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Il brindisi nella Pasqua di guerra

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Pinturicchio (Bernardino di Betto), Pala di Santa Maria dei Fossi, particolare - Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.

Tempo di lettura: 5’.

La colomba sdoganata e la colomba incatenata

La colomba è simbolo di pace fin dai tempi dell’arca di Noè. Se leggiamo la Genesi, vi troviamo che Noè non aveva inviato un uccello qualsiasi ma proprio una colomba per conoscere in quali condizioni fosse la terra in seguito al diluvio universale. La colomba tornando con un ramoscello d’ulivo nel becco portò il messaggio della pace ritrovata fra Dio e l’uomo.

Nel seguito lo hanno usato i primi cristiani, ma poi il simbolo è stato sdoganato anche nel mondo laico e scollegato da ogni valore religioso. La colomba della pace è diventata nel tempo libera di portare il suo messaggio a chi desidera riceverlo e non solo a chi crede nella Genesi.

Siamo convinti che in nessun luogo la religione possa essere invocata a sostegno di propagande di violenza, di distruzione e di guerra. Ma sono intollerabili anche tutte le altre cause di guerra tra cui quelle di potenza, di prevaricazione, di sfruttamento economico, di odio civile e via dicendo. La collezione offertaci dalla storia è fin troppo ricca.

Il volo della colomba dura sempre troppo poco. C’è sempre qualcuno che si impegna a riportarla in gabbia. Il tempo che viviamo è uno di quelli. La colomba è tornata dietro le sbarre della gabbia. Anzi è addiririttura incatenata perché non solo vi è una lacerante guerra in corso, ma si prefigurano scenari di guerra ancora peggiori. Insomma, al momento, per il simbolo della pace non vi sono grandi prospettive di tornare a volare libero. Sarà una Pasqua di guerra, il che è un ossimoro. Forse il più grande di tutti gli ossimori. La madre (o il padre) di tutte le contraddizioni.

Allora io, anche a rischio di essere accusato di poca sensibilità, voglio fare provocatoriamente un’operazione di distrazione. Voglio inneggiare ai gusti anche palatali della pace. Per un palato di pace.

Perché come diceva qualche filosofo il cui nome non ricordo l’uomo è ciò che mangia e, aggiungo io, è anche ciò che beve. E in tempi di pace ciò che si mangia e si beve è molto meglio di ciò che si mangia e si beve in tempi di guerra.

E’ banale, come tutte le verità assolute. Ma in un mondo di sempre più sottili distinguo che non ci fanno distinguere un bel nulla e rischiano di portarci in fondo al baratro, io torno su qualche aspetto più rassicurante, anche se banale. Meglio più sicuri e banali, che più complicati e incerti! Chiaro il mio sentire?

Il brindisi di Pasqua

Siamo nei giorni in cui più spesso si sprigiona il volo augurale delle bollicine nei calici, facendo crescere speranze, attese, entusiasmi tra sorrisi ed auguri.

Vogliamo allora conoscere meglio il perlage, questo termine si riferisce all’effervescenza di un vino, in particolare all’insieme delle bollicine che si sviluppano in uno champagne o in uno spumante quando viene versato nel bicchiere.

Tutti sanno che le bollicine sono anidride carbonica imprigionata nel vino spumante o da uno champagne, prodotta dalla fermentazione nelle lunghe pratiche di cantina ed operazioni enologiche, sprigionata dalla liberazione del tappo dall’apertura della bottiglia. L’arte è proprio quella di fare uscire il tappo avvitandolo con il palmo della mano per frenare la pressione della schiuma (aggregato soffice e vaporoso di bollicine).

La pressione dell’anidride carbonica contenuta nel vino dipende dalla temperatura del vino stesso. Si dice che l’ideale, per uno spumante di classe, sia una temperatura sui 5-6 gradi centigradi: scendendo oltre “brucia” le papille: non si sentono né sapore né aroma. Naturalmente uno spumante di classe arriva nel secchiello.

