte. È noto ai più per il suo castello, residenza dei reali sabaudi, dove nacque l’ultimo Re d’Italia.

Racconigi si trova nella pianura alluvionale che, stretta tra le ultime propaggini delle alpi Cozie e delle colline del Roero, si estende tra Torino e Cuneo. Si tratta di un altipiano posto ad un’altezza che varia tra i 180 e i 400 metri s.l.m., al limite settentrionale della Provincia di Cuneo. Il territorio comunale è prevalentemente pianeggiante e si estende su una superficie di poco più di 48 km².

E’ attraversato dal torrente Macra, dal suo tributario Mellea e da numerosi canali. Al confine settentrionale il Macra confluisce nel Po. La zona è ricca di risorgive e il terreno, tra i più fertili della provincia, è adatto alla coltivazione intensiva di prodotti cerealicoli. I boschi che un tempo ricoprivano gran parte della campagna sono stati sostituiti da piantagioni di pioppi. Notevole il bosco-parco del Castello che si estende per circa 180 ettari con piante autoctone che superano i 150 anni di età.
Dal 1985 è stato istituito in frazione Stramiano il Centro Cicogne e Anatidi Racconigi per la protezione della fauna avicola e la reintroduzione di specie in via di estinzione come la Cicogna bianca e il Gobbo rugginoso.

Se poi vi spostate nelle vicine Langhe, ecco che cosa vi racconta il mio amico Ulderico sui meravigliosi vini della zona.

Le Langhe regione collinare del Piemonte meridionale, compresa fra il corso del Tanaro a Ovest, lo sparti acque ligure-piemontese a Sud il Belbo e la Bormida a Est, e a Nord la linea Canelli e il corso del Tanaro.

Si tratta di una zona a morbide ondulazioni di altezza media sui 500 m (altitudine massima si aggira sui 950 m, in nessun punto si si raggiungono i 1000 m), formata da terreni impermeabili: superiormente da argille più o meno compatte e inferiormente da calcari azzurrognoli, alternati a strati di arenarie compatte e sabbie gialle. L’erosione vi è molto facile, e torrenti e fiumi vi hanno inciso profondamente i loro corsi: oltre al Tanaro, al cui bacino idrografico le Langhe interamente appartengono, il Belbo e la Bormida di Millesimo con il suo affluente Uzzone.

Le Langhe è una regione essenzialmente agricola: il suolo, per i caratteri morfologici e pedologici, è adatta alla coltivazione della vite, che ne costituisce la risorsa principale, con produzione di vini rinomati (Barolo, Nebbiolo, Freisa, Barbera, Dolcetto, Barbaresco).

Estesi sono anche i noccioleti, la cui produzione è interamente certificata come “NOCCIOLA PIEMONTESE IGP” (indicazione Geografica Tipica), e i castagneti, soprattutto nella parte meridionale, più alta.

Tipica delle zona è anche la produzione di tartufi a novembre.

Le industrie sono collegate con l’attività agricola: vi sono stabilimenti enologici e dolciari, come la Ferrero, simbolo del Made in Italy. 

Le comunicazioni ferroviarie sono assicurate dalla linea Torino-Brà-Ceva-Savona, con le linee minori Brà-Castagnole Lanze-Nizza Monferrato; la rete stradale è assai fitta. Centro principale è Alba, sul Tanaro; altri centri sono Dogliani, La Morra, Monforte d’Alba, Barolo, Santo Stefano Belbo, Canelli Cortemilia, Bossolasco, Murazzano, Ceva, Monesiglio, Diano d’Alba. Le Langhe sono in massima parte in provincia di Cuneo, tranne le propaggini settentrionali che fanno parte della provincia di Asti.

Il 22 giugno 2014, durante la 38ª sessione del comitato UNESCO a Doha, le Langhe sono state ufficialmente incluse, assieme a Roero e Monferrato, nella lista dei beni del Patrimonio dell’Umanità.

I vini

Vi vengono prodotti vini superlativi: il rinomato nebbiolo deve il suo nome alla nebbiolina azzurra che si alza, già durante il periodo “autunnale” della vendemmia; ma se il nebbiolo propriamente detto si trova solo nella zona di Alba, molti sono i suoi “figli”, più famosi o meno famosi, che vale la pena di conoscere, nati da viti trapiantate altrove e da sapienti uvaggi.

C’è un vitigno, facciamo che sia il Nebbiolo, un tipo di vite, che dà quest’uva e questo vino. Ma se le viti vengono piantate e coltivate anche in zone diverse, qualche la diversità si avrà poi nelle stesse uve che se ne ricavano; e poi ancora nel vino.

Ma può succede che le viti vengano impiantate in zone anche più lontane e che l’uva non sia impiegata da sola ma in uvaggio “blend” per far vini diversi. Ci sono molti vini, anche celebri, che nascono da questi “uvaggi”: il primo famoso forse è il Chianti che si fa con il Sangiovese, Canaiolo, colorino, Trebbiano, Malvasia del Chianti, Merlot e Cabernet Sauvignon, ma anche in purezza. Non è una infernale invenzione moderna, si è sempre fatto così.

