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Hermann Hesse: alberi, letteratura e pittura

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Hermann Hesse, Acquerello

Tempo di lettura: due minuti. Test di leggibilità ***.

Ho già scritto diverse volte del rapporto profondo fra gli alberi e l’uomo che li ha spesso associati a miti, simbologie e leggende e, talvolta, addirittura idolatrati (Ferrini e Pisani, 2002).

Hermann Hesse, Autoritratto

Questo rapporto ha influenzato anche grandi scrittori e, fra questi, emerge sicuramente Hermann Hesse (1877-1962), scrittore, poeta e pittore. 

Egli in modo particolarmente profondo ha sentito ed espresso il colloquio con la natura e soprattutto con gli alberi, ai quali ha dato un’anima e un sentire umano, tanto da scrivere:

“Per me gli alberi sono stati i predicatori più persuasivi. Li venero ancora di più quando se ne stanno isolati. Sono come uomini solitari, come Beethoven e Nietzsche” ( … )” “Perdere uno di questi alberi per me significa perdere un amico” (Hesse, 1952).

Casa di H. Hesse a Montagnola (Lugano)

E, inoltre, in “Ramo fiorito” (Hesse, 1986): “Sempre avanti e indietro / si tende al vento il ramo fiorito, / sempre oscillando / il mio cuore è teso come un bambino”. Hesse aveva una particolare sensibilità verso la natura, che osservava attentamente tanto da diventarne partecipe e a trarne spunto per le sue opere, non solo letterarie, ma anche pittoriche.

In uno dei suoi scritti affermò che “l’occuparsi della terra e delle piante può conferire all’anima una liberazione e una quiete simili a quelle della meditazione” (Hesse, 1952, p. 129).

Ed è ancora Hesse a mostrarci un altro degli effetti positivi che ha su di noi lavorare a contatto con la terra e le piante:

“Nel giardinaggio c’è qualcosa di simile alla presunzione e al piacere della creazione: si può plasmare un pezzetto di terra come si vuole; […]. Si può trasformare una piccola aiuola, un paio di metri quadrati di nuda terra, in un mare di colori, in una delizia per gli occhi, in un angolo di paradiso.” (Hesse, 1952, p. 10).

Libertà non competitive

Tutte queste sensazioni piacevoli che riusciamo a sperimentare, sono poi accentuate dal fatto di scaturire da attività assolutamente dilettantistiche, libere da qualsiasi scadenza o forma di competizione.

Acquerello di Hesse della casa di Montagnola

Anche Goethe si era accorto di questo. Ne ‘Le affinità elettive’ riporta una precisa descrizione del dilettantismo: “Proviamo un tal piacere nell’occuparci di qualcosa che si sa fare solo a metà, che nessuno dovrebbe rimproverare al dilettante di esercitarsi in un’arte che non imparerà mai” (Goethe, 1808, p. 224).

Occuparsi della cura delle piante, in questo senso, è una attività oltremodo rilassante. Essa ci rende liberi di far fluire i nostri stati d’animo, di lasciarci prendere e guidare in un mondo completamente diverso. Ci fa finalmente uscire quel residuo di natura che ancora vive in noi.

“Fin da bambino ero stato incline a contemplare le forme bizzarre della natura, non semplicemente osservandole, bensì abbandonandomi alla loro magia, al loro linguaggio intricato e profondo.[…]L’abbandono alle forme irrazionali, complesse e strane della natura genera in noi un senso di concordanza tra il nostro intimo e la volontà che fece nascere queste forme; proviamo ben presto la tentazione di considerarle nostri capricci, nostre creazioni; vediamo tremolare e dissolversi il confine tra noi e la natura; impariamo a penetrare in un’atmosfera in cui non sappiamo se le immagini sulla nostra retina provengono da impressioni esteriori o dalla nostra stessa interiorità.

Mai così facilmente come in questo esercizio scopriamo quanto noi stessi siamo creatori, quanto la nostra anima sia sempre partecipe della costante creazione del mondo. Anzi, è la stessa indivisibile divinità che agisce in noi e nella natura, e se il mondo esterno tramontasse, ognuno di noi sarebbe in grado di ricostruirlo, poiché monti e torrenti, alberi e foglie, radici e fiori, tutto ciò che è dato in natura è già preformato in noi, proviene dalla nostra anima la cui essenza è l’eternità – un’essenza che non conosciamo ma che di solito si fa sentire come forza amorosa e creatrice” (Hesse, 1952, p. 19-20).

Sembra strano e, forse bizzarro, parlare del rapporto profondo fra uomo e alberi in un mondo che cambia così rapidamente e che, nell’odierna condizione postindustriale rischia di perdere questa dimensione di intima comunione. Tuttavia, il rapporto con la natura non deve essere un’utopica ricerca della pace tra l’interno e l’esterno, fra l’uomo e il suo ambiente.

Il giardino, natura condizionata dal progetto umano, è l’ideale immaginario della riproposizione dell’antico accordo tra uomo e natura. Eden, giardino cosmico, orto, parco, metafora della Terra, lettura in chiave umana del mito del demiurgo che aveva forgiato il mondo e placato il caos.

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1. Ferrini F., P.L. Pisani Barbacciani, 2002. Uomo e piante, aspetti culturali, psicofisici e salutisti. Atti Conferenza Nazionale sul Verde Urbano. Accademia dei Georgofili, Firenze 9-10 ottobre, 2002.
2. Goethe, J.W. (1808): Le affinità elettive, Milano, RCS Libri, 1997
3. Hesse H., 1952. Bäume. Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main. Edizione Italiana: Il canto degli alberi. Guanda Ed. Parma (1982).
4. Hesse H. (1986). Das Summe spricht. Suhrkamp Verlag, Frankfurt a. Main. Edizione italiana ”La natura ci parla”, Mondadori, Milano

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