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La Borsa della finanza buona e conveniente

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Tempo di lettura: sei minuti. Leggibilità **.

Nuove infrastrutture finanziarie etiche.

Oggigiorno si parla molto di finanza etica, ovvero di quella finanza che rispetta l’ambiente, è solidale ed etica.

È una finanza che oltre a seguire degli ideali promette anche redditi, dunque non è solo rifiuto della speculazione. Non è difficile immaginare una finanza sociale se si pensa quale sia la finalità principale per cui è nata, appunto la finalità di trasferire risorse da soggetti che ne dispongono, ovvero i risparmiatori, a soggetti che ne hanno bisogno, ovvero le imprese, per investimenti ad impatto sociale.

In Scozia nascerà nei prossimi mesi una nuova infrastruttura finanziaria: la Borsa Valori etica e sociale, denominata Bourse Scot, in collaborazione con Euronext.

I fondatori ritengono che la nuova Borsa Valori, basandosi sui principi della raccolta di capitale di imprese ad impatto positivo sulla società e sull’ambiente, contribuirà in modo determinante alla crescita economica sostenibile sia in Scozia che nel Regno Unito, proponendosi come intermediario a livello globale per imprese della specie.

La Borsa Valori etica e sociale potrà soddisfare i bisogni di un mercato di capitali in cui poter far incontrare enti profit, non profit e imprese sociali con investitori allineati sui loro stessi valori e missione.

Le società quotate nella Bourse Scot avranno l’obbligo di rendicontare il loro impatto positivo sul territorio in cui operano e a vantaggio delle comunità locali. Sarà la prima Borsa Valori di società quotate in cui vi saranno standard rigorosi per il reporting di impatto.

Nel mondo sono in aumento le “Borse Sociali”. Sono da citare i casi di Singapore, Brasile, Canada. A Nairobi in Kenya il settore della Borsa GEMS (Growth and Enterprise Market Segment) è ormai dedicato all’ impact investing.

La finanza può essere responsabile socialmente rispettando l’economia reale, la società e l’ambiente ed avere un peso sempre maggiore.

Basti pensare che il 26% degli investimenti mondiali è sostenibile, ovvero riguarda aziende che riducono le emissioni inquinanti, tutelano la sicurezza dei lavoratori, promuovono l’uguaglianza sul posto di lavoro, si dotano di un codice etico.

Secondo il primo rapporto sulla Finanza etica e sostenibile presentato alla Camera dei deputati nel 2017, in Europa la finanza etica viene stimata intorno ai 715 miliardi di euro, pari al 5% del PIL continentale, e in Italia il 60% degli investitori risulterebbero disposti a puntare su prodotti sostenibili.

L’Unione Europea si è quindi prefissata di potenziare e incoraggiare interventi di finanza sostenibili, compresi i green bond per incentivare gli investimenti a favore dell’ambiente.

Si tratta di obbligazioni che devono rispondere a requisiti prestabiliti per essere dichiarati “verdi”:

Si tratta dei quattro ‘Green Bond Principles’ stabiliti nel 2014 e rivisti lo scorso anno dalla Icma (International capital market association, l’associazione che riunisce gli attori sui mercati dei capitali) che riguardano: a) l’impiego del denaro raccolto sul mercato, b) il procedimento di valutazione e selezione dei progetti, c) la gestione dei proventi, d) il reporting (Fonte: ilsole24ore). Oggi, ad esempio, esistono fondi dal valore di quasi 500 miliardi che scelgono di non finanziare imprese che operano in settori come le armi il tabacco e i giochi d’azzardo.

L’Europa e la finanza etica

Il 6 febbraio scorso è stato presentato a Bruxelles il secondo rapporto sulla finanza etica e sostenibile in Europa, realizzata tra l’altro dalla Fondazione Finanza Etica in cooperazione con la spagnola Fundaciòn Finanzas Eticas.

Dal rapporto è emerso che nel decennio 2007-2017 l’investimento in banche etiche e sostenibili ha reso oltre il triplo rispetto alle banche tradizionali, con una redditività media annua in termini di ROE del 3,98% contro l’1,23%.

Inoltre il numero delle banche etiche è cresciuto del 9,66%, contro una riduzione dell’uno per cento di quelle tradizionali. In relazione ai Fondi sostenibili e responsabili nel medesimo decennio i patrimoni investiti in fondi SRI con alla base criteri “best in class” (ovvero applicando criteri rigorosi in ESG) sono aumentati del 9% all’anno.

Emerge anche dal rapporto un approccio all’investimento low carbon, vale a dire con esclusione di aziende che non hanno una strategia rispetto al consumo di carboni fossili.

Oramai a livello globale sono molti gli enti che decidono di non investire nel fossile, per un valore all’incirca del 40% del Pil europeo. Il rapporto propone anche interventi normativi a livello nazionale e in Europa che riconoscano e premino le realtà finanziarie etiche.

Al momento la Commissione Europea lavora ad una tassonomia “verde” che punta a facilitare gli investimenti necessari per conseguire gli obiettivi climatici, facilitare la transizione verso un’economia low carbon e creare un modello di sviluppo sostenibile.