E allora? sono anche “figli” anche questi vini che nascono da uvaggi? O sono solo figli” solo se l’uva di Nebbiolo è almeno preponderante nella percentuale? Non so sinceramente. Preferisco parlare di tutta la discendenza del Nebbiolo. Il Nebbiolo propriamente detto un “uva della nebbia” bel nome che viene dalle nebbie azzurrine che già che si alzano nelle Langhe, durante il periodo “autunnale” della vendemmia, si trova solo nella favolosa zona di Alba in un territorio definito dal disciplinare di produzione e dalla denominazione di origine controllata e garantita, nota con la sigla DOCG; e pensate che ce n’è anche un tipo deliziosamente amabile con in antico, da servire sul dessert, tenendolo piuttosto fresco. Poi intorno alla città di Barolo, come dicevamo questo vino diventa Barolo, anzi il Re Barolo (il primo che venne vinificato veramente secco, in Italia, amatissimo dai Savoia e detto perciò anche vino dei Re); e in torno a Barbaresco diventa Barbaresco: anzi sotto questo nome ormai da decenni viene sempre più valorizzato, come fratello meno solenne del Barolo, ma ricco di vitalità e di stoffa.

Castello di Barolo

Senza uscire dal Piemonte terra natia, il Nebbiolo ha preso cittadinanza anche in altre zone: per esempio a Gattinara, dove il vitigno è chiamato anche Spanna, ma è lo stesso; a Boca, a Fara, a Sizzano, quest’ultimo carissimo a Camillo Benso Conte di Cavour nel Novarese; a Carema in provincia di Torino.

Diceva un mio maestro: “il Barolo è il grande vino del mondo. Ha il colore delle foglie autunnali, il fiato fresco della primavera, diffonde nelle vene un calore di temperata estate”; e poi spiegando che è un vino benedetto perché non dà alla testa, né alle gambe, aggiungeva: “la mattina dopo vi svegliate chiedendo al mondo una battaglia da vincere” non c’è dubbio che lui stesso fosse ispirato, parlando così, da qualche bicchiere di stupendo Barolo: e sì che si intendeva di tutti i vini d’Italia.

Ma sono forse duemila anni che questo vino viene celebrato in tutti i modi, anche se non aveva il nome che porta oggi quando Giulio Cesare, tornando dalle Gallie, ne fece un altissimo elogio e il nome attuale viene forse dal celtico Brolio, che vuol dire bosco. E’ però da circa un secolo e mezzo che il Barolo è come lo conosciamo: un tempo il vino non si portava a quel grado di evoluzione, come oggi, che lo rende perfetto, senza residui zuccherini.

In Francia questa evoluzione era incominciata prima, bisogna darne atto. In Italia incomincio proprio dal Barolo, dal castello dei Marchesi di Barolo. Il Marchese del tempo aveva sposato una discendente del famoso Colbert, che era stato intendente di finanza di Luigi XIV, il re Sole: e avevano al castello come segretario bibliotecario Silvio Pellico, pensate reduce dalla prigionia (che narrò nel famoso libro “Le mie prigioni”) e ancora nel vicinissimo castello di Grinzane c’era un ex paggio dei sovrani sabaudi, ora appassionato di studi di agricoltura diventato membro della prestigiosa Accademia dei Georgofili di Firenze occupava il tempo, compiendo studi ed esperimenti con nuove tecniche agronomiche nel campo della viticoltura e dell’enologia, che aveva fatto propri del Barolo e delle risiere:quel Camillo Benso di Cavour, in seguito tessitore dell’unità d’Italia.

Insomma, i marchesi sapevano di quel che succedeva in Francia con le nuove tecniche vitivinicole, e fecero venire da Reims quello che oggi chiameremmo un enologo: il signor Odart; così incominciarono studi ed esperimenti di cui certo furono partecipi quanti vivevano al castello, come il Pellico; o qualche vicino, come Cavour.

Barolo, Nebbiolo, Freisa, Barbera, Dolcetto, Barbaresco, sonosolo 6 dei 57 vini certificati dal Regolamento UE 1308/2013,presenti in Piemonte che annovera ben 15 tipi di vino DOP, con menzione DOCG, e 42 tipi di vino DOP con menzione DOC, deiquali in alcuni, sono caratterizzati da (un blend di uve a bacche rosse e a bacche bianche), rossi, rosati, bianchi, spumanti e liquorosi, con in testa i grandi: Barolo, Nebbiolo, Freisa, Barbera, Dolcetto, Barbaresco.

Si tratta del numero più alto a livello nazionale con la conseguenza che, marchi così riconoscibili, esportano non solo prodotti ma anche un’identità forte legata indissolubilmente al nome di alcune città della regione.

Vigneti di Barolo

Il Barolo è un grande vino di non meno 14-15 gradi alcolici, da bere su grandi arrosti, grandi piatti di selvaggina, anche su formaggi molto stagionati. Grande vino, dicono gli intenditori, da meditazione; cioè da degustare dopo il pasto, in serena distensione di pensieri e di affetti. C’è anzi una tradizione, in Piemonte, che vuole che le grandi bottiglie di Barolo siano riservate solo a questo modo di berle: non a tavola, ma più tardi, magari davanti a un camino acceso. E’ dunque il Barolo veramente “il re dei vini, il vino dei re”? certo merita questa sua leggendaria definizione.

Buona luce e buon vino a tutti!

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