Osservate il perlage di bollicine che sale nel bicchiere alto e stretto, flûte: sono elementi per la valutazione del prodotto, se il perlage è rado, si disperde, se è troppo impetuoso ugualmente si disperde, cioè è meno alta la qualità.

La coppa è stata adottata da ristoranti e locali notturni ai tempi delle Belle Epoque, raccontando che era nata modellandola sui seni della Pompadour. La imposero per confondere, appunto, sul primo segnale di qualità e inoltre disperde l’aroma (il profumo o il gradevole sapore, quello del prodotto che, invecchiando, conserva l’aroma dell’uva del vitigno con quale è stato fatto). Nel caso dello Chardonnay avremo dei profumi floreali e particolarmente intensi, penetranti. Il Pinot Nero invece conferisce un profumo molto fruttato e ricamato sui frutti rossi.

Attenzione: gli spumanti sono perfetti quando sono messi in commercio. Con il tempo, se non sono conservati nelle condizioni ideali (cantina con tutti i requisiti, al buio in assenza di odori e di vibrazioni, ect.) possono a poco a poco perdere le proprietà organolettiche, quei caratteri che sono percepiti dai nostri sensi principalmente (aroma, profumo, bouquet) e il sapore, che sollecitano olfatto e gusto.

Gli spumanti brut e secchi sono ideali, prima di tutto, come aperitivi. Sono freschi piacevoli allegri, ma con discrezione, perché si assorbono più rapidamente di qualsiasi altro vino e quindi se ne smaltiscono anche gli eventuali effetti da eccessi. Dopo l’aperitivo, uno spumante si presta a continuare deliziosamente con antipasti, zuppe, piatti di pesce, carni bianche. Preferibilmente al momento del dessert spumanti dolci, o al massimo demi-sec, leggermente abboccati.

Perché il brindisi sia davvero un momento di gioia anche per il palato, bisogna scegliere uno spumante di qualità e servirlo secondo certe regole.

La scelta: in primis io metterei i grandi spumanti classici italiani e i grandi champagne francesi.

Quali le differenze? In ogni caso sono fatti con quel metodo champenois (da Champagne, proprio) messo a punto ai tempi del famoso Dom Perignom (1639 – 1715) che è stato un monaco cristiano francese, appartenente all’ordine benedettino, spesso indicato, forse erroneamente, come l’inventore dello champagne.

Una varietà che porta il suo nome richiede una serie di pratiche di cantina ed operazioni enologiche raffinatissime che accompagnano la vinificazione, per anni.

Sono fatti anche con uve dello stesso tipo: Pinot nero, Pinot Meunier, Chardonnay. Cambiano invece il terreno su cui vengono impiantate le vigne, in Francia e in Italia (anche se abbastanza simili per caratteristiche geologiche) e cambia, naturalmente il clima. Ne risultano prodotti straordinari, in ogni caso, tra cui scegliere. Poi ci sono altri spumanti lavorati con minor pazienza, ma che possono essere ugualmente di classe elevata. Sono quelli fatti col metodo Charmat, che rappresentano una felice sintesi del metodo champenois, con lavorazione in grandi recipienti anziché in bottiglia ed in tempi molto più brevi. Si tratta sempre di scegliere con competenza. In certi casi uno Charmat non ha niente da perdere nel confronto.

E poi ci sono spumanti a fermentazione naturale, i più semplici, graditi a molti: purché siano vini fatti a regola d’arte, sapendosi orientare grazie all’esperienza.

La vera ipocrisia

Bene! Vi ho distratto abbastanza, senza essere inopportuno e saccente? Torniamo a più seri pensieri. Non è la piccola ipocrisia che si compie parlando di cose leggere in tempi di disastri quella che ci deve preoccupare, ma tutto quello che si fa per nascondere, con tante ragioni diverse, incomprensibili ai più, la nostra incapacità di risolvere i grandi problemi dell’umanità, tra i quali la guerra è il peggiore di tutti. Questa è la vera ipocrisia. E la più disarmante delle banalità.

Buona Pasqua!

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