Una prima versione di tale tassonomia verrà pubblicata nel mese di luglio prossimo e conterrà un elenco di attività. Gli investitori potranno valutare la quota del loro portafoglio e/o dei loro investimenti futuri in linea con la tassonomia verde, e i settori produttivi potranno utilizzarla per creare marchi e certificazioni.

Alcuni studi dimostrano che le aziende socialmente responsabili sono anche quelle che hanno una redditività più stabile nel tempo, distribuiscono più dividendi ed escono prima dalle crisi.

Dunque la finanza etica, oltre ad essere buona, conviene. E anche i consumatori sono sempre più orientati a preferire le imprese sostenibili, dichiarandosi disposti 

Incoraggianti prospettive

Secondo uno studio condotto dall’Osservatorio Sostenibilità a cura della  Società Italiana Comunicazione, realizzato in collaborazione con Format Research, 6 imprese su 10 decidono di in investire in sostenibilità perché ciò porta ad un aumento della brand reputation (58,3%), ad un efficientamento dei processi interni (57,3%), contenimento dei costi (49,3%) e, anche, ad un aumento delle vendite (39,2%).

La sostenibilità va considerata come un driver dello sviluppo economico e come fattore di competitività.

Dalla ricerca emerge che la sostenibilità: è efficace a livello commerciale (per l’81,7% dei soggetti), è un vantaggio competitivo (76,7%), e contribuisce a migliorare la reputazione di un’azienda (87,2%).

Ma vi è un limite che ne frena la crescita: la maggior parte delle imprese non ha una dotazione specifica per il bilancio di sostenibilità e solo l’11% prevede una politica di comunicazione verso l’esterno delle proprie performance nell’ambito della sostenibilità nonostante la comunicazione sia una delle leve strategiche per dare impulso ai processi di sostenibilità (Fonte: Ilsole24ore).

L’Italia

In Italia, la finanza etica negli ultimi anni è un settore in crescita; inoltre l’Italia è il primo Stato europeo a poter vantare una legge in favore della finanza etica. Nel marzo 2012, Abi e Confindustria, insieme al ministero per lo Sviluppo economico, hanno rinnovato il protocollo “Responsabilità sociale d’impresa e utilizzo degli indicatori ambientali, sociali e di governance” impegnandosi a dare maggiore diffusione e integrazione della sostenibilità nelle attività delle imprese, per una sensibilità a più livelli.

Fondamentali, per la crescita di questo settore, sono le scelte di investimento dei privati e gli incentivi che potranno arrivare dalle istituzioni nazionali ed europee. Occorre inoltre che il risparmiatore sia informato della destinazione finale del suo denaro; ciò presuppone che siano incentivati sia le istituzioni finanziarie sia i cittadini ad esigere maggiore trasparenza sull’uso delle risorse e aiutare i progetti di utilità sociale e ambientale.

Molte imprese italiane, in particolare le PMI e soprattutto nel Nord, sono molto attente ai propri impatti ambientali, al benessere dei propri dipendenti, ai legami con i territori di riferimento.

Alcune già attraverso i piani di Welfare Aziendali, si pongono obiettivi di impatto ambientale positivo nei loro progetti, prodotti e processi: ad esempio con il riciclo e il riuso di singoli componenti alla fine della vita di un prodotto, ricorso a materie prime derivanti da riciclo o risparmio di materie prime non rinnovabili; o ancora mediante riconoscimenti di benefit o bonus ai propri dipendenti che migliorino la loro vita, offrendo assicurazioni mediche, previdenza integrativa, sostegno alla maternità, servizi per finalità di educazione, istruzione, assistenza sanitaria e sociale. Ma questo impegno che assumono non è esternalizzato né si prevedono bilanci ad hoc con i quali le imprese comunicano le loro attività.

Le società Benefit

È necessario porre l’accento sulla comunicazione di questo fenomeno con l’obiettivo di mostrare il processo di responsabilizzazione aziendale all’esterno, da cui scaturiscano anche vantaggi di immagine e reputazione.

Una modalità con cui è possibile comunicare all’esterno il proprio impegno verso una economia sostenibile può essere quella di dotarsi di uno status giuridico riconoscendo nel proprio statuto il duplice scopo di massimizzare il profitto e di beneficio comune, ovvero assumendo la qualifica giuridica di Società Benefit (cfr altro mio articolo su questa piattaforma).

Si assumono formalmente l’obbligo di raggiungere lo scopo di beneficio comune operando in modo responsabile, trasparente e sostenibile verso tutti gli stakeholder: soci, dipendenti,  fornitori,  cittadini  e tutte  le categorie che possano essere impattate dall’attività aziendale.

E potranno comunicare all’esterno questo loro innovativo modo di fare impresa inserendo nella denominazione o ragione sociale la qualifica di Società Benefit. In questo modo si diventa più appetibili nei confronti, non solo dei consumatori ormai sempre più attenti alle società socialmente responsabili, ma anche agli occhi di chi vuole investire i propri risparmi e le proprie disponibilità monetarie puntando sulle società ad impatto sociale e ambientale che possono garantire buoni rendimenti nel prossimo futuro.

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